QUALCHE CONSIGLIO PER LE VOSTRE ORECCHIE

Breve spazio in modalità "blog consiglio per gli acquisti" per parlarvi di qualche nuovo CD che mi gira nel lettore di recente. Per la serie "ci arrivo tardi ma ci arrivo", non è niente male per darsi un po’ la carica Back to Black di Amy Winehouse (un nome che è tutto un programma). La tipa è paragonabile alle grandi signore del soul anni ’40-’50-’60, e infatti ti immagini che abbia una stazza e un’età di tutto rispetto. Poi scopri che ha 23 anni, è gnocca e supertatuata (che non è fondamentale ma aiuta). In più è amica di Kelly Osborne, e gli amici di Kelly sono miei amici! Supersoul R’n’B (nulla di particolarmente nuovo) ma non aspettatevi le vostre solite Anastacia, Joss Stone o Corinne Bailey Rae – qui c’è un groove che spacca (ho sempre aspettato il momento giusto per dire "groove che spacca" e adesso ne ho l’occasione: wahhh)! Provatelo la mattina appena svegli e comunque ogniqualvolta in ufficio il clima diventi pesante…Totalmente "fuori" ma al tempo stesso dentro il grande progetto mentale di Damon Albarn il CD The Good The Bad and The Queen, che il nostro scrive e produce con un pezzo di Clash (Paul Simonon, e si sente moltissimo) e un pezzo di Verve (Simon Tong). Diverso dai Blur, diverso dai Gorillaz, il nuovo progetto è new wave contaminata col brit-pop (dalla tradizione Kinks, soprattutto) contaminata con l’elettronica e con loop afro gestiti dal batterista Tony Allen. Un disco spesso grezzo, che impasta diversi stili e li ripropone in modo volutamente caotico ma affascinante. Ottimo da ascoltare a tutto volume in situazioni sgradevoli come tram, treni, sale d’attesa. Poi, vediamo… Ah, sì! Da segnalare il ritorno degli Air con Pocket Symphony dopo tre anni circa di silenzio. Che dire: è il solito disco degli Air (un po’ come Saturno Contro è il solito film di Ozpetek) che piace ai fan (a me per esempio piace molto) e lascia un po’ indifferenti tutti gli altri. Stavolta il due si è intrippato col Giappone e tutte le canzoni prendono un po’ una piega da "Alone in Kyoto". Nel singolo è un po’ difficile distinguerli dai Royksopp, ma insomma tutto sommato un disco godibile, da sentire svaccato su una panchina sotto un ciliegio in fiore alle due del pomeriggio. Che altro, ci sarebbe ancora Wincing the Night Away degli Shins, il nuovo progetto Grinderman di Nick Cave e l’ultimo Fab Four Suture degli imperscrutabili Stereolab, ma devo ancora ascoltarli. Se no mi abbuffo e non digerisco più nulla…

Tag: , , , , , ,

(S)CONCERTO E (S)CONFERENZA SUPERCAMP!

Chi non c’era allo (s)concerto + (s)conferenza di Ernesto Tomasini ieri sera al Miaao si è perso un piccolo grande evento nel panorama teatrale e musicale italiano. Ernesto è uno dei performer più quotati e amati in Europa, e nonostante sia palermitano di origine non si esibiva in Italia da 14 anni. Ammetto che sono di parte perché lo conosco "virtualmente" da diversi anni e finalmente ieri sera ci siamo visti di persona… Del resto uno i cui numi tutelari sono Walt Disney, Ken Russell e Julie Andrews non può che essere, culturalmente, un’anima a me molto affine! Ma voglio provare a descrivere l’evento per chi non c’era. Tutto si svolge nell’Oratorio della chiesa di San Filippo, già di per sé un luogo suggestivo. In scena un pianoforte a coda, una parrucca bianca e qualche tulipano bianco. Poi arriva il maestro Othon Matagaras. Come descrivere i primi venti minuti di performance di questo giovanissimo compositore greco? Non so, direi Stockhausen + Steve Reich + tradizione preromantica + un pizzico di anni ’80. Othon pesta sui tasti creando dissonanze paurose, ha il volto tempestato di piercing e a una larga fetta di pubblico, immagino, fa anche un po’ paura. La tensione sale, anche perché mentre suona bisbiglia al microfono formule vagamente demoniache e ogni tanto fa dei gesti inconsulti in direzione del pianoforte. Poi entra l’artiste extraordinaire (non è una presa per il culo, Ernesto ce l’ha veramente scritto sul biglietto da visita). Vestito da Cenobita (insomma una via di mezzo tra il tunicone di Neo e quello dei Supplizianti di Hellraiser). Il concerto si fa veramente sconcerto, mentre Othon accompagna la voce di Ernesto che passa tutte le ottave possibili e immaginabili andando dal registro del basso a quello del soprano. Le composizioni per piano e voce sono tutte di Matagaras, e sono sempre più demoniache (nei testi si disquisiva di sangue e sperma ma Ernesto confidava che essendo in inglese pochi lo avrebbero capito). Poi, improvvisamente, il cambio di registro. Ernesto stacca la parte inferiore dell’abito, rimane in tunichetta corta e nera, calzamaglia da giovane attore shakespeariano e scarpe col tacco da istitutrice tedesca. E comincia la seconda parte della serata, la conferenza sul ruolo dei castrati nella storia della musica dal ‘500 al ‘900. Sempre accompagnato dal maestro Matagaras, l’ultimo dei castrati (come lui stesso ama definirsi) da’ dimostrazione di musica corale e solista, di come i castrati interpretassero Monteverdi, Gluck, Rossini, dei loro capricci e delle loro manie. In sintesi, per chi volesse approfondire, i castrati nascono nel ‘500 nel coro del Vaticano per rispondere all’esigenza di musiche sempre più elaborate e acute che i cantanti "normali" non avrebbero potuto interpretare (le donne non erano ammesse in Vaticano). Massimo splendore per quasi tre secoli, decadenza con l’avvento del realismo interpretativo, delle donne sul palco, etc. Il castrato, insomma, come artificio massimo, corpo "costruito" per l’arte. Insomma, brividi, risate (perché lui è veramente un misto di Julie Andrews, Paolo Poli, Ettore Petrolini e chissà chi altro – è evidentemente influenzato dall’avanspettacolo italiano del dopoguerra e dal cabaret tedesco dei primi anni del secolo scorso) e anche un po’ di commozione, perché le note alte (o "altre") risuonano nella testa e spingono la lacrima. Quindi bravo, chapeau, e speriamo di rivederlo presto in Italia!

Tag: , , , , , , ,

MIKA KAZZI (PERDONATE L’IDIOZIA DEL TITOLO MA DOVEVO)

L’album feelgood del momento è indubbiamente Life In Cartoon Motion di Mika, scoperto per caso grazie al podcast di Giorgio Valletta e la cui conoscenza ho approfondito grazie al sempre immenso Ondarock di Claudio Fabretti (a proposito, metteteci il naso, hanno appena rinnovato il sito!)… Di norma non avrei nemmeno fatto caso a uno come Mika se l’avessi incrociato in un negozio di dischi (a parte il nome: io ho una passione per i cantanti dal nome stupido, come anche Tiga). Ma basta sentire una volta il singolo Grace Kelly (e magari vederne il video su YouTube) per capire che qui ci troviamo di fronte a uno di quei geni del pop che riesce a frullare tutto e tutti in un mix che ti rimane appiccicato alle orecchie e non si stacca più. Mika è figo come uno degli Strokes, si muove come Bowie quando aveva 20 anni, ha la voce di un Freddie Mercury in stato di grazia (diciamo periodo 1976-79) e confeziona pezzi che non sfigurerebbero nel repertorio di Robbie Williams o degli Scissors Sisters. Se vi fanno vomitare tutti i riferimenti citati (ma alla fine penso che ce ne sia un po’ per tutti i gusti), pace. Se no correte a sentire anche il resto dell’album, che contiene perle come Big Girl (You Are Beautiful), già eletta ad inno personale da Stefi o Lollipop (puro trash pop con tanto di coretti di bambini). Lo adoro.

Tag: , ,