PSYCHOPATIA SOCIALIS RETIS

Io adesso lo so che verrà fuori che sono vecchio, che ho esaurito il mio potenziale di innovatore, di early adopter, di technology evangelist e quant’altro. Però ci sono cose che mi mettono un po’ a disagio.
Solo un po’, eh. Mica roba da non dormirci la notte. Però.
Alcuni utilizzi dei social network, per dire.

Io provengo da una generazione non nativa. La mia è una generazione entusiasta. Facendo parte di questa generazione entusiasta io provo tutto: a qualcosa mi affeziono, altre cose restano nel dimenticatoio dopo pochi giorni. Ma soprattutto stabilisco un mio uso personalizzato degli strumenti che utilizzo e vado avanti per la mia strada. È probabile che di carattere sia un po’ egocentrico, non lo nego, ma per quanto mi riguarda blog, tumblr, twitter, flickr, facebook e le decine di altri strumenti simili sono, sì, mezzi di confronto con una astratta community digitale; ma sono in primo luogo mezzi attraverso i quali esprimo la mia creatività personale. Il fatto che qualcuno possa commentare e avviare discussioni sui miei contenuti per me è un gradito “di più”.

E vengo al punto: a me può anche far piacere venire a conoscenza di notizie particolari attraverso Facebook. Però quando vedo centinaia di link, messaggi di stato, video e citazioni relative alla morte di Steve Jobs (è l’avvenimento di oggi) mi fa lo stesso effetto negativo che mi fanno i telegiornali che intervistano la gente fuori dagli Apple Store (per mantenerci sullo stesso tema) o le testate giornalistiche on line quando pubblicano la galleria fotografica dei post-it di affetto appiccicati sui muri dagli ammiratori di Jobs.
Cioè, fastidio.

Ci penso da qualche mese, ormai, e non si tratta solo di questo. Resto sul pezzo: anche io ho un iMac, un iPhone, ma Jobs non era amico mio, e ripetere ovunque il suo volto e le sue parole non fa che annullare il significato della sua immagine e di quanto ha potuto dire in vita sua. Oggi era Steve Jobs, ieri era Wikipedia “oscurata”. Perché ogni giorno ha il suo piccolo o grande evento sul quale scatenare l’onda anomala dell’emozione digitale. Non costa nulla linkare, ribloggare, ritwittare, condividere, e alla fine, come in un gigantesco telefono senza fili, qualcuno magari si convince anche che “stanno chiudendo Wikipedia” (non è così, l’oscuramento di tre giorni è stato predisposto da Wikipedia stessa per sensibilizzare gli utenti) o che “Apple è una religione e Steve Jobs era il suo santo profeta” (va beh, qui è più difficile dire che non è così, visto il fanatismo di alcuni estimatori).

A volte qualcuno mi dice “ma a te non frega un cazzo che succede questo o quello”. Ma il fatto che io non esterni sui social network come la penso su Amanda Knox o sull’ultima puntata della berlusconeide non vuol dire che non mi interessa. Anzi, scusatemi, ho scelto due temi per i quali effettivamente non provo alcun interesse. Il fatto è che non voglio partecipare all’innalzamento di una marea di bit, informazioni sature di indignazione spicciola che alla fine non porta a nulla. Trovo già paradossale e priva di senso la realtà per contribuire a replicare il paradosso anche on line.

Mi intristisce la protesta del “cambiamo tutti la nostra foto del profilo” o se è per quello anche del “andiamo tutti quanti a Roma indossando una maschera da gimp per simboleggiare il nostro status di schiavi della casta”. Il situazionismo fa sorridere, a volte stimola un pensiero, ma più spesso (e sempre di più) lascia il tempo che trova. Se tutti costruiamo continuamente situazioni, nessuna situazione sarà veramente percepibile come tale.

E adesso smetto, che devo postare su Facebook la mia proposta per il nuovo nome del PDL.
“Forza Gnocca” mi pare un po’ troppo debole.
Pensavo a qualcosa alla Krafft-Ebing. Minimo.

GERIATRIA, PORTAMI VIA

Non importa quanto fragili possano essere il corpo umano e il suo spirito, qui in CasaIzzo si continua imperterriti a giocarsi un weekend devastante dietro l’altro.

Questa, in particolare, era la volta della visita organizzata alla prozia novantenne che non vediamo da cinque anni (durante i quali lei ovviamente ha subito alcuni inconvenienti tipici della sua età, tipo rompersi una gamba, andare leggermente fuori di testa e ritirarsi in un pensionato per anziani). Ma quando si tratta della zia preferita di mia madre nonché – per intenderci – l’unica rimasta in vita, si fa di necessità virtù e si tenta di trovare una finestra temporale per prendere la mamma, farle attraversare mezzo Piemonte e portarla a vedere di persona la congiunta.

La scena, dunque: una stanza in penombra, un letto con le sbarre di sicurezza, una prozia distesa che riposa ma che è perfettamente sveglia. Mia madre entra chiedendo “Chi c’è lì?“. Sulla porta c’era il nome della zia, ma mia madre non poteva fidarsi: nella penombra le sembrava un’altra persona. La zia avrebbe potuto (e sacrosantemente dovuto, secondo me) spaventarsi a morte di una donna che si china a scrutarla nel buio durante il riposino pomeridiano. Invece – primo segnale di “sono vecchia ma vi fotto tutti” – si tira a sedere sul letto e comincia a scambiare baci e abbracci con mia madre, riconoscendola quasi subito con grande gioia. La zia sprizza verve da tutti i pori e ingaggia uno spettacolo di vaudeville con mia madre.

M – Oh, zia non ti riconoscevo, ma quanto sei ingrassata…! (mia madre, il campione di delicatezza)
Z – Ah sì? Mi trovi ingrassata?… [pausa ad effetto] Ma sai che ti dico, anche tu sei ben ingrassata! Loro due poi, sono veramente ben piantati! (io e Stefi incassiamo)

Nel corso della visita, la zia ci espone la sua ricetta per la felicità: un pizzico di smemoratezza selettiva. Interrogata su alcuni aspetti del suo recente passato, sorride e spiega “Vedete, io a volte non mi ricordo le cose. Ho 90 anni, sono un po’ confusa. Magari ripeto tante volte la stessa cosa, sono un po’ noiosa. Ma il bello è che ricordo perfettamente le cose belle, mentre ho dimenticato tutte le cose brutte”. Tuttavia, l’atteggiamento zen si disintegra quando mia madre si premura di ricordarle alcune cose spiacevoli del suo passato (esempio: dispetti perpetrati ai suoi danni dalle sorelle maggiori). La serafica risposta della zia: “Se è vero quel che mi dici, mi sa che dovrò dire qualche requiem aeternam in meno stasera…!”.

Io e Stefi invece dobbiamo giostrarci l’aspetto “ripeto spesso le stesse cose” della zia, che ogni 7 minuti (quindi circa 15 volte durante la visita) volge i suoi vispi occhietti su di noi e dice qualcosa come “Eeeeh già… E voi, quando lo sfornate un bel bambino?” oppure “Sarebbe poi ora di comprare un bimbo, neh?” (in Piemonte catè ‘na masnà è un modo molto popolare di definire lo stato interessante) e altre amenità varie. Sembra che più le cose vanno male da quel punto di vista, più il resto del genere umano provveda a girare il coltello nella piaga. Sembra a noi, chiaro. Uno cerca di non pensarci, ma i sempre più numerosi bambini degli altri e le pance da gravidanza sbattute in faccia sembrano dire “Voi fallirete sempre BWAHAHAH”. Sì lo so: come uno vede le cose dal suo punto di vista le esagera sempre, ma di norma ad una innocente domanda del genere sappiamo rispondere con grande dignità, senza crollare. A 15 domande ripetute, però, no. Persino mia madre era in imbarazzo per noi. Ma la zia ha 90 anni: non possiamo picchiarla, sapete.

Concludo con un tocco di vanità da terza età.

Z – Ma che bella pelle che hai, non dimostri i 73 anni che dici di avere!
M – Beh, sai zia, uso delle creme…
Z – Ah sì? Ma dimmi, che crema usi?
M – Ma niente, una crema della Olaz…
Z – Oracs?
M – No, Olaz.
Z – Lorax?
M – No, Olaz… O-L-A-Z!
Z – Olass?
M – Non con la esse, “Ola con la Z“.
Z – Ah, quindi basta che vado in profumeria e chiedo la “Ola con la Z” e me la danno? E quanto costa?

Cara zia. E io intanto mi sentivo sempre di più intrappolato in un film di Gianni de Gregorio

L’HOMME-HUITRE

Il tempo delle vacanze è passato, né lento né veloce, ondeggiando tra l’oceano e le dune, il vino e le camminate, l’ozio e le letture. Niente giornali, niente televisione, niente internet. In compenso tante, tantissime ostriche.

L’ostrica è un cibo controverso. Molti pensano che mangiare un’ostrica sia come inghiottire un sorso di acqua di mare con un grumo di catarro dentro. Io no. Anzi, adoro le ostriche al naturale, col limone, con aceto bianco e cipolla sminuzzata, con una spolverata di pepe rosa.

Il mio entusiasmo per l’ostrica non trova quasi mai sfogo, ma quest’estate mi sono tolto la voglia, coltellino e vino bianco alla mano. Tanto le ho apprezzate che ho sviluppato un’insana fantasia, un nuovo supereroe: l’uomo ostrica. O, dato che si tratta di un supereroe francese, l’homme-huitre (pronunciato come se si stesse cercando invano di scatarrare).

L’homme-huitre, come tutti i supereroi che si rispettino, ha la sua storia di “origini”. È un gourmet di mezza età che, aprendo un’ostrica con l’apposito coltellino, si ferisce un dito (esperienza realmente vissuta dal vostro). In questo frangente un frammento di guscio perlaceo gli entra sottopelle, e inizia così il processo di trasformazione in mollusco umano.

La sua pelle si tramuta in un guscio super-resistente e sgradevole alla vista e all’olfatto (tranne che per gli estimatori), diventa capace di proiettare getti di liquido irritante in direzione dei nemici e crea perle di energia che immobilizzano l’avversario per il tempo necessario a fuggire o nascondersi.

Il suo punto debole è il vino bianco (si sa che per l’ostrica, il vino bianco è la morte sua) e la sua nemesi è il Vendemmiatore, un supercriminale capace di stordire tutti con vapori alcolici (d’accordo, è troppo simile a Superciuck, devo ancora lavorarci su).

Tutta questa storia dell’homme-huitre alla fine dovrebbe influenzare il mercato ittico rendendo le ostriche più popolari, più a buon mercato e più amate dal grande pubblico.

Per la pubblicazione pensavo a Fluide Glacial: secondo me a loro potrebbe piacere.
Se non altro, almeno sono francesi.