SCLERO DUNQUE SONO

Niente, così, tanto per far capolino nei vostri feed reader e far vedere che son vivo. Tutto qua.

Dopo Parigi e il suo freddo glaciale qui mi sembra quasi estate. La situazione sotto casa è degna dell’ambientazione di un film svedese di vampiri anni ’80. Il massimo dello squallore bianco. Anzi, magari già che ci sono mi affaccio al balcone e faccio una foto. Poi ve la metto su Flickr e mi dite. Ovvio, dovrei mettere prima le foto della meravigliosa Ville Lumière. Peccato che anche lì, tra il sole invernale abbagliante e la coltre di ghiaccio su strade e giardini, le foto son tutte maledettamente sovraesposte. L’unica cosa veramente scura sono le mie lenti fotocromatiche. Cazzo, non avrei mai pensato che i miei occhiali diventassero veramente così neri. Io non me ne accorgo proprio, ma in un niente mi trasformo in Aleandro Baldi.

A parte questo, che altro. Giù ad est continuano insensatamente a caricarsi di missili, di là a ovest è già scemato l’entusiasmo per la negritudine, e qui da noi… è ricominciato X Factor. Sulla scrivania appaiono come d’incanto tanti progetti inaspettati e tante improrogabili scadenze, la moto è ferma da un mese esatto (ma è avvolta nel plaid dell’amore), gli amici scalpitano, la moglie freme, e io mi muovo nello spaziotempo come l’astronavina di Asteroids (non so se vi ricordate il gioco)…

E questo è solo l’inizio.

NEMECSEK È MORTO

In questo giro di boa tra l’anno vecchio e quello nuovo mi sta succedendo qualcosa di strano. Il mondo esterno mi lancia casualmente diversi rimandi alla mia infanzia. Tutto è cominciato quando è morto Nemecsek, il soldato semplice dei Ragazzi della via Pal. Lo ammetto, le feste mi deprimono a tal punto che riesco a farmi catturare anche dagli sceneggiati televisivi più piagnoni. Però, diciamocelo: I ragazzi della via Pal è il classico romanzo che quelli della nostra generazione leggevano in tenera età. Imparando, tra le altre cose, che distinguersi in battaglia è onorevole, ma alla fine ti prendi la polmonite e schiatti. Tra Molnar, De Amicis, Twain e (per me che ero un bambino sensibile) Louisa May Alcott, l’infanzia scorreva felice tra le buone letture di pessimo gusto. Poi arrivava Harper Lee (cento volte meglio di Harriet Beecher Stowe) e via, la coscienza sociale cominciava a formarsi.

Ma non si tratta solo di letteratura. Il lettore MP3, in modalità casuale, insiste a ripescare filotti di tracce risalenti al quinquennio 1977-1982. Non parlo di quella roba post-punk o new wave che ho poi scoperto più tardi e che certamente non ascoltavo quando avevo 8-10 anni. Intendo proprio i Queen di Live Killers, i Kiss di Destroyer, i Police di Regatta de Blanc, e poi Blondie, Supertramp, Wings (non temete, ci ho un Creative Zen da 30 Gb, oltre alle minchiate c’è tanta roba intelligente e snob tipo John Zorn).

Spinto da questa ondata di revival, durante una delle soste periodiche nella casa avita, ho aperto un cassetto che restava chiuso da decenni e ho riesumato il reperto autografo più antico in mio possesso: un diario intimo del 1982. Apro a caso e trovo un passaggio di questo tipo:

13 Maggio
Caro Diario,
a scuola nelle due ore di supplenza abbiamo giocato a BOTTIGLIA e ho ricevuto almeno 30 baci SULLA BOCCA. Poi è venuto D. per vedere una cantina tetra nel palazzo (e poi ci ho portato anche B.). Ho comprato il secondo numero di Martin Mystère […]

A parte l’assoluto interesse documentario della cosa (purtroppo non si facevano i nomi delle persone baciate), mi ha colpito il fatto che già allora avevo il mio blog su carta, e ho continuato ad averlo più o meno fino all’università (l’abitudine è poi ripresa on line dopo una pausa di quattro o cinque anni dedicata sostanzialmente all’hashish). Tornando a casa – sempre complice il lettore che proponeva pezzi vintage – sono passato nel mio vecchio quartiere, di notte. Deserto. Freddo. Ma luminoso. Poco cambiato, le cose sono quasi tutte al loro posto. Anche il vecchio campetto recintato, dove di giorno noi giocavamo e di notte i ragazzi più grandi si bucavano, è sempre lì. La scuola media, l’oratorio, le vie dove abitavano i miei compagni. Tutto uguale ma allo stesso tempo diverso. Per dire, la vecchia sezione di partito è diventata una ludoteca. Mi aspettavo, che so, una scheggia della Torino anni ’70 incastrata tra via Stradella e corso Grosseto. Invece è tutto adeguato al nuovo millennio, discretamente ma inesorabilmente.

È a questo punto che, tornando alla letteratura, emerge il mio desiderio più fantasioso: quello di tornare indietro e silenziosamente osservare me stesso ragazzino e il mio comportamento, con la consapevolezza di oggi. Sono sicuro che non sono cambiato poi molto, ma la capacità di farsi impressionare dalla realtà, quella sì… è diminuita. Se potessi tornare in quel periodo, forse, riuscirei a scrivere quello che veramente vorrei con maggiore freschezza. Perché così, adesso come adesso, è davvero difficile.

L’ERA DELL’OTTIMISMO

Un nuovo anno. E’ solo un numero. Eppure la gente sembra più fiduciosa e sorridente.
Se il primo gennaio è il giorno del limbo (un po’ come il 25 dicembre, solo che almeno scegli tu con chi passare la distorsione spazio-temporale), il 2 gennaio è il vero inizio dell’anno.
Naturalmente, in ufficio. Come negli ultimi quindici giorni.

I vantaggi del due gennaio sono diversi: non c’è un cane in giro, sugli autobus trovi persino alcuni posti a sedere, le vecchine sorridono con le borse della spesa, come se la roba il due gennaio costasse di meno. La neve è sparita, tutto è freddo e asciutto. Io… Io assumo un incedere meno curvo e strascicato. Mi faccio contagiare, forse. Sono scettico, ma qualcosa sembra cambiato. Quasi cammino a tempo, anche se non ho musica con me (batterie del lettore esaurite). Leggo molto, spero di scrivere altrettanto. Mi aspettano i pazzi del 2 gennaio, quelli che telefonano lamentandosi che negli uffici pubblici aspettano solo i ponti per sparire tutti. Mi aspettano un paio di articoli già in ritardo sulla deadline. L’ennesima visita dal veterinario. Ma se tutto va bene dopo la befana non mi vedete più per sei giorni.

Visto che sento questa punta di ottimismo potrei anche pormi degli obiettivi per il nuovo anno. Soltanto che non riesco nemmeno a focalizzare cosa veramente potrei voler fare. Vorrei cambiare, dare una svolta, diciamo… avviare qualche progetto per troppo tempo trascurato. Soprattutto, vorrei farlo perché lo voglio. Non perché mi lascio trascinare dagli eventi.
Anche se essere reattivi è già una tale fatica che non so quanto posso riuscire ad essere propositivo.