In questi giorni sto divorando Il salmone del dubbio, libro ahimé postumo di Douglas Adams uscito in Urania (maggio 2004). Frammentario com’è (i suoi amici ed editor hanno scartabellato tra i suoi file per assemblarlo) è ancora più coerente con i processi mentali di questo grande, pythonesco scrittore che è tra i più vicini al mio gusto personale. Voglio solo riportare uno dei tanti frammenti geniali, perché è assolutamente in linea con quanto ho sempre pensato ma non mi è mai venuto in mente di esprimere così bene. 😉
"Ho trovato tre regole che descrivono le nostre reazioni alla tecnologia:
1. Qualunque cosa esista nel mondo quando nasciamo, ci pare normale e usuale e riteniamo che faccia per natura parte del funzionamento dell’universo.
2. Qualunque cosa sia stata inventata nel ventennio intercorso tra i nostri quindici e i nostri trentacinque anni è nuova ed entusiasmante e rivoluzionaria e forse rappresenta un campo in cui possiamo far carriera.
3. Qualunque cosa sia stata inventata dopo che abbiamo compiuto trentacinque anni va contro l’ordine naturale delle cose".
SERENATA TZIGANA
Una serata che inizia all’insegna del buonumore: un gruppo di pazzi tzigani che suona "O sole mio" con fisarmonica, sax, tamburelli e chitarrina sotto il mio palazzo. Dopo un po’ le facce alle finestre hanno cominciato a moltiplicarsi. Lo tzigano che non suonava nulla sorrideva con il suo faccione rosso e si arricciava i baffi. Salutava tutti i condomini e alla fine si è pure beccato una pioggia di monetine. Una piacente signora con al guinzaglio il cane di Barbie è passata al loro fianco. Un segnale: gli tzigani si sono guardati negli occhi e hanno cominciato a seguirla suonando "Summertime" nella loro sgangheratissima versione. Eccezionali!
L’OSCURA IMMENSITA’ DELLA MORTE
Tra le altre cose, ho iniziato e finito nel giro di due giorni L’oscura immensità della morte di Massimo Carlotto, spinto dal passaparola degli amici… Posso dire anche da parte mia che rientra nel numero dei libri più interessanti che ho letto in questa prima metà d’anno. Secco, preciso, senza sbavature. Non riesci a smettere di leggerlo. Eppure ti stronca la digestione (se hai mangiato) e ti toglie il sonno (se lo leggi a letto). La storia è quella di un ergastolano malato di tumore che chiede perdono all’uomo cui ha sterminato la famiglia. Da una premessa di per sé intrigante Carlotto fa sprofondare il lettore nelle sabbie mobili del male puro. Cioè, è uno di quei libri che ti fa affacciare sull’abisso. Una ricerca delle radici del male, e una visione del mondo che non vede altro che il male, il dolore e – in definitiva – l’oscura immensità della morte. Di libri che ti fanno stare male ne ho letti in vita mia forse due o tre. Uno era Le 120 giornate di Sodoma (con film annesso); uno era American Psycho (dimentichiamoci del film). Il libro di Carlotto mi pare abbia quel tipo di potenza soffocante che presenta la quotidianità del buio, la normalità delle ossessioni di morte. Il personaggio principale è realmente disturbante perché è molto facile riconoscersi almeno in parte in lui. E questo significa ammettere che il male siamo noi.
