Vinto dal fervente entusiasmo di Sissi e Francesco, appena ho visto che nel locale Blockbuster noleggiavano La casa dei 1000 corpi di Rob Zombie me lo sono subito accaparrato. Come spesso succede nel caso di un film di cui mi hanno parlato in termini troppo positivi, non sono riuscito a farmi coinvolgere più di tanto. Nel senso che – come horror – il film di Rob Zombie è troppo citazionistico e videoclipparo per prendermi allo stomaco. Però di testa ti prende molto. La storia è la solita dei ragazzotti che finiscono preda di una famiglia di assassini e vengono falciati uno ad uno. Il tono del film è grottesco e in una certa misura molto dylandoghiano (dello Sclavi migliore, non del DYD annacquato degli ultimi anni). Rob Zombie ha frullato insieme Tobe Hooper, Marylin Manson, Russ Meyer, Brian Yuzna, gli EC Comics e Zio Tibia, i classici Universal – il tutto condito con una bella iniezione di metal. Però a mio avviso, anche se le intenzioni erano buone, vedere gli originali (Hooper, Meyer e Yuzna in particolare) è sempre meglio. Comunque il film è abbastanza malsano, putrido, psichedelico, marcio, disturbante, sanguinoso da divertire un sacco. Torture e rasoiate a go-go e un finale delirante tra satanismo e rivelazione del personaggio che si nasconde nelle caverne sotto la casa dei protagonisti. Rob Zombie, nell’intervista, racconta dei suoi problemi a far uscire il film (ci ha messo 4 anni, è tutto detto). La frase migliore è "Alla fine la Warner non si è fatta problemi etici a far uscire il mio film. Loro sono d’accordo con tutto ciò che corrisponde al loro senso morale. Quindi, dato che il mio film è completamente amorale…" ;-))
CHE PASTICCIO, BRIDGET JONES!
Bridget Jones: The Edge of Reason non è bello quanto il suo prequel. Non è altrettanto divertente, non è altrettanto eccitante, non è altrettanto commovente. Anzi, per dirla tutta è anche poco originale. Però si salva almeno un po’. Perché Renée Zellweger non è ancora arrivata al punto di rifare sé stessa con troppo compiacimento, e perché la sua interpretazione della casinista totalmente fulminata sembra sincera. Colin Firth ha sempre la sua impagabile scopa nel culo e Hugh Grant è splendidamente stronzo con classe. Infatti non si capisce perché, invece di rilanciare, la commedia ricalchi a carta velina il film precedente. All’inizio è dovuto. Si tratta di autocitazione con sorpresa. Poi è semplicemente noioso: Firth e Grant rifanno la stessa scazzottata con le stesse mosse e sbuffi del primo film: solo di giorno, in un’altra location e con un’altra musica (i Darkness al posto di Geri Halliwell – e non so se il cambio guadagna). Le gag sono divertenti, questo è certo. Bridget sugli sci, Bridget che deve acquistare il test di gravidanza, Bridget che fissa Darcy mentre dorme, Bridget che si fa consigliare dal tassista, Bridget che mangia i funghi allucinogeni e l’inevitabile Bridget che prova la guaina contenitiva. Però sono slegate, messe lì una di seguito all’altra (in effetti anche il secondo libro non aveva la stessa freschezza del primo). La colonna sonora manda in visibilio tutte le femmine in sala, ma a parte quella non c’è niente di nuovo sotto il sole. Piuttosto, si nota con amarezza quanto siano invecchiati tutti gli attori principali. Persino Stefi, che nella vita è una delle molte donne totalmente identificate con Bridget (anche lei mi fissa mentre dormo), ha da ridire sull’originalità del film. Ma il suo sguardo lucido sui titoli di coda mi fa capire che sta solo aspettando l’uscita del DVD per consumarlo nel lettore come ha fatto col primo episodio (record di visioni ripetute: 23, di cui in lingua originale: 18).
MA COSA FAI, SOFFI? SUCCHIA, SUCCHIA…!
A volte fa bene al cuore rivedere un classico. Amarcord, ad esempio, che è in assoluto uno dei miei cult movies di sempre. Ancora oggi la tabaccaia tettona mi procura un fremito di gioia. Titta, come me, ha l’ossessione della carne. Anzi, della carnazza. Bellissimo il gioco erotico del "ti sollevo anche se pesi 140 kg" che scatena un attacco di ninfomania nell’immensa femmina felliniana. Quell’immagine è più terrena (anche se non ugualmente simbolica) della mega Anitona di Le tentazioni del dottor Antonio (episodio di Boccaccio ’70). Comunque siamo sempre lì… "Bevete più latte!", "Ma cosa fai soffi? Succhia, succhia!"… Ci aveva un po’ una fissazione quest’uomo, neh? 😉