Di solito non c’è nulla di più ammorbante di andare a fare shopping con una donna. La donna è indecisa, prova decine di capi, smuove mezzo negozio, riduce la scelta a due capi dopo qualche ora e arriva all’ora di chiusura del negozio prima di sceglierne uno. L’uomo no: entra, vede, prova, decide. Anzi, la maggior parte delle volte sa già cosa vuole, entra, non prova nemmeno e acquista. Questo per dire che Stefi non fa eccezione, e che lo shopping con lei è un fioretto francescano che devo fare per guadagnarmi il paradiso. Tranne quando, come oggi, andiamo nel reparto intimo della Rinascente. Improvvisamente mi trasformo, mi illumino e viene fuori l’esperto di intimo femminile che è in me. Lovable, Parah, Triumph, Chantelle, Lisanza, Passionata, Fila, non mi sfugge nulla. Sfioro tutti i reggiseni e le mutandine, saggio la resistenza della microfibra, del ferretto o dell’imbottitura, valuto le coppe e la chiusura sulla schiena. Tutto in un negozio di intimo mi manda fuori, anche i capi della Sloggi (che ormai ha immesso sul mercato una serie di brand più sensuali). Mi aggiro nel negozio palpando le natiche dei manichini (ma non potrebbero farli in lattice?), tiro e faccio schioccare gli elastici dei loro perizomi (cosa che non posso fare con le donne che incontro per strada purtroppo, quindi mi sfogo coi manichini). In tutto questo, Stefi si aggira circospetta facendo finta di non conoscermi. Inutile. Perché io, individuato un reggiseno Triumph ad alta capacità, urlo da un capo all’altro del negozio: "Tesssssssoro, guarda che splendida coppa! Ha il ferretto proprio come vuoi tu!"… Le commesse guardano con un misto di stupore e desiderio quest’uomo (io) che accompagna la sua donna a comprare l’intimo. Non sanno che c’è il secondo fine. Stefi invece lo sa, e respinge ogni mio tentativo di proporle l’intimo più eccitante del negozio. Che poi è relativo, perché a me piace soprattutto la biancheria semplice, senza troppi pizzi, quella da liceale giapponese dei manga erotici, per dire. Alla fine mi faccio una cultura nell’ambito dei colori che vanno di più nell’intimo 2005 (rosa antico, verde chiaro e blu scuro) e scelgo un reggiseno che possa contenere il petto importante della mia signora. Perché, come diceva Bisio un tempo, "sotto la quinta non è vero amore"! ;-P
RIMEDI PER CHI RUSSA
Qualcuno mi suggerisca un rimedio per le mie orecchie. Certo, ci sono i tappi di cera – ma poi non sentirei la sveglia. Il problema va risolto alla radice. Sto parlando di Stefi, ovviamente, e della sua predisposizione al russare notturno. Non mi tiro indietro: anche io russo. Solo che quando russo dormo, e quindi non mi sento russare. Lei, invece la sento eccome! Il mio tessssoro… Quando dorme è così bella, ha un’espressione così serena, spesso sorride nel sonno come una bambina che riposa dopo un’estenuante giornata di giochi (anche se si è spaccata la schiena in ospedale). Eppure c’è quella nota stonata, quel misto tra il ruggito del leone e il barrito dell’elefante che anima le notti insonni in casa Izzo. Ora, il mio rimedio è quello di emettere piccoli suoni schioccando la lingua sul palato (tipo: "tz! tz! tz!"). Ho purtroppo verificato che tale soluzione, lungi dall’essere efficace per più di 40 secondi, ha un pericoloso effetto collaterale. Stefi tende a metabolizzare il mio "tz!", prima sognandolo ed infine svegliandosi. E non è mai piacevole destare Stefi nel mezzo della notte con un "tz!"… E’ un po’ come tirare sassi dentro un vulcano attivo. Prima o poi potrebbe eruttare. Nella fattispecie, Stefi erutta insulti per un po’, si gira sull’altro fianco e ricomincia a russare. Altra tattica: sussurrare dolci parole nell’orecchio dell’amata. Tipo: "Amore… tesoro… cerca di respirare bene, perché lo sai che chi russa non riposa compiutamente… prova a sognare sogni belli… prova a sognare il tuo tesssoro…" – in genere a questo punto si ottiene lo stesso risultato (sequenza apertura occhio, focalizzazione del nemico, sequela di insulti mugugnati e rivoluzione sul proprio asse). Il metodo drastico consiste nel tappare il naso dell’amata. Solo che poi mi spavento, perché Stefi va in apnea ed è capace di non respirare per diversi secondi. Allora mi impietosisco e mollo la presa. Ho verificato che il metodo apnea non causa il risveglio, ma purtroppo peggiora il problema, dato che a quanto pare si russa ancora più sonoramente dopo il trattenimento del respiro. Proverei mettendole una mano a mollo nell’acqua, se non fosse che ho il sospetto che quello sia un modo per far fare alla gente la pipì a letto. Forse ho ancora in casa quei cerotti che ti tengono in tensione le narici permettendoti di respirare meglio. Voi cosa suggerite?
RAPINATORI IN CASAIZZO?
Sono un po’ preoccupato. Ieri, per la prima volta nella mia vita, mi è capitato di chiamare il 113. Mi sono sentito uno di quei vecchietti petulanti dei film per la TV americani che disturba sempre i poveri poliziotti che hanno ben altro a cui lavorare. Comunque sia, ecco la storia.
Mercoledì 2 Marzo, h 19.00
Appena giunto a casa dall’ufficio mi diletto ad ascoltare i racconti di vessazione e mobbing provenienti dall’ambiente lavorativo della mia dolce metà. Io interloquisco dispensando consigli di guerriglia aziendale (a proposito, non c’entra un cazzo ma comprate questo libro… fatelo… fatelo…!).
19.15
Suona il campanello di casa. Non aspettiamo nessuno. Stefi si avvicina silenziosamente allo spioncino e vede due coppie di giovani vestiti più o meno elegantemente. Suppone che siano testimoni di geova e non apre. I ragazzi non demordono, e si attaccano al campanello. Maya miagola. Voci sul pianerottolo.
– Ma hanno un gatto, sti qua?
– Beh, se senti miagolare vuol dire che hanno un gatto, no?
– Qui non c’è nessuno…
– Ma come non c’è nessuno, mi hanno assicurato che c’erano!
Primo scambio di sguardi perplessi tra me e Stefi. Le voci hanno un pesante accento dell’est, ma l’italiano è corretto. Una delle due donne è bionda. Tre di loro hanno pensato bene di sedersi sui gradini mentre il quarto continua a suonare il campanello. Maya miagola.
– Allora, non è possibile. Uno prende un appuntamento per vedere un alloggio, e poi? Questi se ne devono andare a fine marzo, questo appartamento dobbiamo pur vederlo se vogliamo decidere!
– Ma sei sicura che il piano è questo?
– Ma certo!
– Adesso mi incazzo, telefono all’agenzia e mi sentono… Prova un po’ di nuovo a suonare!
Inspiegabilmente, le nonnine che abitano sul nostro stesso pianerottolo, che solitamente mettono il naso fuori dalla porta di casa per ogni minimo rumore, oggi stanno ben tappate in casa.
– Facciamo così, andiamocene, prendiamo un altro appuntamento, al massimo torniamo domani sera.
– Sì, però non si fa così, eh?
Scalpiccìo di piedi che scendono le scale. I ragazzi spariscono dalla visuale dello spioncino. Sono le 19.30. Dopo qualche secondo, squilla il telefono di casa. Due squilli, tre. Poi si interrompe.
19.35
Stefi è in paranoia. Secondo lei erano loro, che hanno anche il nostro numero di casa. La mia soluzione: chiamare l’amministratore del condominio. Secondo lui abbiamo fatto benissimo a non aprire. Pare che a Torino stia girando una banda di rapinatori che usa proprio questo metodo per farsi aprire dagli inquilini. Un’altra possibilità plausibile è che i tizi siano a loro volta stati truffati da qualcuno che gli ha indicato casa nostra (perché poi proprio casa nostra?) come disponibile e che magari gli abbia anche chiesto una caparra. In ogni caso ci assicura che l’appartamento non è in affitto e che noi non dobbiamo andarcene entro il 31 marzo. Suggerisce anche di chiamare il 113 per segnalare la cosa. Chiamo dunque la Polizia. Che mi rimbalza subito ai Carabinieri. Il carabiniere però è gentile, mi rispiega le stesse cose che mi ha già detto l’amministratore e mi consiglia di chiuderci bene in casa, non aprire assolutamente e se dovessero tornare di chiamare subito il 112 che loro mandano una pattuglia a vedere qual è il problema. Si tratta di terrorismo psicologico stile film di Michael Moore o mi devo veramente preoccupare? Inquietante.