FACEBOOKMANIA: LA STORIA SI RIPETE

Internet va a tendenze, questo si sa. Ci sono le meteore (le mode passeggere, tipo Muxtape) e i trend più duraturi. Per chi, come me, volente o nolente ne fa un lavoro e un oggetto di studio, è una cosa risaputa. Ad esempio, da tre o quattro mesi (un’eternità, sul web) la tendenza più cool è essere su Friendfeed. Perché Friendfeed è secco, senza fronzoli, raccoglie il tuo lifestream (tutto ciò che pubblichi su blog, Flickr, Twitter, YouTube e simili) in un unico posto, permette l’inserimento di commenti e favorisce conversazioni inimmaginabili in altri luoghi.

Ora, questo è indubbiamente bello e interessante. Gli sperimentatori sono tutti lì, tant’è vero che persone che prima bloggavano o twittavano molto non lo fanno più: vanno direttamente a postare su Friendfeed (è ipnotico, giuro… sembra di essere in una enorme e continua blogfest dove tutti parlano con tutti). Ma – appunto – Friendfeed è frequentato da un’avanguardia di “tipi da blogfest”. Tutti gli altri, quelli che ormai hanno assimilato blog, Flickr, YouTube perché bene o male sono patrimonio mediatico comune, dove vanno?

Sorpresa, sorpresa. Vanno su Facebook. Ci siamo affrettati troppo ad etichettare quel network come idiota e demoniaco. Su Facebook ci vanno i delusi di MySpace. Ci vanno i blogger che prima lo disprezzavano ma “ora che ha cambiato interfaccia è molto più sensato” (è vero, by the way). Ci vanno i colleghi di lavoro. Ci vanno gli amici del calcetto. E prima che tu te ne accorga, santo dio, su Facebook ci va persino tua zia! Dicono addirittura (sia ben chiaro, io a questa statistica credo molto poco) che le applicazioni sociali hanno superato il porno sul web. La notizia è di un anno fa, ma si sa che qui da noi le tendenze americane arrivano con un po’ di ritardo.

Qui si tratta veramente di una reazione a catena. Nel mio caso: Facebook inizia come d’incanto ad essere utilizzato da alcuni colleghi di lavoro. Improvvisamente si stabilisce una rete parallela, una società massonica di persone che – se va bene – si parlano dal vivo in ascensore, ma che su Facebook si scambiano battute e attestati di stima. Scopri cose che non sapevi delle persone che vedi tutti i giorni. Cominci ad arricchire il tuo profilo, ci prendi gusto, e intanto arrivano mille richieste di amicizia da gente che non conosci. Sono gli amici degli amici.

C’è chi non aggiunge contatti che non conosce personalmente. Io, per me, sono ecumenico. Aggiungo chiunque, tanto ci sono i filtri per “gruppi di amici” e io ho creato un simpatico gruppo “Sconosciuti” (oltre ad almeno dieci altri gruppi). E’ persino scemata un po’ l’iniziale viralità idiota di Facebook (quella, per intenderci, dei giochini spammati a tutti i contatti). Se un tempo ci si poteva lamentare di vampiri, zombi, lotte coi cuscini e simili, ora va decisamente meglio. La gente ha imparato la funzione del tasto “Skip” e del tasto “Ignora”.

Persone insospettabili cominciano a parlare bene di Facebook, e alla fine mi trovo di fronte ad un articolo come questo, che dice più o meno quello che penso anche io e che propone una illuminante applicazione, la Friend Wheel. Con la Friend Wheel scopro, per fare solo un esempio, che il mio amico Luca Morellato (uno dei protagonisti di Souvenir) è amico anche di Guido Catalano! Lo avrei mai saputo senza Facebook? Non lo so, anche perché non son persone che vedo ogni giorno. Ma mi fa piacere saperlo.

Facebook ha le carte in regola per sfondare in modo trasversale, perché in fondo va bene ai socialmaniaci, che possono commentare tutto ovunque (e comunque la nuova interfaccia ha imparato la lezione da Friendfeed) e va bene ai pigri, che non hanno più bisogno di mail, chat, blog, Flickr, YouTube, LastFM e via dicendo, tanto hanno più o meno tutto lì dentro. E questo rende Facebook il lougo ideale per fermarsi a cazzeggiare (o, se vogliamo dirla in modo cool e 2.0, per affidarsi alla serendipity).

La ricetta di Facebook sembra misteriosa, ma non lo è. Racchiude ingredienti che vengono da diversi contesti e diverse epoche. Banalizziamo un po’ (ché tanto qui vien sempre comodo): c’è stata la preistoria del web (Tim Berners-Lee, il W3C e compagnia cantante); la sua età antica (Gopher, Lynx, ipertesti, BBS); l’età barbarica (Mosaic, HTML e grafica accostati a cazzo); il medioevo (Geocities e simili); il rinascimento (mailing list, forum, i gruppi di Yahoo, la maturità dell’e-commerce); l’età barocca (la bolla di internet, i portali web, i folli investimenti sull’advertising on line); il neoclassicismo e l’illuminismo (la bolla che scoppia, le prime avvisaglie di read-write-web e i primi blog); il romanticismo (la blogosfera del periodo aureo); il positivismo (il web 2.0 è nostro amico e risolve qualsiasi esigenza, sempre). Adesso la metafora non mi torna più tanto bene, perché dopo il positivismo non so cosa mettere.

Siamo nel decadentismo? Nel periodo delle avanguardie? O siamo già arrivati al postmodernismo? Comunque quel che volevo dire è che Facebook raccoglie briciole di attività, gesti e interrelazioni da tutte le web-epoche precedenti. E in un mondo che di memoria ne ha poca, a me sembra già qualcosa.

A QUALCUNO PIACE TANTA

Lo so. L’estate fa strani scherzi, e la parte più animale del cervello tira fuori l’ispirazione per i post più idioti e inutili. Ma non sarà peggio di un servizio dell’Espresso su come sedurre il vicino di casa / di scrivania / di ombrellone, fidatevi. L’argomento di oggi è la donna “tanta”. La donna con qualche chilo di troppo, morbida, formosa, in carne, cicciotta, quello che volete voi. Che per me è l’ideale erotico incontrastato.

Qui sono costretto a segnalare che il mio immaginario sessuale si è formato abbastanza prestino (diciamo tra il 1978 e il 1982). I “testi sacri” per me sono stati i Playboy annate 1971-74 di mio padre, i fumetti di Robert Crumb e i film di Russ Meyer. Un imprinting così non si dimentica: ancora oggi scarico con venerazione i capolavori del maestro, dato che in età scolare ho avuto modo solo di consumarmi gli occhi su qualche illustrazione.

Parafrasando una vecchia battuta di Bisio, per me “sotto la quinta non è vero amore“. La donna vera, la donna “tanta” deve avere grandi tette, gran culo e cosce come la colonna di un tempio romano (lunghe, abbondanti e sode). Poi, logico, la donna ideale ha anche mille altre qualità, quasi mai ascrivibili all’aspetto esteriore, ma lasciate che sia sincero. Diffidate di quelli che dicono di essere colpiti “dagli occhi” o “dalle mani”. Tette, culo e cosce sono le prime cose che un uomo guarda. Non è colpa nostra, siamo fatti così. Poi impariamo ad apprezzare anche il resto.

C’è un problema, nella caccia alla donna “tanta”. Questi esemplari in genere sono poco convinte del proprio fascino e pensano che l’uomo le avvicini solo per del sesso facile (che loro, a sentire gli stereotipi comuni, elargirebbero a destra e a manca per compensare il fatto di non essere “taglia zero”). Ma via, le taglie dalla zero alla 44 sono un’invenzione della lobby di maschi gay che controllano il mondo della moda… lo sanno tutti! La donna vera è sopra la 46! Le curve morbide hanno un sacco di vantaggi: ottime da abbracciare notte e giorno, quando ci fai correre le macchinine sono tutte un saliscendi, sono carezzevoli e antistress.

Poi c’è la donna “tanta” e aggressiva, alla Beth Ditto (che tra parentesi apprezzo più come cantante che come fat dyke, ma ho trovato geniale e liberatoria la scelta di posare nuda con tatuaggi e rotoli di ciccia inclusi). L’aggressività unita alla ciccia può intimorire, ma è comunque sexy quando è positiva (tipo Hairspray, per intenderci). Alla fine vedo di non essere riuscito a fare un discorso compiuto, ma tant’è. Pensare alle donne in carne mi manda in confusione.

Amazzoni abbondanti, siete avvertite: tenete le vostre curve ondeggianti lontano da me.
Con le magre abbaio, ma con voi mordo e lascio il segno.
Se invece stai leggendo e sei legata a me da un vincolo matrimoniale, ricomponiti: sei la mia sola e unica dea del morbido…! 😉

Ah, dimenticavo.
Eccovi un po’ di colonna sonora per leggere questo post: qui, qui, qui, qui, qui e qui.
Se poi qualcuno ne ha altre, segnalatemele…

IL FUNERALE LAVA PIU’ BIANCO

Ho un po’ di difficoltà ad iniziare questo post. Come lo comincio? Di funerali qui, purtroppo, se n’è parlato a iosa in passato. Ma ora si tratta di un’altra cosa. Ecco, forse potrei usare una di quelle frasi ad effetto tipo “C’è crisi, ma le ditte di onoranze funebri in crisi non ci andranno mai, quindi è il business perfetto”. Vero, ma non è quello il punto. Il punto è che da un paio di mattine ho cambiato strada per andare in ufficio, e nel viale che percorro adesso son tornate alla carica le pubblicità dei funerali.

E mi domando: è vero o no che Torino è l’unica città d’Italia con le pubblicità dei funerali? Il torinese medio non può non averle viste. Sono quelle affissioni a metà tra il goth e il kitsch che in genere hanno un visual raffigurante una candela, un libro di ricordi, un volto addolorato in primo piano, un fior di loto (!), due mani che si stringono, e via dicendo. I claim, spesso scritti in un carattere “urlato” suggeriscono competenza (“rendiamo onore alla storia di una vita”), mettono in guardia (“nell’ora più difficile, farsi confondere è più facile”), a volte hanno una sottile voglia di comparazione – anche se non sarebbe molto elegante.

Insomma, mentre in altre città i settori tlc e automotive sono padroni delle affissioni stradali, a Torino impazza il settore mortuario. Certo, ricordiamo tutti che la motivazione principale è l’operazione “Caro estinto” del 2001 (ripresa poi di recente, dato che l’erba cattiva difficilmente muore). Se ne parla anche su funerali.org, un blog seguitissimo che mi ha aperto un mondo di servizi cimiteriali, corsi per necrofori e humor lapidario. Dal 2001 in poi, insomma, le pompe funebri si son scatenate in creatività, portando Torino alla pari con una qualsiasi città americana (gli states sono la patria della pubblicità post mortem).

Parlando con un assiduo lettore di questo blog che forse preferisce restare anonimo, è emerso che questa esposizione mediatica è tutta piemontese. Nel senso che per il piemontese è tipico farsi due conti sul suo bel loculo già verso i cinquant’anni. Da cui l’esigenza sentita di comparare il ventaglio di offerte sul mercato che – lo ricordiamo – partono dal “funerale solidale” a tariffa fissa (con tanto di highlight col prezzo in ribasso che nemmeno sui volantini del Lidl) e arrivano al funerale “Electa” (offerto da un’arcinota ditta torinese) con necrofori/modelli vestiti Armani, Mercedes con sedili in pelle e adagio di Albinoni.

Comunque sia, sarà anche vero che dobbiamo morire tutti e che almeno una volta nella vita dovremo contattare (cioè gli altri dovranno contattare per noi) una ditta di onoranze funebri. Però dai… Io la pianterei con queste pubblicità ovunque. Oltretutto rischio sempre di schiantarmi in moto se devo stare costantemente con una mano sui coglioni.

Ops. Forse è quello che vogliono. Astuti.