MASCELLE, TETTE E INCANTESIMI D’AMORE

Metto le mani avanti: Harry Potter e l’Ordine della Fenice è il miglior film della serie finora prodotto. Riporto le mani dietro la schiena, le intreccio e scuoto la testa: certo che il libro è molto meglio. Qualunquismo critico che colpisce tutti i fan, senza scampo. Però è vero: il film impressiona positivamente anche i lettori più avidi e disincantati (disseminando piccole strizzatine d’occhio poco comprensibili ai più) e – dai commenti sentiti all’uscita dalla sala – spinge anche i più refrattari al pio proposito di leggere i libri. Forse perché, per una volta, l’accetta degli sceneggiatori ha segato via quello che poteva/doveva senza compromettere la comprensibilità di parte della storia (come avveniva pesantemente nel Calice di Fuoco). Noi fan della carta stampata abbiamo rinunciato da tempo alle sottigliezze psicologiche e alle analisi dei sentimenti e dei moti del cuore che rendono le ore di lettura così gioiose (tanto ci rifaremo il 21 con HP & the Deathly Hallows). I potter-film sono fatti pressoché totalmente di azione e – come è giusto che sia – tutto è reso visivamente. Le storie in incubazione tra Ron e Hermione e tra Harry e Ginny? Semplice: sono affidate ad un buon gioco di sguardi e all’intuizione corretta di rendere Cho Chang la traditrice dell’Esercito di Silente (motivo sufficiente a Harry per snobbarla dopo averla slinguata sotto un vischio che si gonfiava in modo preoccupante). La battaglia finale al Dipartimento dei Misteri? Supercompressa, senza cervelli semoventi e tentacoluti e senza simultaneità d’azione. D’altra parte, grandi intuizioni visive e ottima resa della stanza del velo. Ogni scena ha i suoi pro e i suoi contro, ma per la prima volta, forse, non si è tanto interessati al confronto e ci si lascia trasportare dal film. In più punti sembra di trovarsi in Star Wars (vedi duello finale Voldemort/Silente): togliendo l’approfondimento psicologico da Harry Potter si resta con in mano la struttura di un archetipo, che è esattamente lo stesso di Star Wars (solo che Lucas, l’approfondimento, non ha mai nemmeno lontanamente pensato di aggiungerlo). Scenografia ed effetti speciali come sempre da Oscar, simpatiche trovate, ottime interpretazioni (su tutte le nuove arrivate Luna Lovegood, Bellatrix Lestrange e Dolores Umbridge, molto convincenti) e battute da urlo (Mrs. Weasley ai gemelli: "Solo perché siete maggiorenni non è il caso che tiriate fuori la bacchetta in continuazione" – o qualcosa del genere, potrei ricordare male). Punto debole: l’accenno troppo veloce alla memoria di Piton da giovane (quello sì che andava approfondito). Peraltro il film scorre felicemente fino all’inevitabile (ma ancora per poco) lieto fine tra un mascellone fuori misura (quello di Harry), un paio di tette sotto misura (quelle di Hermione, simpaticamente "gonfiate" in un poster ritoccato e poi tolto dalla circolazione) e qualche incanto Patronus di troppo (quest’ultima frase solo per giustificare il titolo del post, sapete com’è)…

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OVERDOSE SERIALE (BETTY SUAREZ E’ LA MIA MUSA)

Sarà la situazione da orfani di Lost, che ci fa ricercare a tutti i costi un sostitutivo della dose settimanale? Alcuni si immergono in un immaginario mutante carico di misteriosi superpoteri, altri si imbarcano in intrighi da Peyton Place postatomico… Io mi faccio le overdose di Ugly Betty. Agganciato subito. E’ bastata la prima puntata in italiano per scaricare di botto tutta la prima stagione. Ora guardo Betty a ogni ora del giorno e della notte (quando non lavoro, si intende). Stanotte l’ho anche sognata. Mi parlava, parlava al mio cuore. Sono fottuto. Ma andiamo con ordine. Ugly Betty è un Diavolo veste Prada in salsa chili, che mescola sitcom e intrighi da soap opera (ci sono omicidi, misteri e cambi di sesso spettacolari, roba da Beautiful per intenderci). Ci sono personaggi così camp che guarderesti la serie solo per loro, come se Armistead Maupin fosse stato assunto per l’occasione come dialoghista. E poi c’è lei, Betty Suarez, una signora Malaussène al quadrato, capro espiatorio di un’intera società con baffi, apparecchio per i denti, sopracciglione e vestiti assurdi. Betty che ovviamente è tutti noi, Betty che alle mazzate della vita risponde sempre con il suo metallico sorriso. Insomma, vedere Ugly Betty fa bene. Peraltro, la gnocca abbonda comunque, dato che nel corso della stagione fa la sua comparsa anche Rebecca Romjin (lei fa sempre la sua porca figura). Sarà che ho la predilezione per il tipo latino. Io adoro Michelle Rodriguez, Rosario Dawson, Salma Hayek – tra l’altro, guarda caso, produttrice esecutiva e guest star della serie – ed Eva Longoria, ma faccio i miei brutti pensieri anche su America Ferrera, quando si toglie l’apparecchio. Insomma, non posso fare a meno di tifare per Betty. Almeno mi toglie dalla testa l’isola per un po’…! 🙂

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E’ LA (PSICO) MAGIA BABY, E NON PUOI FARCI NIENTE

OK, le cose sono andate così. Da parecchi giorni, da quando ho racimolato i biglietti, aspetto questa occasione. Ci prepariamo, io, Léaud e rispettive consorti, per andare alla conferenza del grande Alejandro Jodorowsky, per noi, più semplicemente, JodoSan (con riferimento alle sue proprietà curative). Ognuno con le sue aspettative, ognuno con il suo tesoro nel cuore. Io, per me, ho seguito Jodorowsky negli anni interessandomi moltissimo al suo cinema, un po’ meno al suo teatro, approcciandomi con curiosità ai fumetti scritti per Moebius e ultimamente leggendo i suoi scritti (non vi nascondo che La via dei tarocchi, che fa bella mostra di sé anche nella mia libreria su aNobii, è duretto da digerire, ma ce la sto facendo a spizzichi e bocconi). La conferenza, organizzata dall’ormai mitico Circolo dei Lettori, ha un pubblico assolutamente eterogeneo. Parte con JodoSan e traduttore che spostano il tavolo sul fondo, "per non avere nessun tipo di diaframma tra loro e il pubblico". Applausi. Poi, non so. Il titolo della serata era "Io, il tarocco". Di tarocchi non si è nemmeno parlato tanto. Il traduttore non riesce a star dietro al fiume di parole del cileno che si fa capire benissimo anche senza traduzione. Dice enormi banalità ma riesce a dirle con quel carisma che tu pensi "Cristo, è proprio così, non ci avevo mai pensato". E in effetti non ci avevi mai pensato. Non in quei termini, almeno. Per parlarti delle sue nevrosi ti racconta di quando a quattro anni il padre gli strappa la catenina col crocifisso e la butta nel cesso, dicendo "Dio non esiste, cretino!" mentre tira l’acqua. Da quel giorno si sente un diverso perché gli altri bambini sperano nel paradiso e lui ha solo vermi e putrefazione davanti a sé. Perché JodoSan è così, prendere o lasciare. Quando poi chiama la gente del pubblico per dare dimostrazione di tarologia o meglio ancora di consigli di psicomagia (dài che li conoscete, sono quelli che elargisce anche dalle pagine di XL), è il delirio. Tutti piangono e buttano fuori il loro vissuto doloroso e lui dà a ognuno le sue mitiche istruzioni, tipo: ràsati tutti i peli del corpo, dipingiti di vernice dorata, spalmati la fronte con le tue feci e vai in giro nudo in una strada affollata (a un tizio in crisi creativa); infilati una moneta d’oro nella vagina e toglitela solo la notte (per una tipa insicura); dipingiti i testicoli con colorante alimentare rosso (per depressi impotenti – da notare l’importanza ricorrente della pittura); mescola il tuo sperma all’inchiostro della stilografica (per il blocco dello scrittore – e qui mi viene spontaneo pensare: se ho il blocco del blogger cosa metto, lo sperma sulla tastiera?). Ma tant’è. A parte il folklore JodoSan è illuminante, e usciamo tutti un po’ più arricchiti e parecchio divertiti. E’ già qualcosa, no?

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