LO SPIRITO CONTINUA

Un po’ per passione e un po’ per lavoro (ma di quello parlerò poi) stavo spulciando i vecchi archivi di storia del fumetto. Ogni volta che lo faccio, mi torna sottomano The Spirit, l’atipico personaggio del genio Will Eisner che ha rivoluzionato il linguaggio dei comics traghettandolo verso la modernità. Spirit nasce in un’epoca di supereroi (non la Golden Age, certo, ma comunque il buon vecchio Superman era già in giro), ma pur concedendo agli stilemi dell’epoca il contentino di una “maschera”, una identità segreta o almeno nota a pochi e un’elaborata storia delle sue origini è comunque di base un detective comic vecchio stampo, che mantiene quello che promette ad ogni uscita: mistero, azione, avventura.

Corro in fumetteria a vedere se i megavolumi (gli Archivi di Spirit) della Kappa Edizioni sono scesi di prezzo. Non sono scesi di prezzo. Sono e restano inaccessibili. Però… c’è un però. Mi ricordavo che già nei ’90, prima della sua morte, Eisner aveva tentato il rilancio modernizzando il personaggio. Nulla di fatto. Ma non avevo ancora fatto il mio incontro con Darwyn Cooke. Cioè, sì… Avevo letto qualcosa di suo su Spider-Man’s Tangled Web, apprezzavo il suo stile a metà tra il realistico, il manga e l’illustrazione stilizzata alla UPA. Ma non sapevo che avesse preparato l’ingresso di Spirit nel nuovo millennio.

Prima disegna un crossover tra Batman e Spirit, inserendo quest’ultimo nell’universo DC. Poi, tra il 2007 e il 2008, realizza dodici albi dedicati all’eroe di Eisner (appena usciti per Panini in due agili volumi e subito acquistati). La rivisitazione di Spirit è al tempo stesso filologica e inserita nella contemporaneità. Ci sono tutti i personaggi di contorno (compreso il contestato Ebony White, felicemente trasformato da Cooke in un ghetto wiseguy), c’è la storia delle origini, c’è il rispetto del format (brevi storie autoconclusive), c’è l’attenzione al dettaglio pittorico, alle titolazioni grafiche, a tutto il linguaggio innovativo di Eisner. E il tratto di Cooke non sfigura assolutamente, anzi!

Partito con l’intenzione di fare un tuffo nel passato, insomma, mi sono immerso nel futuro di un personaggio di quelli che definirei “fruibile su più livelli di lettura”. Ora non mi resta che attendere con pazienza il film di Frank Miller, che insieme a Watchmen (da Moore e Gibbons) è il più atteso da queste parti.

P.S.: per chi pensava che il post fosse dedicato ai Negazione, beh… Non voglio deludervi. Rileggete tutto quanto ascoltando questa traccia!

IO E WOODY

In queste settimane sono particolarmente assorbito dalla lettura di un tomo che suggerisco a quanti di voi amano leggere di cinema. Si tratta di Conversazioni su di me e tutto il resto, di Woody Allen ed Eric Lax. Dove Woody è Woody, ed Eric Lax è un amico giornalista che lo ha tallonato dal 1972 a oggi chiacchierando con lui sulla lavorazione di ogni film realizzato dal maestro di Brooklyn, da Prendi i soldi e scappa a Vicky Cristina Barcelona. Non è un libro di battute, quindi non aspettatevi nulla di particolarmente umoristico (anche se in retro di copertina c’è una delle migliori battute sulla morte mai scritte).

Si tratta di interviste raccolte nell’arco di 36 (trentasei) anni e riorganizzate in maniera certosina dal curatore in modo da coprire le varie fasi del processo cinematografico, dall’idea alla scrittura, dal casting alle riprese, dal montaggio alla colonna sonora, per concludere con uno sguardo retrospettivo dello stesso Allen sulla sua intera carriera (e non ne vengono fuori giudizi lusinghieri).

Io amo molte cose di Woody Allen (non tutte, perché è chiaro ai più che – specie di recente – il suo talento è un po’ annacquato). Ma, come tutti, identificavo Allen nel suo personaggio, e non andavo al di là. Invece Woody Allen regista è molto diverso, e molto poco auto indulgente. La cosa più sorprendente è verificare il giudizio mediocre (ma da lui ampiamente giustificato) che dà del suo lavoro nelle sue opere più celebrate dal pubblico (Io e Annie o Manhattan, per fare due esempi famosi).

Leggendolo mi rendo conto che Allen, nel frattempo, ha realizzato 40 film, alcuni dei quali non ho visto (mi sono via via disaffezionato per tutti gli anni ’90 e 2000, finché non è uscito Match Point e ho scoperto un rinnovato amore). E mi è tornata la voglia di procurarmi alcuni titoli minori come Broadway Danny Rose, Un’altra donna, Misterioso Omicidio a Manhattan (a suo dire, uno dei film di cui è più soddisfatto oltre a Match Point).

Urge capatina alla FNAC per vedere se i suoi vecchi film stanno sempre a 9 euro.
O se, data l’uscita del libro, li hanno rimessi a 12. Che son capaci di tutto. Sti bastardi.

TIJUANA SEX REVOLUTION

Di recente, in una libreria di remainders, ho pescato un volumetto prezioso: Tijuana Bibles, di Hazard Edizioni (altrimenti note per l’edizione italiana di serie di Osamu Tezuka, Leiji Matsumoto e i pregevolissimi albi del nostro Lorenzo Mattotti). Il libretto di per sé può passare inosservato: l’ignaro lettore che lo sfogliasse in libreria si troverebbe di fronte a rozzi disegni pornografici spesso del livello di quelli che si trovavano sulle pareti dei cessi delle medie.

Ma la pubblicazione ha dalla sua un agile apparato critico, che è quello che serve per inquadrare il fenomeno e capirne l’influenza. Perché dire tijuana bible in America è come parlare dei mitici calendarietti del barbiere da noi (io negli anni ’70 ancora ne trovavo diversi dal barbiere sotto casa – un esempio qui). Oggi sono oggetto di collezionismo, ma negli anni ’30 – il decennio in cui ebbero la loro massima diffusione – si trattava di un fenomeno illegale che però espose i giovani maschi americani all’idea di rivoluzione sessuale.

Dove per rivoluzione si intende soprattutto l’idea eversiva che la posizione del missionario non fosse l’unica possibile e praticabile.

Tralasciando gli aspetti sociologici, quello che soprattutto interessa dei tijuana bibles, è l’aspetto fumettistico. In otto pagine scarabocchiate, troviamo Popeye, Biancaneve, Arcibaldo e Petronilla, Lil’ Abner, Topolino, Dick Tracy, Flash Gordon e un po’ tutti i personaggi più noti dell’epoca impegnati in prodezze sessuali spesso inverosimili. Uno sberleffo alla produzione “media” che grazie alle agenzie di syndacation si andava normalizzando anno dopo anno, presentando storie sempre più innocue (persino Hollywood nel 1934 se ne venne fuori col Codice Hays).

L’eco dei tijuana bibles arriva fino a noi sotto forme spesso irriconoscibili. Ma riflettendoci, se non ci fossero state le orge bollenti di Poldo, Braccio di Ferro e Olivia, non ci sarebbe stato Mad, non ci sarebbero stati Fritz il Gatto e Zap Comics di Robert Crumb, non ci sarebbe stato Gilbert Shelton, e a quanto pare nemmeno Art Spiegelman, che di certo non è ricordato per la sua produzione pornografica, ma che sui bibles ci ha scritto un intero saggio. A pensarci proprio bene bene, forse oggi non ci sarebbe neanche Makkox. 🙂

Il libro va assolutamente reperito, ma nel caso non si trovi, può bastare una visita a Tijuanabibles.org (astenersi benpensanti): non c’è molto apparato storico-critico, ma ci sono decine di storie scansionate. Per un po’ di storia in più e per i veri collezionisti, c’è Tijuanabible.org (il nome è quasi uguale ma il sito è diverso – un po’ più commerciale). Se poi non siete interessati alla pornografia vintage, mi chiedo perché siate arrivati al termine di questo post.

Anzi, mi chiedo cosa ci facciate qua in generale. Via!
Non siete degni nemmeno di Renzo Barbieri!
Tornate ai vostri video di Pamela Anderson! Sciò!