CANEMUCCA MEETS CASAIZZO

Il silenzio di questi giorni era dovuto al mio temporaneo allontanamento da qualsivoglia periferica telecomunicante. Sono stato a Formia. La città delle mie vacanze bambine e adolescenziali. La città dei fuochi d’artificio perenni. La città ancora romana ma quasi quasi anche un po’ napoletana. Dalla scorsa domenica, anche la città dove vive Marco ‘Makkox’ Dambrosio.

Io, il Dambrosio, lo volevo conoscere da diverso tempo. Come molti altri, sono stato colpito dalle vignette che realizzava nel lontano 2007 per conto di Sofi, e da lì mi sono andato a rileggere a ritroso quanto mi ero perso. Per me, il Dambrosio, è il più promettente fumettista vivente, o almeno quello capace di trasmettermi qualcosa anche quando scarabocchia con la Bic su un foglio di carta igienica (son sicuro che ha mezzi molto più tecnologici, ma a me piace immaginarmelo così).

Ed è in questo contesto di immaginazione sfrenata, che ho incontrato Makkox. Perché ci sono dei miti da sfatare, su di lui. Intanto non è filiforme e non ha un becco arancione. Non guida una Citroen DS (l’auto che associavo al suo personaggio). Non ha intorno a sé tutte le linee cinetiche che credevo. La prima sorpresa arriva alle nove del mattino di domenica. Makkox è mattiniero (addio all’immagine bohémienne dell’artista tormentato che lavora di notte con rum e sigarette). Non c’è un’epica bevuta in una malfamata taverna del porto, ma un’epica colazione a suon di cappucci e bombe alla crema in un’assolato dehor autunnale. La differenza che passa tra un Omero e un Luigi Pulci, se vogliamo fare un po’ di sfoggio di cultura (e comunque ho sempre preferito il Morgante all’Iliade)…

Makkox arriva con l’Audi TT e si presenta in modo aggressivo, vestito vagamente (lui, ragazzo degli ’80) da Top Gun. Si stupisce della mia altezza e della mia mole (mi immaginava piccolo e furbetto come Sofi o come Zoro). Mi scruta da dietro i suoi occhiali scuri, che un po’ intimidiscono. Poi li toglie, e vedo che ha gli occhi miti e sorridenti! Marco ‘Makkox’ Dambrosio SORRIDE! Perché è vero che i suoi personaggi fanno ammazzare dalle risate (quando non ti pugnalano alle spalle), ma la sua fotina su Facebook lascia immaginare un artista patito e incazzoso.

Non è patito per niente. Nemmeno incazzoso. Oddio, probabilmente se si incazza fa paura, ma vederlo mentre si sbriciola addosso lo zucchero delle bombe alla crema non fa presagire nulla di allarmante. Mentre parliamo di arte, di vita, di fumetti, di cinema, di editoria, di Kubrick, di Formia e del mercato immobiliare lo osservo. Mi ricorda moltissimo qualcuno, ma non so dire chi. Ancora adesso penso al suo sguardo, tranquillo ma penetrante (è uno di quelli che scrutano, il Dambrosio) e mi dico “cazzo, chi mi ricorda, chi mi ricorda”… E vabbé.

Quando cita Robert Crumb l’impulso è di crollare carponi davanti a lui e adorarlo. Ma le colazioni non durano molto, e ognuno di noi deve tornare ai propri cazzi (con la promessa di rivedersi alla prossima discesa mia). Per il resto, è stato il solito viavai di burocrazia, svuotamento casa, scatoloni, parenti e milleseicento chilometri macinati. Ma il fatto di aver dato un volto di carne al mio eroe di carta (anzi di pixel) ha illuminato il weekend.

Rimango comunque dell’idea che la Audi è figa, ma che la Citroen DS sarebbe meglio.
Non è che adesso, solo perché la guida la Littizzetto in uno spot, è diventata una macchina da froci. No?

IL GAZZO LADRO

Prima di tutto, perdonatemi per l’orribile titolo. Avrei voluto intitolare questo post “Non è tutto oro quello che luccica” o “Shine on you crazy diamond” ma mi sembravano titoli banali e conservatori nel primo caso e pretenziosi, esterofili e fuorvianti nel secondo. Il fatto è che sono attratto in maniera patologica da ciò che luccica. E la mia raffinata formazione operistica, unita alla mia profonda conoscenza del meccanismo del doppio senso a carattere sessuale, mi ha suggerito la boutade iniziale.

Ciò che luccica, dicevo, esercita un profondo fascino su di me. Potete provare. Qualunque cosa stia dicendo o facendo in un determinato momento, che sia concentrato o meno, fatemi vedere una cromatura ben lucidata e io perderò completamente il filo dei miei pensieri. E dovrò guardare la cromatura, toccarla, possibilmente averla e riporla nel mio mucchio di oggetti luccicanti che tengo gelosamente in casa. Ora ho fatto l’esempio di una cromatura, il che implica il mio generale apprezzamento per le moto cruiser. Purtroppo, però, in genere sono altri gli oggetti che mi attirano.

La luccicanza è un piacere colpevole.

Per esempio, l’altro giorno, mentre mangiavo una pizza con gli amici, è passato uno di quei tizi che sono soliti fare il giro dei tavoli la sera per proporre occhiali lampeggianti, collanine fluorescenti e yo-yo con led luminosi. Quei tizi sono pericolosissimi. Riconoscono al volo il carattere avido del gazzo ladro. I miei amici ridono mentre io cerco disperatamente di concentrarmi sul cibo ed evitare di guardare la chincaglieria che il maledetto mi propone. Del resto, quegli oggetti li ho già in casa tutti.

Ma lui sfodera un colpo veramente basso: la penna a sfera che quando premi un bottoncino diventa una lava lamp in miniatura. Il mio viso si illumina, i miei lineamenti tornano quelli di un bambino incantato dalla luce e dai colori. Alla fine gli amici devono comprarmi la penna (solo 3 euro!) perché io non ho spiccioli ma quell’oggetto deve essere mio.

Ora, a parte la penna in questione, c’è tutto un universo di oggetti luccicanti che mi incantano. Le lava lamp vere, ovviamente, e tutte le declinazioni più trash tipo le lampade colorate a fibra ottica. Gli specchi e i mosaici a specchio, i vetri colorati, i led luminosi. Le sneakers dei bambini con le lucine sul tacco, i frontali dei tir, le luci di natale. L’argenteria ben lucida, i puntatori laser, i catarifrangenti, le pietre focaie. Le plasma lamp, che quando avvicini la mano ti sembra di produrre fulmini azzurri. Le luci stroboscopiche, i light set psichedelici.

E alla fine casa mia sembra una sala da pachinko.

IO SE FOSSI STATO A URBINO

Io se fossi andato a Conversazioni dal basso (il Festival dei blog) avrei fatto molte cose. Principalmente, se fossi stato a Urbino, avrei fatto un giro per una città che non vedo dal lontano 1988. Perciò da 20 anni. E mi sarei sentito, come sempre, vecchio. Però avrei partecipato alla mia prima Girl Geek Dinner, in mezzo a tutte le femmine più attraenti dell’Internet italiana. Magari avrei potuto essere oggetto di attenzioni simpaticamente sconce come il Sofi (che in queste cose non mi tiro mai indietro e poi si sa che accompagnandosi ad un tipo così cool si vive tranquillamente di luce riflessa).

Se fossi stato a Urbino, poi, avrei conosciuto di persona pm10, Semerssuaq, Vipera76 e Mae*, chiacchierando con loro sull’assolata terrazza panoramica del campus (e dando finalmente un volto ad alcuni misteriosi contatti di Friendfeed). Avrei tenuto anche io in mano una finta schermata di Twitter chiedendomi dove mai fosse finita Sara Maternini. Magari avrei potuto scattare qualche bella foto a Silvia dei Googlisti, innamorandomi di come la luce riesce sempre a posarsi sui suoi lineamenti.

Forse non avrei partecipato alle Olimpiadi dei blogger (son pigro), ma sarei andato con Antonella all’Academic Barcamp per vivere veramente la crisi, e non soltanto il racconto della crisi. L’avrei fatto con una copia del numero corrente de L’Internazionale in tasca. Poi avrei incontrato il Bolso e gli avrei chiesto scusa per non averlo riconosciuto alla Blogfest, ma si sa, con tutti questi eventi mondani alla fine uno perde un po’ la bussola. Avrei abbracciato William Nessuno dicendogli che è il fratello maggiore che avrei sempre desiderato e infine avrei tentato di trovarmi sempre nei paraggi di Diletta Parlangeli (un nome e un volto che dicono tutto). (Anzi, adesso scusate ma vado ad aggiungerla su Facebook). (Fatto).

Ma non c’ero, a Urbino. Non ho visto gente, non ho fatto cose. E tutti quei momenti (immaginari) andranno perduti nel tempo… come lacrime nella pioggia. È tempo… di lavorare.