No, solo per dire che Mika si è messo d’accordo con quelli di Ugly Betty per il promo assolutamente da urlo della prossima imminente stagione…! Qui il video e qui anche il backstage… We love Betty!
Tag: ugly betty
No, solo per dire che Mika si è messo d’accordo con quelli di Ugly Betty per il promo assolutamente da urlo della prossima imminente stagione…! Qui il video e qui anche il backstage… We love Betty!
Tag: ugly betty
Quest’estate, mi sa, sarà ricordata come quella in cui è morto il grande cinema. Anche Antonioni se n’è andato, nello stesso giorno di Bergman. E come tutte le volte che manca un autore sui cui testi filmici ho riflettuto a lungo, ci rimango un po’ così… Come se qualcuno mi avesse portato via un pezzo di passato. Oggi come oggi dove sono le possibilità di vedere un film come Il deserto rosso, L’avventura, Blow Up (per citare solo i miei tre film preferiti)? Non ci sono, e anche se ci fossero non avrei più la forza, il coraggio o la costanza di guardarli. Antonioni non è mai stato un grande sceneggiatore, ma un pittore dell’inquadratura quello sì. Antonioni è arte contemporanea al cinema. Quella che non capisci, quella che ti turba, a volte persino quella che dici "ma sì la sapevo fare anche io un’inquadratura così". Eppure no. Non ha mai smesso di sperimentare, nemmeno in vecchiaia, nemmeno nella malattia. E anche se le sue ultime prove non mi hanno mai convinto più di tanto, resto in sintonia con la sua ricerca degli anni ’60 e ’70 e riguardo periodicamente i suoi film per trovare qualcosa di ineffabile, perché – parole sue – "noi sappiamo che sotto l’immagine rivelata ce n’è un’altra più fedele alla realtà, e sotto quest’altra un’altra ancora, e di nuovo un’altra sotto quest’ultima, fino alla vera immagine di quella realtà, assoluta, misteriosa che nessuno vedrà mai, o forse fino alla scomposizione di qualsiasi immagine, di qualsiasi realtà".
Tag: michelanelo antonioni, deserto rosso, blow up, avventura
La notizia della morte di Ingmar Bergman mi ha colpito improvvisamente. Mi ha fatto sussultare. Bergman è (era) un punto fermo nella mia vita, nella mia formazione. Bergman era semplicemente lì, come un misterioso e antico luogo da visitare, in cui perdersi. Un labirinto all’interno del quale ho viaggiato per anni, uscendone a tratti per poi rientrarci. Nei miei primi dieci anni di vita ho visto più volte Il settimo sigillo, forse il suo film più noto al grande pubblico. La storia del cavaliere che gioca a scacchi con la morte, oltre ad essere visivamente splendida e ricca di battute folgoranti (come quella che dà il titolo al post, originariamente riferita all’amore), mi ha insegnato il valore del dubbio e l’infelicità che accompagna qualunque ricerca della verità. Nella mia adolescenza preferivo cullarmi nelle visioni più terrificanti evocate da Bergman in L’ora del lupo, affascinato soprattutto dalla maestria nel mettere in scena i (propri) demoni interiori. Adesso posso dire che il film che risuona più intensamente dentro di me, e che rivedo più volentieri, è Persona. La parola e il silenzio che si confondono, le pulsioni più oscure, la "sanità" e la "follia", tutto si risolve in una fusione di volti in primo piano. La mia ammirazione alla vita e all’opera di un uomo che ha scritto, nella sua autobiografia, "io vivo sempre nel mio sogno: di tanto in tanto, faccio una piccola visita alla realtà".
Tag: ingmar bergman, seventh seal, hour of the wolf, persona