Rieccomi qua. Uno zombie con la cartella del lavoro. Ma ho preferito tornare qui, in ogni caso. Dopo cinque ore passate in ospedale, non c’è niente di meglio che un po’ di routine di ufficio. L’intervento di mio padre non ha dato problemi, e tutto sembra essere andato come doveva andare. Certo, mi hanno detto di essere lì alle 9, e poi lo hanno portato in camera operatoria alle 12, ma a parte quello nulla di strano. Almeno, per loro. Io ho avuto modo di osservare alcuni fenomeni paranormali tipici delle corsie dei grandi ospedali. Ad esempio:
– perché i giovani medici (gli specializzandi) girano con minimo 15 penne biro nel taschino del camice?
– perché di tutto il personale che incroci in corsia non ne trovi mai uno che abbia una divisa uguale ad un altro? Voglio dire… come riconosci un infermiere, un dottore, un ausiliario…?
– perché, se in ospedale il silenzio è gradito, le sedie a disposizione dei visitatori producono rumori molesti di ferraglia ad ogni spostamento?
– perché le infermiere, appena uscite da una stanza, sembrano volatilizzarsi nel nulla (giuro, ho provato a rincorrerle, ma una volta giunte nel corridoio semplicemente svaniscono)…?
– perché i primari si aggirano per i corridoi sempre a gruppi di tre scambiandosi frasi assurde come "ho riscontrato episodi di flògosi" o "c’è un rischio di disseminazione liquorale del patogeno"?
– perché il personale tipo ausiliari o trasportatori non riesce a trasportare una barella senza infilare una sfilza di "cazzo", "minchia", "porca puttana" e "chi t’è mmurt’"?
– perché l’odore dell’ospedale ti si attacca addosso in modo indelebile nonostante ti lavi?
A questo ed altri interrogativi non ho ancora trovato risposta. Per adesso sono qui, ancora in piedi. Come Bruce Willis.
HAIKU #010
BRUCIATO DAL FUOCO INTERIORE
Ho lo sguardo appannato. Non c’è piacere più grande di usare le parole, o le immagini, per raccontare una storia, per creare un’istantanea. Ecco. Quell’ispirazione, mi manca da molto tempo. Non riesco più a fare come Lorenzo, che con pochi tratti dipinge una situazione, un racconto, rendendo la complessità della realtà in poche frasi, o trasformandola con un filtro surreale. E nemmeno riesco più a scattare immagini che raccontino qualcosa. Il motivo è che ho lo sguardo appannato. Non riesco più a focalizzare la realtà. Attorno a me vedo solo nebbia, cose indistinte, sfuggenti, poco descrivibili. Vivo nel motion blur. Il mondo esterno è collassato e il mondo interiore ha preso il sopravvento. Succede, nei momenti difficili. Mi rendo conto di essere molto più analitico, di lavorare molto su me stesso, di avere a fuoco molto di più i miei processi mentali ed emotivi piuttosto che quello che succede intorno a me. Per questo, temo, il blog sta prendendo la piega di una riflessione personale, un modo per estrarre qualcosa da dentro e guardarlo su schermo, per verificarne la consistenza. Dentro sento solo un grande fuoco, di dolore, rabbia e amore. Mi sorprendo a fissare le crepe nei muri, ripetendomi sempre le stesse parole. Decisamente appannato. E mi dispiace. Sarà un periodo.
