LE STRADE SI SEPARANO

Oggi le strade dei due protagonisti di CasaIzzo si sono separate per qualche ora. Il sottoscritto andava a fare una lezione di guida di due ore, per prendere confidenza con il mezzo. La dolce metà decideva dopo 7 anni di smistare qualche tonnellata di roba dal suo armadio, per evitare di dover acquistare un’estensione di guardaroba. Io inforco la moto alle 11 e ne scendo alle 13 (ora in cui, come raccontiamo sul blog BP, c’è l’appuntamento per le riprese finali del corto). Voi naturalmente saprete cosa vuol dire stare in moto senza scendere mai per due ore filate a gennaio. Io ovviamente non lo sapevo. Usando lo scooter per non più di 20 minuti al giorno (divisi in due comode tranche da 10) non sento il vero gelo. Oggi, smanettando in prima, seconda, terza e anche in quarta per le vie dietro la Gran Madre (luogo noto ai torinesi per essere molto tranquillo e pittoresco ma anche pieno di sensi unici e tranelli per patentandi) mi sono letteralmente ghiacciato le palle. Andrea, l’istruttore, lui no. Lui ha i pantaloni da biker e due sottocaschi due, uno sull’altro. Io arrivo bello come il sole col mio casco jet e i pantaloni di tutti i giorni. Grave errore. Ad ogni stop tento di sgranchire la gamba del cambio che sembra paralizzata in un angolo di 90°. Dopo un’ora e mezza di guida comincio a perdere colpi e a far bloccare la moto ad ogni partenza. Ma adesso so di più. Ad esempio so che per uscire da una rotonda devi mettere una freccia. O che per svoltare a sinistra da una strada a senso unico bisogna prima buttarsi a sinistra e svoltare buttandosi subito a destra. Andrea vuole fissare l’esame di guida al più presto, fiducioso nelle mie capacità. Ancora non sa che ho molta difficoltà a distinguere la destra dalla sinistra, se non posso seguire un’altra persona davanti a me. Tornato a casa, trovo la moglie alle prese con l’armadio. Non si è limitata a un po’ di ordine: ha sventrato completamente Askedal, il mitico guardaroba blu dell’Ikea. Il letto è nascosto sotto una montagna di vestiti, borse, maglioni, maglie, pantaloni, sciarpe e quant’altro. A malapena resto sveglio per distinguere i vari gruppi in cui sta suddividendo i vestiti: le scatole della roba estiva che verranno riposte in cima all’armadio; le scatole di roba che si può dar via; le borsate di roba che è talmente malridotta che si può solo buttare; le scatole di roba che non va più ma che spiace dar via perché c’è il legame affettivo; le scatole di roba che va ancora ma che per un motivo o per l’altro non è al top delle preferenze di stagione. Infine, last but not least, la roba che ha il suo posto d’onore nella parte centrale dell’armadio: maglie, camicie, pantaloni e maglioni di taglia giusta, che piacciono e vengono comunemente indossati in questi mesi. Osservo l’armadio: a me sembra praticamente di nuovo pieno. Osservo la roba ammucchiata fuori dalla stanza. Un paradosso senza risposta. Come diamine avrà fatto, per sette lunghi anni, a tenere tutta quella roba nella sua parte dell’armadio? Non lo saprò mai. Ho guardato mia moglie, questo curioso essere che proviene dall’altra metà dell’universo, e ho provato un senso di orgoglio. Bisogna essere dei geni, per gestire così un guardaroba.

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1982 – ROSSI, TARDELLI, ALTOBELLI

1982. Rossi, Tardelli, Altobelli. Un luglio soffocante, come sempre a Torino. L’asfalto ti rimanda indietro con gli interessi il calore del sole. Maglietta e jeans appiccicati alla pelle, nel tentativo di arrampicarsi sul tetto del garage di via Nigra. Da lì, con pochi salti ben calibrati, ci si può muovere sospesi a sei metri da terra per tutto l’isolato. G. non ce la fa a saltare. La mamma gli prepara troppa pasta al forno. Nessuno resta indietro con lui, il bottino è troppo appetitoso. Sui tetti ci trovi di tutto, roba caduta dai balconi dei palazzi circostanti. Big Jim senza un braccio, palline che rimbalzano, pugni di robot sparati nella direzione sbagliata, Super Tele ancora buoni da gonfiare, bambole decapitate, sigarette quasi intere da fumare, qualche topo morto. Tutta roba eccitante. Roba da collezionare. Poi un riquadro d’ombra, un ghiacciolo all’anice con i tesori nascosti nelle tasche. La luce cambia colore. Si rientra. Rossi, Tardelli, Altobelli. L’intero quartiere esplode.

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GUARDARE MADAGASCAR IN TEDESCO

Impressioni su un breve viaggio in Germania. Qui abbiamo freddo umido e temperatura sui 5 gradi. Là abbiamo freddo secco e temperatura sui -6 (a mezzogiorno). Tutto è completamente bianco e ghiacciato. Una meravigliosa terapia per gli occhi gonfi (i bulbi oculari tendono a ghiacciarsi). Ottimo anche per fare la pipì all’aperto (un’esperienza assolutamente da provare, ci si trasforma in una sorta di primitivo geyser). Da brivido, nel vero senso della parola. Aggiungiamo anche la visione notturna di Vertical Limit (film d’azione con diversi personaggi che muoiono congelati tra le nevi perenni) in tedesco senza sottotitoli ma con abbondanti dosi di Smirnoff ghiacciata, e il quadro è quasi completo. A parte gli scherzi, almeno una volta l’anno è d’obbligo andare a trovare Kasia e Rafal, due persone che mettono addosso un sacco di serenità. Lo stesso dicasi per quei bambini ciarlieri e pacioccosi che pur non avendo alcuna possibilità di comunicare con me e Stefi (sanno due lingue ma l’inglese non è compreso) ci adorano e tentano di stabilire un contatto guardando insieme Madagascar – sempre in tedesco, ma stavolta con sottotitoli. Inglesi. Il problema dei tedeschi è che fanno queste colazioni esagerate alle 9.30 (wurstel, senape, uova e pancetta, nutella, philadelphia, panini e brioche, caffé e succo d’arancia) poi fanno uno spuntino verso le 14 (caffè e fettazza di torta) per concludere con una trionfale cena alle 18 (in genere poco più pesante della colazione). Se poi si parla di cenare prima perché così si guarda un film tutti insieme con i piccoli prima che vadano a dormire, si raggiunge la paradossale ora delle quattro del pomeriggio per spararsi una bourguignonne di carne! Ma non importa. Perché dalle otto a mezzanotte scorrono almeno due bottiglie di vodka e una di whisky. I postumi… quelli li devo ancora smaltire.

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