Sono rare le occasioni di un "late night double feature picture show" infrasettimanale in casa Izzo. Perciò occorre scegliere con attenzione i film che si vogliono vedere. Niente di concettuale, nulla di culturale: dopo quasi una settimana di lavoro i film devono essere comici, fracassoni o horror tesi. Escludiamo pure anche i kolossal alla Troy, che fanno crollare la testa, o gli horror annacquati stile So cosa hai fatto o derivativi stile The Call. E se si vuole ridere, sono da escludere le commedie sofisticate interpretate da attori tutto sommato misurati. Ecco, se volete ridere in modo "smisurato", non c’è niente di meglio di un pacco doppio come quello di ieri sera: School of Rock + E alla fine arriva Polly. La forza di School of Rock è ovviamente tutta nel corpo e nella voce incredibile di Jack Black, uno degli attori con cui mi identifico maggiormente fin da quando l’ho visto in Alta Fedeltà di Frears. La sorpresa del film è il regista, Richard Linklater, che una volta abbandonate le pippe mentali devastanti di Prima dell’alba, Suburbia, Waking Life e Prima del tramonto, si mette al servizio della commedia, con la sapienza di chi sa come tratteggiare i personaggi e come misurare l’intervento della macchina da presa. La seconda sorpresa ovviamente sono i ragazzini della band, che suonano come i loro mentori (Led Zeppelin, Black Sabbath, AC/DC – la trinità sull’altare di Jack Black) e scrivono canzoni punk sulla paghetta e sulla ricreazione. School of Rock è chiaramente un film per i più piccini (niente parolacce, niente sesso, niente violenza, grande abbondanza di messaggi positivi): ma tratta i bambini da esseri umani, e passa il suo messaggio attraverso il rock – quindi senza tracce di melassa o di kleenex impregnati di lacrimucce. Tutti gli attori sono in parte e Jack Black si diverte come un dio pagano vestito come Angus Young mentre si muove sul palco con scatti epilettici. E alla fine arriva Polly non ha la stessa grinta, ma è un classico del genere boy meets girl che ha il suo punto di forza in Ben Stiller, compresso come una bomba sul punto di esplodere. Non si risparmia nulla, dalla scena al cesso con carta igienica mancante a tutti i tipi di inconvenienti gastrointestinali possibili. Anche qui la maggior parte dei momenti debordanti sono lasciati in mano al grandissimo Philip Seymour Hoffmann in una inedita parte comica al 100% (ma era geniale anche in Almost Famous, State and Main, Happiness e in una marea di altri film che acquistano luce solo per il fatto che c’è lui di mezzo). Insomma, due film ottimi per stare svegli e farsi due ghignate.
IL BUON VECCHIO CLINT NON SBAGLIA UN COLPO
…E se fossi salito io su quella macchina? Cosa sarebbe successo? Classico, potente e senza la minima sbavatura. Mystic River, finalmente nelle mie grinfie e sul mio lettore dopo che me lo ero stupidamente perso al cinema. Come dice l’immenso Clint nello speciale sulla lavorazione, non è niente di troppo moderno, di troppo "gonfiato". Solo un buon vecchio film solido. Dici poco! Il prologo è già agghiacciante di suo, con i ragazzini Sean, Jimmy e Dave, che sul cemento fresco non riesce ad incidere per intero il suo nome, segno visivo di una personalità spezzata sul nascere. Da grandi saranno il poliziotto, il gangster pentito e lo psicopatico devastato dalla violenza subita da bambino. E la tragedia incombe in ogni singola inquadratura. Quello che mi stupisce di Clint è come abbia assorbito il cinema classico, come non ceda mai, nemmeno una volta, ad un ghiribizzo formale, un movimento di macchina o uno stacco che non sia più che necessario. Ogni dissolvenza, ogni panoramica ha un senso narrativo ben definito. Per lo spettatore anestetizzato è una mazzata sulla nuca. Per altri, diciamo così "più avvertiti", una boccata d’aria pura in un panorama cinematografico spesso desolante. Bel lavoro, Biondo!
IL RITORNO DEL FILM D’AVVENTURA
Piacevolmente sorpreso. E anche, una volta ogni tanto, soddisfatto dei soldi spesi. Ecco come mi sento dopo aver visto Master and Commander, recente ritorno alla grande di Peter Weir. Lo scetticismo pregiudiziale c’era, lo ammetto. Mi puzza sempre un film da Oscar con Russell Crowe in mezzo. A Beautiful Mind non mi era dispiaciuto, ma non mi aveva nemmeno colpito più di tanto. Qui c’è la stessa accoppiata Russell Crowe / Paul Bettany. Però è diverso. Merito forse del mare, e della sua potenza. Credo sia uno dei rari film contemporanei che riescono a rendere veramente bene un’atmosfera e uno scenario di duecento anni fa. Un film completamente al maschile. Le uniche donne sono la "Cara Sophie" cui il comandante Aubrey scrive e un’indigena brasiliana da urlo con la quale ovviamente l’integerrimo Aubrey scambia soltanto un’occhiata fugace. Comunque sia, il film sorprende, vuoi per la presenza in battaglia di ragazzi tra i dodici e i quindici anni (allora era costume, a quanto pare), vuoi per la potenza pura e semplice di una storia di agguati, inseguimenti e tempeste. C’è il momento "attimo fuggente", come in tutti i film di Weir, e c’è il momento "witness" (l’unione fa la forza). Ma poca retorica, e molte cannonate. Spettacolare senza essere tamarro. Una grande rarità. Peccato che il mio televisore abbia ricominciato a mostrare temibili schermate nere con riga bianca, e che abbia dovuto comprimere il panorama delle Galàpagos e di Capo Horn sul PC portatile…