IL PERIZOMA DI RUDOLPH

Cosa deve pensare un uomo quando la sua donna gli regala un perizoma? Domanda inquietante, che assume risvolti paradossali se il perizoma in questione si riduce ad un astuccio penieno per di più a forma di renna natalizia con le corna morbidose e gli occhi di plastica semoventi. Un oggetto del genere può soltanto uscire dalla fantasia deviata di Stefi. Quello che mi stupisce è che ci siano dei negozi che li vendono. Ora, io tento di immaginarmi la scena. Il gruppo di amiche che entra nel sexy shop in preda a malcelate crisi di risolini alla vista dei vibratori di varie misure, considera per qualche minuto i completini da infermiera porca e da suora sadomaso (che a dire il vero mi sarebbero piaciuti molto di più – per Stefi, ovviamente, non per me) e decide di portare un souvenir al proprio uomo dal luogo del peccato. E quindi? Cosa c’è dietro questo gesto? La voglia di vestire il proprio uomo-oggetto sessuale con qualcosa di diverso per variare un po’ nell’intimità o l’intenzione inconscia di ridicolizzare il proprio partner causandogli dei seri problemi nella vita di coppia? Voglio dire, avrei capito un perizoma tigrato (zebrato mai!), un perizoma di pelle nera con borchia (per quanto un po’ troppo "Blue Oyster"), un perizoma da giocatore di rugby (non so nemmeno se si chiamano perizoma, e comunque meglio di no perché non ho il fisico). Se proprio volevamo essere natalizi, avrei capito un perizoma di similpelle rossa con bordino di pelo bianco, un po’ alla Full Monty. Invece no. A me tocca Rudolph, la renna dal naso rosso. E come massima umiliazione, il muso della renna è persino più lungo di quello che dovrebbe contenere. E io mi chiedo perché… perché tanto odio?

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PATRIMONI GENETICI E RISTORAZIONE

E’ difficile anche per me, che sono il loro discendente diretto, capire l’atteggiamento di mio padre e mia nonna sui pasti al ristorante. Credo che i geni "Izzo" si diluiscano di generazione in generazione, e dove mia nonna presenta il 100% del patrimonio genetico, e mio padre il 70%, io – in decrescita esponenziale – ne conservo il 10%. In ogni caso, il fatto è questo. Il ramo di mio padre considera il pasto un’incombenza da sbrigare nel più breve tempo possibile. Non che non abbiano la passione per il buon cibo. Semplicemente, l’idea è che ci si debba ingozzare senza pause restando seduti in un locale al massimo un quarto d’ora, dal momento dell’ordinazione a quello della presentazione del conto. Questo spiega perché la categoria dei camerieri nella ridente città di Ivrea tende ad evitare come la peste di servire ad un tavolo dove sia presente mio padre o – peggio ancora – mia nonna. Situazione tipo. Alle 19.30 si entra nel locale (per mia nonna iniziare la cena dopo quell’ora è semplicemente inconcepibile). Alle 19.31 mio padre, che già in macchina ha concertato con lei cosa ordinare, senza nemmeno sedersi rincorre un cameriere, lo placca e fa l’ordinazione per tutti. Alle 19.40, nell’infausto caso in cui i piatti non siano ancora stati serviti, mia nonna comincia a scalpitare mentre il resto della famiglia chiacchiera. "Ma che hanno? Ma perché sono così lenti?" e – rivolta a mio padre – "Vedi un po’ di sollecitare". La reazione dei camerieri al "sollecito" di mio padre (che in media si alza dalla sedia tre o quattro volte a pasto per questo motivo) può essere di due tipi: smorfia di fastidio e conseguente indifferenza (o peggio ritardo insistito) oppure risposta ironica del tipo "Ma la pietanza la preferisce cotta o cruda?"… Quando finalmente arriva il piatto, loro lo consumano velocemente, senza parlare. La nonna aggiunge, se è il caso, qualche battuta nei confronti dei commensali del tipo "Ma parli o mangi? Quando si mangia non si parla!". La cena prosegue intervallata da altre battute del tipo "Qui è tutto buono, ma di sicuro il servizio lascia a desiderare: sono lenti, lenti, lenti…" e da altre sortite di mio padre che io, concentrandomi sul piatto, tento di ignorare. Alle 20.30 mia nonna finisce e mentre gli altri stanno sorseggiando il caffé lei è già impellicciata vicino alla porta. Mio padre, a sua volta, è già andato a saldare il conto. Ci si potrebbe chiedere se non sia meglio consumare i pasti in casa. Di certo è una possibilità. Il problema è che in casa la nonna ha il controllo totale della cucina. Il che vuol dire che effettivamente ci si mette al massimo 10 minuti a mangiare tutto, dagli antipasti al caffé. E la cosa può creare qualche problema di congestione a chi non ci è abituato…

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1983 – VIOLAZIONE DI DOMICILIO

1983. Da qui non si passa. Il caldo estivo brucia i capelli tagliati di fresco. I pomeriggi sono eterni. Qualcosa bisogna pur fare. Saliamo sul crinale per evitare la recinzione, L. davanti, io in mezzo e S. qualche passo dietro di noi. Una finestra piccola, poco più in là: è quello che ci serve. L. si fascia la mano con la maglietta sudata e rompe il vetro con un pugno. Cerco a tentoni la maniglia tra le schegge taglienti. Si apre solo verso l’interno. Mandiamo giù S. per primo: è il più piccolo, e anche il più leggero. Il salto sarà al massimo di due metri. Come fare per uscire, non ci viene nemmeno in mente. Esploriamo ogni stanza con attenzione, nella penombra delle mura spesse di secoli. Non prendiamo nulla: non siamo ladri, solo curiosi. Ci appiattiamo per passare nel cortile principale. Sappiamo benissimo che il custode non c’è, ma potrebbe comunque vederci qualcuno. Subito a destra, la torre: la porta di legno marcio è aperta. Non potevamo aspettarci di meglio. Salire quei gradini, il rischio, la consapevolezza. Arrivare in cima e dominare i tetti di Barge. Stendersi sulle lastre di ardesia ancora calde all’ultimo sole e bere un fondo di spuma bionda dalla borraccia. A ripensarci, potevamo finire in una casa correzionale. Ma chi possiede un castello è ricco per definizione. E un ricco può anche ripagarselo, un vetro rotto.

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