La scuola documentaristica americana fa scintille. Bowling a Columbine era solo la punta dell’iceberg. Al festival, di documentari di questo tipo se ne vedono un sacco. L’altr’anno quello su skate e surf culture dagli anni ’60 ai ’90 era eccezionale. Quest’anno è il turno di Easy Riders, Raging Bulls: How the Sex, Drugs, Rock’n’Roll Generation Saved Hollywood di Kenneth Bowser – un titolo che la dice lunga sul tipo di film… La sala è piena di addetti stampa e cinefili non troppo soddisfatti. Il film è infatti decisamente orientato al racconto delle vicende produttive più che creative della nuova Hollywood. Ma è un approccio comunque fondamentale per comprendere lo spirito di un’epoca e di un’industria (perché di questo ovviamente si tratta al di là della creatività dei singoli). Si parte con Roger Corman, – la figura chiave del cinema USA anni ’60. Solo lui aveva capito qual era il cinema che piaceva e come farlo risparmiando il massimo e guadagnando tutto. Sotto la sua ala Bogdanovich realizza Targets, Coppola Dementia 13, etc. etc. Le nuove leve reclamano il dovuto spazio alle major che semplicemente non capiscono film come Wild Angels o The Trip (due film di Corman con Peter Fonda). La chiave di volta della rivoluzione diventa allora Easy Rider di Hopper – un film realmente hippy che conquista il pubblico e la critica, sorprendendo tutti. I registi acquistano via via più potere. L’assunto del film è: in quegli anni i registi potevano dire agli executive "io SO come fare soldi con il cinema e voi NO". Ed ecco apparire Hal Ashby (Harold e Maude) e il cane sciolto Peckinpah (Il mucchio selvaggio), sempre pronto a litigare con gli studios. Ma le major cominciano a capire il gioco, e Un uomo da marciapiede di Schlesinger diventa il primo successo di uno studio di Hollywood ad inaugurare il nuovo corso "selvaggio". Intanto Hopper si perde dietro ai fallimenti di Last Movie – Fuga da Hollywood e la libertà comincia ad incrinarsi. Polanski, Warren Beatty, Altman, una girandola di vicende produttive che arrivano fino alla famosa spiaggia di Malibu dove abitavano Spielberg, Lucas, Milius, Coppola, De Palma, Scorsese, Keitel e De Niro – tutti amici e tutti a parlare di cinema e a fare cinema. Quando uno fallisce gli altri lo coprono – esemplare il caso di Friedkin che volendo aiutare produttivamente gli amici gira Il salario della paura che per le sue vicende produttive gli stronca la carriera. E mentre Scorsese fugge a New York cercando di fare il cinema che gli interessa l’epoca d’oro del dominio dell’autore tramonta: Lucas reinventa il cinema seriale con Guerre Stellari – De Palma lo prende ferocemente per il culo e l’unico a difenderlo resta Spielberg che, con fare un po’ odioso da "primo della classe" segna con Lo Squalo la fine dell’epoca iniziata con Easy Rider. Spielberg si piega davanti agli studios e diventa col tempo la più preziosa macchina per fare soldi di tutto il pianeta. Il cerchio si chiude, e gli studios ormai hanno imparato "come fare soldi con il cinema". Persino Corman se ne accorge: "hanno capito tutto, e adesso per me non c’è più spazio". La "serie b" realizzata con i soldi fa sì che non abbia tanto importanza la qualità di un film quanto la sua promozione e la sua attitudine alla serializzazione e allo sfruttamento. Scorsese dà un’ultima zampata con Raging Bull (Toro scatenato): "non mi hai messo al tappeto… non mi hai ancora messo al tappeto…!". Emozionante. Tanto per gradire, all’uscita gadget in omaggio da Studio Universal, che ha coprodotto il documentario…!
VIGATA DOV’E’?
Camilleri sì… Camilleri no… è il tema di Vigàta dov’è? di Costanza Matteucci e Pierre-François Moreau – il documentario che ho visto oggi al Festival. Lo confesso, di solito diserto completamente i documentari. Stavolta ero incuriosito un po’ dal personaggio in questione, un po’ dal passaparola. Il film è godibile, e racconta del viaggio in Sicilia di Pierre-François sulle tracce di Vigàta (la città di fantasia dove Camilleri ambienta le vicende di Montalbano). Le sequenze di viaggio sono quasi tutte al rallentatore e montate con effetto "ghost" (non so come definirlo, in Première si chiama così). Anche se a volte può sembrare fastidioso, si tratta in realtà di una scelta azzeccata, che si sposa benissimo con le musiche (scritte sempre da lui, da P.F.). Queste musiche sono tra le cose che mi hanno colpito di più: mi ricordano i primi Tuxedomoon (gruppo che amo parecchio) e sottolineano i vagabondaggi di questo protagonista spigoloso che mette in crisi tutti i vecchi siculi che non sanno spiegargli dove sia questa fantomatica Vigàta. Il tutto montato in alternanza con interviste a siciliani d.o.c. che presentano le proprie tesi pro o contro Camilleri. Confesso che, pur amando i romanzi, ho trovato gustosissima la figura del siciliano critico verso i "santuzzi" e la teoria "agrigentocentrica" dell’universo. Insomma: un buon film da vedere soprattutto in televisione (non in prima fila al cinema ruminando panzerotto patatine e cocamedia – le riprese visionarie potrebbero causare un po’ di nausea). Unico neo: la voce off sovrapposta in italiano. P.F. mi pare un personaggio strano, molto particolare. Lasciare la sua voce narrante nell’originale francese avrebbe giovato al film. I sottotitoli sono una pratica comune e bene accetta, almeno qui al Festival.
ADORO BATTLE ROYALE!
Ta-Da! Il festival è male organizzato? Devi fare a pugni per entrare? Ti spostano le proiezioni sotto il naso e la tensione sale, sempre di più? Insistono a mettere i film di richiamo in salette da 100 posti? E io li fotto, mi scarico Battle Royale in DivX e me lo guardo a casa mia! Oooh, e poi dicono "perché la pirateria"… Comunque… Il film è decisamente gustoso! Allora il cinema giapponese non è solo riflessivo e statico, non è solo anime, non è solo Shinya Tsukamoto. C’è anche una "serie b" (senza intenti denigratori) fatta di sangue e slapstick – d’altronde la presenza di Kitano è quasi una garanzia… Gli studenti carucci carucci (saranno quindicenni ma sembrano anche più giovani) si scannano con balestre, roncole, uzi, pistole, veleni, pugnali, paletti da campeggio – quando la loro testa non scoppia a causa del collare esplosivo che gli ideatori della Battle Royale hanno pensato bene di fargli indossare! Il bodycount avanza… "41 to go… 40 to go…" – solo uno può uscirne vincitore… o no? Echi di Carpenter e di horror sociale alla Romero misti ad una ideologia tutta giapponese di selezione naturale spinta all’estremo. Questa metafora della vita giovanile ai ragazzi giapponesi deve essere piaciuta moltissimo. E si capisce perché Tarantino abbia pensato bene di prendere una delle ragazze e di trasportarla nel suo mondo privato, regalandole il personaggio di Go-Go Yugari…