LE GIORNATE DEL LIMBO (NON LA DANZA)

Queste sono le giornate del limbo. Quelle giornate indefinite di fine anno dove al 90% sei in ferie, un po’ perché devi esaurirle, un po’ perché sei esaurito tu. Ti muovi in pigiama e ciabatte in giro per casa sapendo che potresti anche fare qualcosa di utile, ma comprendendo nell’intimo che in realtà non hai voglia di combinare una beneamata mazza di niente. Ti leggi i libri che ti hanno regalato il natale prima, ti guardi qualche film. Esci con gli amici che non vedi dal natale precedente. E pensi all’anno passato e a quello che verrà. Come sempre, la maggior parte dei propositi ideati l’anno precedente non li avrai nemmeno messi in atto. Peggio ancora, non ci avrai nemmeno pensato. Li vai a rivedere sul blog. Resti basito. Hai centrato 12 proponimenti su 20! E’ più di quanto tu sia mai riuscito a fare durante la tua intera esistenza. Che stia cominciando ad imparare qualcosa dalla vita? A 36 anni, forse è giunta l’ora di cominciare a capire. Di separare la pula dal grano. E allora ricominci, e annoti i propositi per il 2007 con un briciolo di fiducia in più: il segreto è porsi obiettivi raggiungibili, ed affrontare la strada con serenità. Ricordando sempre e comunque che ogni mattina è l’alba di un nuovo giorno in cui qualcosa può andare storto

1. Lavorare meno, vivere di più e più lentamente
2. Andare di più alle mostre, ai concerti e a teatro
3. Gestire con più criterio la mia identità digitale all’interno dei social network 🙂
4. Fare un viaggio avventuroso, magari in moto
5. Dormire di più e non solo nel weekend
6. Tentare di gestire con leggerezza le mie responsabilità più pesanti
7. Fare molto sesso non protetto e procreare una piccola copia di Stefi
8. Danzare, danzare, danzare ascoltando più musica vecchia e nuova
9. Scrivere il romanzo che sta nel cassetto da un po’ troppo tempo
10. Comprare una bella casa (o almeno provarci)
11. Illuminare il mondo (o almeno il mio piccolo mondo)
12. Dare più ascolto a me stesso e alla mia follia

Resto sulla cifra magica: dodici, uno al mese. Chissà se posso farcela.

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SANTO SANTO SANTO IL NATALEEEEEE

Allora… Auguri in ritardo! Come avete passato il Santo Natale? Io personalmente avrei preferito ingoiare qualche sorso di acido muriatico… Eppure, nonostante le apparenze, è andato tutto meglio di quanto avessi mai osato sperare. Ora mi sto decomprimendo. Ho guardato C.R.A.Z.Y. – un film canadese di cui non sapevo nulla che mi è stato regalato da Léaud, che a sua volta ne sapeva ancora meno. Una piccola dimostrazione della sincronicità universale delle anime: mai nessun altro film (nemmeno Almost Famous) ha rivelato così tanti punti di identificazione con la mia vita. E non dico altro, salvo che io alla fine non sono diventato gay. A parte questo, la tre giorni muriatica è cominciata il 24 che come qualcuno ha giustamente fatto notare, è anche il mio compleanno (sì ne compio 36, sì mi hanno sempre fatto un unico regalo, sì sono sempre stato condannato alla messa di natale come festeggiamento). La mia dolce metà mi fa sonnecchiare e mi porta il primo regalo a letto (una borsa da arciere) mentre lei organizza le ultime cose da portare dai suoi. Il concetto è: prendere mia madre (60 km), portarla dai suoi (100 km) e passare lì il 24 il 25 e il 26 (malcontate 45 ore). Il fatto che sia il primo natale senza papà e senza nonna ovviamente complica tutto. Occorre stabilire nuove abitudini, nuovi rituali. Per i rituali ci pensa la mamma. Provate voi a nascere, crescere e maturare con una persona che fa dell’ansia, dell’angoscia e della depressione la bandiera di una vita intera. Nessuna colpa per lei, ovviamente: non si sceglie di essere malati. Ma mia madre si presenta così: ti dà la mano e ti dice "Piacere, sono una nevrotica fobico-ossessiva a componente isterica". A volte penso che goda della sua malattia. Specie quando afferma con un certo orgoglio che anni di ricoveri in cliniche varie, decine di psicofarmaci diversi e 12 anni di psicoanalisi non sono riusciti a guarirla, che lei è un caso più unico che raro. Comunque la mamma sa essere piena di verve, quando vuole. A natale ce l’ha fatta, con i suoi modi ed i suoi tempi (si sveglia alle 18 e vive felice fino alle 3 del mattino poi passa alla fase insonnia fino alle 11 e dorme profondamente dall’ora di pranzo all’ora di cena). Purtroppo la mamma è anche la persona che ha in assoluto il minor senso di adattabilità che io abbia mai potuto osservare in un essere vivente. Perciò in casa d’altri dorme ancor meno, perché il letto è diverso. Ragion per cui il 26 è stato un po’ più pesante. Senza contare la notte tra il 25 e il 26, in cui l’unico che può reggere i suoi ritmi circadiani (io) si è dovuto sobbarcare le periodiche fasi depressive della genitrice (la vita non ha senso, non esiste la felicità, ci sono solo momenti orribili e momenti pessimi che si alternano tra loro, e via così). Quando vuole, infatti, la mamma sa anche essere un vero e proprio buco nero capace di assorbire qualunque barlume di gioia e speranza attorno a lei nel raggio di 200 metri e farlo sparire in un’altra dimensione. Ma so che non sono l’unico ad avere problemi. Anche la madre di Stefi ha prodotto un po’ di elettricità nell’aria. Specie quando Stefi era nei dintorni. Spiace sempre litigare con i familiari, ma io penso che le festività siano nate apposta per far esplodere malcontenti, scazzi e rancori. In ogni caso, non pensate male. Abbiamo mangiato, abbiamo dormito, ci siamo rincoglioniti di fronte alla tv. Abbiamo persino avuto la dissenteria. Cos’altro si potrebbe volere di più? Meno male che adesso si prospetta qualche giorno di ferie da soli: io, Stefi e lo Zen Vision (in qualche modo bisogna pur compensare)…

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ALIENAZIONE (MA NON E’ UNA FICTION)

7.45
La sveglia. Ultimamente non la sente nemmeno. Una mano fuori dal piumone, un tocco sullo snooze e voilà. Altri dieci minuti tra le braccia di Morfeo. Ma come tutte le mattine l’ansia lo attanaglia quasi subito, come una mano fredda alla bocca dello stomaco. Un altro giorno. Un altro fottutissimo giorno sta per cominciare, pensa. E deve scendere dal letto. Non ne può fare a meno.
8.30
Esce di casa. Chiude a chiave, prende l’ascensore. In strada, ricorda improvvisamente di aver lasciato su alcuni documenti di fondamentale importanza. L’agenda del suo cellulare segna per la giornata nove appuntamenti. Anche se lui preferisce definirle incombenze. La sensazione che prova ormai da tempo è quella di non vivere più la sua vita ma di essere condannato a vivere quella di un altro. Quella di un personaggio di un libro di Kafka, per la precisione. Controlla: c’è tutto. Inforca lo scooter e percorre i 3200 metri che lo separano dall’ufficio come fa tutti i giorni. Con lo sguardo vacuo, i riflessi automatici e la mente impegnata a tener testa alla mano fredda che artiglia ogni ora di più.
9.00
In ufficio dovrebbe lavorare. Si sente anche un po’ in colpa, quando capita così. Quando capita di passare quasi tutta la mattina a rincorrere al telefono l’INPS, l’Agenzia delle Entrate e gli uffici comunali. Tutto deve essere in ordine, tutti i documenti devono essere pronti, controllati e ricontrollati. La pausa pranzo servirà ad annullare definitivamente l’ansia.
10.30
Si prende un caffè. Si lascia il tempo di ascoltare i racconti della collega e di guardare con occhio divertito le foto delle sue vacanze a New York. Un po’ gli dispiace di non partecipare come vorrebbe alla discussione, ma dietro la facciata, nella sua mente, si agitano cifre, calcoli, progetti, strategie e piani per stirare e rimettere a nuovo la sua vita stropicciata. Ce la posso fare, pensa. Ce la devo fare.
12.30
E’ il momento. Prende congedo dai colleghi. "Vado in posta, ci vediamo tra un’oretta". Se me la sbrigo, pensa, potrei anche passare alla FNAC a prendere gli ultimi regali di natale e mangiare un panino lì.
12.40
La posta centrale si presenta come una scena apocalittica. Il primo ostacolo è il numero. Il primo ostacolo è sempre un numero. L’impiegata troppo truccata gli consiglia un numero serie "P". Glielo porge. C’è scritto "P278". Stanno servendo il "P196". Poco male, pensa. Intanto compilerò i moduli, e completerò la preparazione delle raccomandate.
12.50
I moduli sono perfettamente compilati. Stanno servendo il numero "P199".
13.00
La testa gli cade. Deve solo fare attenzione a non lasciar cadere le raccomandate, i bollettini ICI e l’F24. Poi, forse, può anche dormire, perché no? In fondo stanno servendo il numero "P202".
13.50
Si risveglia improvvisamente, inspirando di colpo. Cazzo, stanno quasi per cadergli i documenti di mano. Stanno servendo il numero "P231". Un uomo tarchiato, col viso rosso e gli occhi piccoli e neri, un sacco della spazzatura pieno di oggetti indefinibili trascinato dietro di sé, sta urlando contro un impiegato delle Poste. "Ma che cazzo, cinque sportelli dedicati ai numeri della serie "P" e ce n’è solo uno aperto? Ma come cazzo ragionate, ma non è possibile!". La folla esprime il suo assenso con un mormorio diffuso.
14.00
Stanno servendo il numero "P240".
14.15
Ormai non riesce più a dormire. Si sta scazzando. Si sta scazzando parecchio. Non ha mangiato. Mangiare è importante. Stanno servendo il numero "P248". Si vede costretto a telefonare in ufficio ipotizzando un permesso retribuito di mezz’ora.
14.20
Incredibile: i numeri da "P254" a "P277" volano via come un lampo. Evidentemente quelli in coda prima di lui hanno abbandonato il campo. La tensione ormai è alle stelle.
14.30
"P278"! "P278"! L’impiegata ride e scherza con una collega mentre svolge le pratiche, rallentando sensibilmente il processo. Lui la fissa. Lei gli dice "Ha visto che tesori le mie colleghe, e quante coccole mi fanno?" Lui la fissa. Lei dice "Sto per andare in pensione, sa? E quindi tutti mi vogliono salutare". Lui la fissa. Lei alza le sopracciglia più del dovuto vedendo il modello F24. "Sa, questo non lo so fare molto bene, chiamo Cecilia o Rosalba, loro risolvono di sicuro".
14.50
Cecilia o Rosalba digita perplessa qualcosa sulla tastiera. "Ma lei è sicuro di aver compilato correttamente il modulo?". E’ sicuro. "Eppure qui dà errore… Guardi, faccia una cosa torni domani dopo aver parlato con l’INPS". Lui è sicuro. Ha controllato tutto. La fissa. "Torni domani". La fissa. "Abbiamo finito".
15.00
In ufficio con mezz’ora di ritardo. Tre pezzi di pizza ingoiati male e una serie di bestemmie ficcate di traverso in gola.
16.00
Al telefono con l’INPS. Non ci sono errori. "Ma vede, alle Poste sono degli incompetenti, sa?". Lui lo sa. Lo sa bene. Odia le poste. "Provi in banca, lì non le faranno storie". Proverà in banca.
17.00
E’ ora di uscire. Oggi non ha combinato nulla, almeno per quanto riguarda il lavoro. Come sempre è solo, tutti i colleghi sono usciti prima di lui. A lui tocca spegnere le luci e chiudere a chiave, lasciando che la penombra invada pietosamente quelle due stanze cariche di tensioni negative.
17.30
Odia le spese natalizie. Odia la gente. Odia il fottutissimo Santa Claus. Soprattutto, odia Bing Crosby.
19.00
Il calvario natalizio (che per quanto lo riguarda sta durando anche troppo) è finito, almeno per oggi. Ma quella maledetta scatola di cioccolatini non vuole saperne di stare nel bauletto dello scooter. Porca puttana, pensa. Chiuditi, chiuditi bastardo!
19.10
Con un po’ di violenza si ottiene tutto. Due pugni bene assestati e il bauletto si è chiuso. Magari i cioccolatini ne risentiranno. Ma a questo punto me ne fotto, pensa. Voglio solo tornare a casa. Si siede, mette il casco. La chiave è già nel quadro, le luci accese. Da dieci minuti. A motore spento. La batteria è fottuta. Cristo, pensa. Le ho dimenticate accese mentre lottavo col bauletto.
19.30
Riesce a trascinare 200 kg di moto sotto un albero poco lontano. Tenta di chiamare aiuto, ma ottiene pochi risultati. Comincia a piovere. Prima piano, poi sempre più forte. L’amico di sempre non ha i cavi, ma si farà vivo presto per solidarietà. Abita vicino. Lei, invece, sempre pronta a dare una mano… Lei è al momento irraggiungibile. Ma lei ha i cavi. Alla quarta chiamata non risposta, arriva inesorabile il messaggio dell’operatore telefonico: "La informiamo che il suo credito residuo è in esaurimento". Appoggia la fronte sul quadro degli strumenti. Lascia che la pioggia coli sulla sua nuca. Davanti a lui un lampione, qualche passante frettoloso e un balcone con il fottuto Santa Claus che si arrampica sulla corda luminosa.
19.45
Il conforto di un amico. Qualche chiacchiera amara, il primo sorriso della giornata.
20.00
Arriva lei. Con i cavi. Con l’amore. Amore che connette, amore che passa energia per riavviare il motore e forse anche la giornata. Ma la batteria è inaccessibile. Sotto la pioggia lui, lei e l’altro trafficano con pile, brugole, cacciaviti, cavi. Smontata mezza moto, riescono finalmente a scoprire i poli positivi e negativi. Ma, come in una metafora della vita (anche un po’ banale, volendo) i morsetti dei cavi sono troppo grossi per poter pinzare i poli dello scooter. Le bestemmie volano ancora, acide e lievi su di loro, come la pioggia sempre più insistente.
20.15
L’immancabile telefonata della mamma. Di solito porta rogne. E anche stavolta non fa eccezione. La mamma farfuglia qualcosa a proposito di atti notarili, convocazioni del tribunale, problemi relativi alla successione della casa. Lui incassa silenzioso sotto la pioggia, mentre lei e l’altro trafficano coi cavi. Ne parliamo poi, pensa. Ne parliamo poi. Oggi no. Oggi ne ho abbastanza.
20.30
Ce la fanno. La moto riparte. Si rimonta tutto, stanchi ma felici. Un altro problema è risolto. Il decimo problema della giornata, conta mentalmente. Si salutano. Tornano a casa. E la giornata finisce qui. Anzi no. Deve ancora fare un po’ di operazioni di online banking prima che sia notte. Ma prima un piatto caldo. E dopo un po’ di blog. Perché a fine giornata, si sa, scrivere aiuta a sfogarsi.

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