IO VOMITO E LORO SCOPANO. CHIARO, NO?

Sono in mutua. Il mio corpo si è ribellato. La scorsa notte, dopo una giornata di agonia passata in riunioni durante le quali il mio unico desiderio era andare in bagno, gli omini che abitano nella mia pancia hanno deciso di strizzare il mio stomaco e il mio esofago torcendoli come si fa coi panni per togliere l’umidità in eccesso. In questo caso, ovviamente, si trattava di cibo cinese in eccesso. Nella foga di arrivare in tempo sul water e di non sporcare l’asse (le donne non vogliono MAI che si sporchi l’asse) ho tentato di tirarlo su proprio mentre gli spaghetti di riso con gamberi si proiettavano fuori ad una velocità di 20 km/h. Con una certa sorpresa, subito annullata dalla torsione di tutte le fibre del mio corpo, mi sono dato l’asse del cesso sugli incisivi superiori, spaccando un pezzo di dente (finto, eh… però fa incazzare). Per me vomitare è innaturale. Se posso evito. E’ la cosa che più mi turba al mondo. Posso vedere gente ferita ma non gente che vomita. Soprattutto se quello che vomita sono io. Comunque sia, comprendo la necessità di liberarsi… dopo si sta meglio. Ieri notte l’ho fatto tre volte, e ho sentito le mie costole e la mia colonna vertebrale attuare espansioni e contrazioni estremamente spiacevoli, di cui risento tuttora. Comunque, se il mio corpo ha deciso così, vuol dire che dovevo prendermi una pausa. Così, scrivo queste righe prima di andare a letto, accompagnato da un suono ritmico, che fino a qualche minuto fa credevo provenisse dalla mia testa. Invece proviene dai vicini del piano di sopra. Stanno scopando da quindici minuti buoni sempre allo stesso ritmo, con un rumore nettissimo di molle del letto che cigolano seguito una frazione di secondo dopo dal suono della testiera che sbatte sul muro. Il mio vicino è una macchina: non perde mai un colpo! Il rumore mi ricorda Delicatessen, un vecchio film che ho rivisto da poco. Adesso hanno smesso per qualche secondo, si sono spostati emettendo qualche gemito soffocato e hanno ricominciato. Non che io voglia per forza fare l’audio-voyeur, ma che senso ha soffocare un gemito se praticamente stai facendo crollare il soffitto in testa al tuo condòmino malato? Comunque complimenti… Alla fine ce l’hanno fatta! Però mi domando perché, dopo, debbano fare dei rumori molto più forti, come se stessero spostando i mobili di casa loro. Forse la cosa si può spiegare col fatto che lui di mestiere fa il traslocatore?

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CI AVEVO SCARSA CONCENTRAZIONE ZEN

Ho fatto schifo a tiro con l’arco. Ci avevo scarsa concentrazione zen, ero stanco e scazzato. Poco concentrato. Tra un tiro e l’altro ho fatto sì qualche centro (per puro caso), ma più spesso ho tirato nella paglia. A un certo punto, preso dal sacro fuoco del kyudo, ho tirato una freccia troppo alta che è finita dritta sul muro in cemento armato in fondo alla palestra. Ci si è scontrata di punta con una certa violenza ed è rimbalzata indietro ritornando ai miei piedi (N.B.: tra me e il muro in fondo alla palestra ci sono circa 25 metri)… Momento di silenzio globale. Tutti gli arcieri si fermano. Guardano in basso, verso la freccia. Miyagi san si avvicina, si china con una certa difficoltà. Prende la mia freccia. La solleva. La osserva. Vede che la punta di acciaio è rientrata nell’asta deformando e aprendo in modo orribile il tubicino di alluminio. Mi guarda con espressione indecifrabile. Io lo guardo con espressione bovina. Dopo qualche secondo se ne va senza dire nulla, con la mia freccia in mano. Tutti ricominciano a tirare. Umiliazione massima.

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IL PARABRACCIO, QUESTO SCONOSCIUTO

SSSSSSSSTAKKKK! Il rumore della corda tesa e rilasciata che ripetutamente colpisce il mio avambraccio creandomi un papagno di dimensioni cosmiche, che fa sì che io non riesca nemmeno a tenere il braccio sinistro appoggiato alla scrivania mentre digito questo post. "Concentrazione, Pietro, concentrazione… ruota l’avambraccio, gomito in linea con la spalla, scapole in tensione", mi dice Miyagi san con tono sempre più zen. Ma non serve a nulla. All’ultimo mi sconcentro e sssssssssstakkkkkkkkk! "YAAAAAAAAAAAAAAAA!" (è l’urlo dentro la mia mente, perché di udibile pronuncio solo un flebile "Mmmmhhhgggh"). Perché io, furbo, porto il parabraccio quello piccolo, con la motivazione che uno più grosso mi impaccerebbe i movimenti. "Col cazzo", medito. "Domani mi vado a comprare quello integrale dal polso al gomito"!!! Non è il caso di passare un’altra notte a dormire col ghiaccio nel letto e l’odore di Voltaren che si mescola a quello dell’umidificatore. Altre frasi topiche di ieri (dal florilegio di Miyagi san): "Devi essere consapevole di ogni muscolo del tuo corpo, e devi usare meno muscoli possibile per tirare: solo quelli che servono. Il resto del corpo deve essere completamente rilassato". "Ti sei colpito il braccio con la corda. Ti verrà un livido. E’ l’arte che entra dentro di te". "Hai fatto centro." – "Ma come fai a dirlo, Miyagi san… sei vecchio, hai la periartrite e il diabete, come ci tiri fino laggiù?" – "Non lo vedo, lo sento dal rumore. La freccia che fa centro ha un rumore diverso dalla freccia che va in un cerchio esterno". Miyagi san dimostra quest’ultima affermazione girandosi dall’altra parte e annunciando la destinazione di tutte le mie frecce (centro, paglia, paglia, legno, cerchio esterno, centro, cerchio esterno). Mah! Miyagi san è un grande. Però io ho male al braccio.