SLOW SPERM RELOADED

Come diceva il saggio, “it ain’t over ‘til it’s over”. Perciò, ecco il vostro affezionatissimo di nuovo alle prese con video porno, contenitori di plastica, astinenza sessuale e cellulari pazzi. Ma andiamo pure con ordine. Lo spermiogramma è uno di quegli esami che tutti pensano “Wah, che divertente” o “Puoi capire che sforzo, mica ti fanno un prelievo di sangue”. Come ho già illustrato, però, non è né particolarmente divertente, né agevole. Inoltre può capitare – e a me è ovviamente capitato – che non sia un esame completo. Chiaro, ti dicono se hai gli spermatozoi lenti (cosa che a me, vista la mia attitudine, sembra assolutamente normale) e ti dicono se ne hai tanti o pochi, se sono freaks o normali… cose così.

Ma adesso viene fuori che non basta, bisogna misurarne la “capacitazione”. Nella mia testa si è subito formata l’immagine di uno sparuto gruppo di spermatozoi un po’ rincoglioniti (genere Jay e Silent Bob) che non si capacita di quanto siano tortuose le vie dell’utero. In realtà, il fatto è che ad ogni evento della vita l’uomo impara nuove inquietanti terminologie. Quando aspetti un bambino ti imbatti in termini come “podalico” o “epidurale”. Quando devi analizzare i tuoi spermatozoi, ecco che spunta la “capacitazione” che – secondo Wikipedia – è in soldoni la capacità degli spermatozoi di bucare a testate la membrana dell’ovulo.

Sorvoliamo sull’immagine mentale degli spermini rincoglioniti che prendono uno del gruppo, gli mettono un casco da uomo proiettile e lo sbattono violentemente più volte contro un muro di gomma ovulare.

Comunque sia, oggi era il gran giorno. Forse non tutti sanno che, prima di uno spermiogramma, occorre stare in completa astinenza per minimo tre, meglio cinque giorni. Quando lo dico agli amici loro sgranano gli occhi ed esclamano “Coooosa? Ma nemmeno una pippa?“. No, ragazzi. Nemmeno una pippa. Che poi, per fare lo sborone, stavolta ho anche pensato “Dài, facciamo cinque giorni… che sarà mai, così son più sicuro”. Ieri pomeriggio mi son scoperto a guardare con un rivolo di bava le ragazzine che leccavano i coni gelato in via Po. Non credete mai a chi predica l’astinenza. L’astinenza è il MALE.

Ieri sera penso “Ma sì… domattina ci si sveglia con calma, ci si smanetta con delicatezza e poi si porta il tutto al centro di fertilità”. Ma non ho tenuto conto della mia tipica refrattarietà mattutina a qualsiasi tipo di attività. La sveglia del cellulare mi ha rintronato, perciò ho premuto qualche tasto a caso e mi sono rimesso a dormire. Alle 9.25 mi sveglio. Appuntamento alle 10.00 con provetta riempita dalla biologa (mai un biologo, notate bene: sempre una biologa). Sfuma ovviamente tutta la mia idea di fare con calma. Urge una visita a YouPorn, perché la mattina le erezioni sono solo una questione di idraulica, e nient’altro.

Trovato il giusto genere di videoclip (non vi dirò quale, per non urtare la vostra sensibilità e rivelarmi più grezzo di quanto già non vi sembri) penso “Beh, adesso gli riempio il contenitore”… e invece no. La fretta è cattiva consigliera, e la mattina – ripeto – non funziono bene. In più, sono stato interrotto almeno due volte dalla sveglia del cellulare che continuava a suonare con un fastidioso rumore di pendola della nonna. Ma alla fine, insomma, mi impunto e qualcosa riesco a produrre.

Col mio campioncino miserello in tasca, quindi, mi affretto verso il centro per la fertilità, che fortunatamente sta a due isolati da casa. Nel luminosissimo e svedesissimo atrio del centro, vengo accolto dalla biologa che sta finendo di infilarsi i guanti di plastica. “Ha già con sé il campione?” – “Oddio… sì… non è che ne sia venuto fuori tanto, eh?”. La biologa alza il sopracciglio. Lo alza TANTO. “Non importa, l’analisi non ha bisogno di grossi volumi”. Ah, ecco.

Poi mi chiede le generalità mie e di mia moglie. Anche i codici fiscali. Le dico “Scusi, ma perché?”. Una precauzione. Per essere sicuri che fossi veramente io, e non un altro con il mio sperma in un barattolo. O io con nel barattolo lo sperma di un altro, non so. Questioni di privacy, comunque. La biologa sparisce dalla mia vista. Non cammina nemmeno, scivola silenziosamente. I risultati arrivano domani stesso. “Cazzo, ‘sti centri privati spaccano”, penso. Perché io quando penso uso sempre questo slang. Anche se poi non le dico ad alta voce, queste cose.

Chiedo alla segretaria se mi può fare un foglio di giustifica per il lavoro. Perché sa, da noi sono un po’ fiscali, qualsiasi cosa chiedono un certificato, ho preso un permesso fino alle 11.00, ma sa… La segretaria sbuffa e mi fa un foglio standard, che prevede un’ora di permanenza da loro per una più tradizionale masturbazione “in loco”. Le borbotto un grazie, poi esco. Guardo il foglio. Dice

Il signor Pietro Izzo era in data odierna dalle ore 9.30 alle ore 10.30 presso il nostro centro per un esame dello sperma.

Mi fermo un attimo sul marciapiede, visualizzando mentalmente le colleghe dell’ufficio personale che ricevono questo foglio con la posta interna del mattino. Poi mi viene un’illuminazione. Fortunatamente, per il tipo di permesso che ho richiesto, non è in realtà necessario allegare un certificato del medico.

DO THE LOCO-MOTION

Diciamolo piano: è uscito il sole. Il vostro affezionatissimo ne approfitta per dilatare le pause pranzo fino a un’ora e mezza – due ore (è l’unico modo per recuperare senza problemi lo straordinario non pagato e non autorizzato senza dover riempire quindici moduli in carta bollata, sapete) e passeggiare. Camminare è importante, specialmente dopo pranzo. Puoi scoprire che una libreria che amavi si trasferisce in un’altro isolato, che un’altra libreria che non conoscevi mette a 9 euro tutti i volumi della Taschen, che una terza libreria che hai visitato l’ultima volta dieci anni fa ha una collezione sorprendente di libri pop-up (uno dei miei guilty pleasures favoriti).

Tutte cose che non riesci a fare in bici, in autobus, in moto o in automobile. In assenza della linea 1 allungata della Metro (che poi anche la Metro… vabbeh), con la quale potrei arrivare in ufficio in 4 minuti netti, rimangono i mezzi di locomozione citati. A piedi in ufficio non ci vado mai, anche se quasi quasi… È che ci metterei 30 minuti esatti, e non sempre riesco ad essere in strada prima delle 8.30. A dirla tutta, a volte alle 8.30 scendo dal letto. Però mi piace tornare a casa a piedi, quando non ci sono orari e puoi permetterti l’esperienza multisensoriale della strada. La moto… beh, è comoda. In 7 minuti arrivo. Ma la moto, come tutti gli anni tra dicembre e febbraio, è inutilizzabile causa batteria sminchiata.

La bici (16 minuti) è fuori discussione. Calcola 10 minuti buoni solo per “uscirla” dal garage e poi ti siedi alla scrivania marcio di sudore e parti già male. In più, capace che ti ammazzano durante il percorso. Resta l’autobus, per fare di necessità virtù. Con l’autobus ci metto 12 minuti (nella migliore delle ipotesi) o 45 minuti (nell’ipotesi più comune). Il vantaggio è quello di poter ascoltare i Jesus and Mary Chain mentre sei compresso tra la porta in apertura e la carrozzina della mamma in mobilità (io, potessi, limiterei l’accesso alle mamme con passeggino ai trasporti pubblici a determinate fasce orarie, e poi spiegami dove cazzo devi andare con un neonato tra le 8 e le 9 del mattino).

A questo punto potrebbe valere anche la pena di andare a piedi, ma sarebbe un moto a luogo truce e velocizzato, tutto il contrario della flânerie che prediligo. Quella che ti permette di incantarti davanti alla vetrina di un libraio antiquario o di sederti a fumare una paglia appena confezionata mentre aspetti che le tue lenti fotocromatiche diventino nere. Camminare mi mette in condizione di ritrovare me stesso, un po’ come lo yoga. Peccato solo che i percorsi siano quasi sempre gli stessi.

33,3 PERIODICO

Lo diceva anche Dario che non si può farne a meno. Riprendi tutto quello che ti passa sotto gli occhi, poi selezioni. E lui è uno che ha la faccia che buca lo schermo. Ma non è solo questione di immagini. Non è nemmeno questione di storia. “La storia può nascere solo da un personaggio”, dice Loris masticando la pizza. “Altrimenti è una costruzione arbitraria“. E pensi che ha ragione, il punto è quello. Non puoi essere credibile nel comunicare te stesso se lo fai attraverso il filtro di qualcosa che non ti appartiene. Discutere, ragionare. Rumori di discoteca da fuori. L’ennesima caccola che esplode tentando di bucarti i jeans.

Fa caldo. La luce filtra dai serramenti chiusi. Marco si lascia andare, descrive luoghi, idee, persone. Gesticola ampiamente – cosa che non fa mai. Quale reazione avrei io, quale reazione avresti tu. Differenze, complementarità. La teoria del 33,3 periodico. “In quattro si sta bene in modo paritario”, dice. “In due in modo più intimo”. Lecca la cartina e solleva lo sguardo. “In tre c’è un disequilibrio, una disparità che porta verso l’infinito”. Chi l’avrebbe mai detto che la serata avrebbe finito per svoltare in filosofia.

A volte in quattro ore riesci a rivivere una vita intera di esperienze. Certo, ti devi impegnare un po’. Ma puoi cambiare ogni pochi minuti. Siamo bambini. Ci piace: suonare il piano protesi in avanti, camminare in parcheggi deserti. guardare le mutandine della maestra. Siamo giovani. Ci piace: buttarsi in bici giù dalle colline, strimpellare la chitarra intonando canti popolari siciliani, mangiare panini alla salciccia dopo la mezzanotte. Siamo adulti. ci piace: fendere la neve sulle tavole da snowboard, dare da mangiare alle anatre, stare sdraiato sull’erba a fumare e guardare le nuvole. C’è chi il muro lo sfonda a testate, chi prova a saggiarne la resistenza bucando in più punti e chi aspetta, studiando il modo di passarci di fianco.

Qualche colpo sulla tastiera, un paio di render. “Il mio è mille volte più veloce”, sussurra Loris. Marco fa una smorfia divertita. Il coro greco, alle spalle del maestro, crea la giusta atmosfera di delirio per il montaggio verticale. Dario ci chiama a sé, gli occhi fissi nei nostri. Lo vedi un’ultima volta, ti sembra che funzioni. Ti sembra esattamente come l’avevi immaginato. Ti sembra, per un attimo, che quella somma di numeri periodici abbia fatto una corsa in avanti, verso l’infinito. Poi è ora di sfogarsi, di rimettere in gioco gli strati primitivi della coscienza. The Need for Speed. Dai canyon all’autostrada, la nebbia, i guardrail.

Ti sveglia un rumore. Ti sollevi impercettibilmente per guardare l’ora con un occhio socchiuso. Le cinque e quaranta. Hai sognato tutto. O forse l’hai semplicemente rivissuto.
Due volte. Come Bond. James Bond.