Dicembre con le vacanze di mezzo è un mese in cui riesco a vedere più film. Il più rilevante di questa fine anno, per me, è Bugonia di Yorgos Lanthimos: di questo c’è tutta la recensione qui, gli altri li trovate per esteso su Letterboxd.
Bugonia
★★★★
Bugonia parte da un’idea apparentemente assurda — due complottisti, Teddy (Jesse Plemons) e suo cugino Don (Aidan Delbis), convinti che una potente CEO sia un’aliena intenzionata a distruggere l’umanità, la rapiscono e la tengono prigioniera nel loro seminterrato — e la trasforma in una commedia nera feroce, grottesca e insieme inquietante. La protagonista è Michelle Fuller (Emma Stone), una donna di potere glaciale che viene costretta a confrontarsi con la paranoia della cultura contemporanea e con la propria stessa immagine.
Quello che colpisce subito è il tono: Lanthimos non abbandona il suo sguardo critico, ma lo snellisce rispetto ai barocchismi di The Lobster o The Killing of a Sacred Deer per puntare su una satira più diretta e corrosiva della società moderna. Bugonia gioca con la paranoia digitale, con l’ossessione per i complotti e con la sfiducia nelle istituzioni — ma lo fa in modo talvolta così spietato che il film può sembrare più una farsa nera che una satira sociale.
Emma Stone è sorprendente: la sua Michelle è un enigma di ghiaccio e pragmatismo, una figura che sembra umana e aliena nello stesso tempo, incarnando l’idea di potere corporativo senza empatia. Plemons è altrettanto memorabile, dando vita a Teddy con una combinazione di credibilità e follia dolorosa, tanto che la relazione tra i due non è semplicemente rapitore-vittima, ma un continuo scambio di ruoli emotivi e morali.
La sceneggiatura di Will Tracy (già dietro a Succession e The Menu) infiltra dialoghi secchi e tensione claustrofobica, mentre la regia tiene insieme risate amare e momenti di inquietudine pura. C’è da dire che l’accumulazione di gag e slapstick grottesco rende forse meno naturale la svolta — potente e quasi tragica — dell’ultima parte, c’è un po’ un rischio discontinuità (di cui penso Lanthimos se ne freghi altamente).
In sintesi, Bugonia non è solo un film “strano”: è uno specchio deformato della nostra epoca, dove credere a una teoria assurda diventa quasi comprensibile, e dove il cinismo verso il potere e la tecnologia si trasforma in caos narrativo e visivo. Con un finale agghiacciante, anche se un po’ “appiccicato”.
In Your Dreams, nuovo film animato Netflix, è uno di quei titoli che sembrano “piccoli”, ma che provano a parlare ai bambini con un’onestà sorprendente. Stevie (Jolie Hoang-Rappaport) ed Elliot (Elias Janssen) scoprono un libro magico che permette di entrare nel mondo dei sogni, sperando di risolvere il problema che li tormenta nella vita reale: i genitori (Cristin Milioti e Simu Liu) stanno per separarsi. Il viaggio onirico diventa così un tentativo infantile — e toccante — di aggiustare una famiglia che forse non può più essere rimessa insieme.
Wicked: For Good
★★★½
Premessa: sono un freak dei musical, quindi sono un po’ di parte… Wicked: For Good è quel tipo di sequel che prova a dare una forma più ampia e completa alla storia cominciata nel primo film tratto dal musical di Broadway. Se Wicked (2024) aveva condensato l’atto I con fedeltà praticamente scenica, qui For Good prende la seconda metà e la espande in modo più cinematografico trasformando ciò che era un atto teatrale in un film vero e proprio, con inizio, svolgimento ed epilogo ben delineati.
Diary of a Wimpy Kid: The Last Straw
★★
Diary of a Wimpy Kid: The Last Straw è il quarto capitolo della saga animata tratta dai libri di Jeff Kinney e, come sempre, è un mix di caos, risate slapstick e qualche lezione familiare. Greg Heffley (voce di Aaron Harris) si ritrova di nuovo in conflitto con suo padre Frank (Chris Diamantopoulos) quando una serie di disastri e imbarazzi convince il genitore che il figlio abbia bisogno di disciplina. Invece di finire in una scuola militare, Greg prova a guadagnarsi distintivi in un gruppo di scout, finendo invischiato in un weekend nella natura selvaggia.
Sono partito un po’ scettico: il primo The Black Phone era un horror teso, claustrofobico, con una formula quasi “rituale” e un villain mascherato memorabile. Il sequel invece prende quelle premesse e… le ribalta in qualcosa di decisamente diverso. In questo secondo capitolo, ambientato nel 1982, Finney Blake (Mason Thames) è cresciuto ma non ha affatto lasciato alle spalle le cicatrici del passato; è tormentato, imbrigliato in sensazioni sotterranee e in una relazione conflittuale con il proprio trauma. Sua sorella Gwen (Madeleine McGraw), invece, diventa la protagonista “attiva”: è lei a ricevere chiamate inquietanti dal telefono nero nei sogni, a vedere visioni di omicidi e a spingere Finney a seguire il filo che la riporta all’Alpine Lake Camp, luogo di antichi misteri e leggende oscure.
Dracula
★★
Il Dracula di Luc Besson prova a rileggere il mito di Stoker puntando tutto sul melodramma romantico, ma il risultato è un film che sembra vivere costantemente all’ombra del Dracula di Coppola. La storia di Vlad (Caleb Landry Jones), condannato all’eternità dopo la perdita dell’amata Elisabeta/Mina (Zoë Bleu), riprende senza troppi filtri l’idea dell’amore reincarnato e del vampiro tragico, con pochissime deviazioni realmente personali.
Wake Up Dead Man: A Knives Out Mystery segna un deciso passo avanti rispetto a Glass Onion e riporta Benoit Blanc (Daniel Craig) in un territorio più vicino al giallo classico, anche se filtrato da un contesto decisamente insolito. Qui l’indagine ruota attorno alla morte di un monsignore durante una predica di Venerdì Santo, e il whodunit si tinge fin da subito di atmosfere ecclesiastiche, colpa, fede e redenzione.
Ci sono andato spinto dall’entusiasmo di mio figlio, ma Five Nights at Freddy’s 2 mi ha lasciato piuttosto freddo. Il film riprende gli eventi del primo capitolo con Mike (Josh Hutcherson), Abby (Piper Rubio) e Vanessa (Elizabeth Lail) di nuovo invischiati nei misteri della pizzeria di Freddy Fazbear, ma lo fa accumulando sottotrame, flashback e spiegazioni che appesantiscono subito la visione.
The Mastermind
★★★½
The Mastermind di Kelly Reichardt conferma uno sguardo coerente con First Cow, ma applicato a un territorio più spigoloso. Qui il genere heist è quasi un pretesto: J.B. Mooney (Josh O’Connor), padre di famiglia senza grandi prospettive, organizza il furto di alcuni quadri in un museo del Massachusetts anni ’70, dando il via a una deriva più esistenziale che criminale.
The Running Man di Edgar Wright è uno di quei film da cui non mi aspettavo granché e che invece si lascia guardare con piacere. L’idea di tornare al romanzo distopico di Stephen King (dopo il film anni ’80 con Schwarzenegger) funziona: Ben Richards (Glen Powell) è un uomo qualunque costretto a partecipare a un gioco televisivo mortale per sopravvivere, in un futuro dominato da media cinici e spettacolarizzazione della violenza.
The Carpenter’s Son è uno di quei film che colpiscono già dall’idea: un horror “cristiano” che rilegge l’infanzia di Gesù in chiave soprannaturale, pescando dagli apocrifi e infilando il tutto in un immaginario da film di esorcismi. Joseph (Nicolas Cage) è un padre inquieto e ossessivo, Mary (FKA Twigs) una figura silenziosa e distante, mentre il figlio (Noah Jupe) è un adolescente consapevole di essere diverso, osservato e tentato da una presenza ambigua che prende le sembianze di una ragazzina.
Zootopia 2
★★★½
Zootropolis 2 è una rara conferma di originalità nel catalogo Disney recente: un sequel che non si limita a ripetere formule, ma costruisce una narrazione più scorrevole e coerente rispetto al primo film, dove il world building era così denso da rallentare il ritmo. Qui l’equilibrio tra azione, umorismo e riflessione sociale è calibrato con maggiore misura, rendendo il film maggiormente godibile anche a occhi da adulto.
Eddington
★★★
Eddington di Ari Aster è un film che punta in alto: un affresco gigante dell’America contemporanea, un mosaico di Covid, mascherine, proteste BLM, ANTIFA, polarizzazioni social, media onnipresenti e paranoia collettiva. L’idea di mettere tutto questo dentro un thriller politico-psicologico è ambiziosa, e sulla carta avrebbe dovuto dare vita a qualcosa di affilato e inquietante.
