BRIVIDO, TERRORE, RACCAPRICCIO

TERRORE, PAURA, RACCAPRICCIOAnche quest’anno è Halloween, e anche quest’anno – forse più di tutti gli altri anni – lo schermo televisivo ribolle di serie horror, rovesciando sul malcapitato spettatore brandelli di interiora, disagio, citazionismo e quant’altro. Io? Io ci sguazzo, dato che l’horror – insieme al musical – è il mio genere preferito di tutti i tempi. Vi voglio quindi offrire un paio di suggestioni sulle serie TV che in questo mese di ottobre hanno illuminato il mio salotto di riflessi sanguinosi. Il tizio qui a fianco riassume un po’ tutto il mood, anche se in realtà proviene da un cult movie anni ’60 che lascio a voi indovinare. Qualsiasi altra immagine avessi pensato di mettere al suo posto, comunque, avrebbe urtato la vostra sensibilità.

THE WALKING DEAD
Togliamoci subito questo sassolino dalla scarpa, The Walking Dead è diventata nelle ultime stagioni una delle serie più noiose ever. Enorme cliffhanger lo scorso anno con il nuovo supercattivo Negan (Jeffrey Dean Morgan, l’uomo che amate odiare) che fa esplodere a mazzate la testa di qualcuno, lasciandoci intendere che è un Qualcuno con la Q maiuscola. Bene, no spoiler, anche se la prima puntata della nuova stagione dovrebbe aver già fatto il botto (in ogni senso, ehm…). L’interesse c’è, è chiaro, ma TWD si riconferma nei suoi momenti migliori essenzialmente una serie che vuole procurare disagio e nausea, far stare male non tanto per il gusto di spaventare, ma per il disgusto di testimoniare gli abissi della perversione del potere. Gli effetti speciali “mazza da baseball + ossa del cranio” sono ultrarealistici, quindi, beh. Occorre essere preparati. L’impressione è che avendoci resi testimoni di questo massacro gratuito, alle prossime puntate non resti che virare al sottogenere revenge tirandola un po’ in lungo… Speriamo di no. Comunque dopo aver visto una puntata di TWD il consiglio è sempre di vederne almeno altre due di The Big Bang Theory, giusto per bilanciare.

THE STRAIN
La serie di Guillermo del Toro e Chuck Hogan procede spedita con il terzo volume della saga del virus vampirico che trasforma i contagiati in veloci e famelici umanoidi con un’anaconda nelle fauci. Questa è la serie che vorreste perdervi, ma che poi inaspettatamente vi prende. Tutti i protagonisti sono antipatici, o comunque estremamente sopra le righe, molte cose sanno di già visto (insomma, vedi alla voce Blade II), eppure… c’è sempre il Del Toro touch, quella cosa che ti fa ricredere, quel tipo di inquadratura, quel particolare sound design, ma soprattutto la caratterizzazione di alcuni cattivi. C’è dietro una mitologia vampirica abbastanza “nuova” da essere intrigante e che risale almeno all’epoca nazista… Un fumettone d’altri tempi, che scorre comunque via piacevole e lascia alcuni brividi in particolare quando sono in campo gli inquietantissimi bambini-ragno-vampiri-ciechi (non saprei come altro definirli). Questa terza stagione, appena conclusa, non sarà l’ultima dato che il terzo volume dei romanzi di Del Toro (“Notte eterna”) verrà diviso in due stagioni, un po’ come quasi tutti i finali di saga, tanto per allungare il brodo.

THE EXORCIST
New entry 2016 per la serie che vorrebbe rinverdire i fasti del primo e unico Esorcista: ne riprende il logo, l’ispirazione dal romanzo di Blatty, alcune inquadrature, una musica molto famosa (almeno nel primo episodio). Poi, nulla più. Ma non è necessariamente una cosa negativa. Siamo nuovamente di fronte al dilemma prete con esperienza + prete dubbioso alle prese con il demonio che abita una ragazzina perfettina. Solo che i due preti sono fighi e spaccano culi, la bambina fa cose peggiori di quelle di Linda Blair, la mamma della bambina (nell’originale l’immensa Ellen Burstyn) qui è Geena Davis. Che ha il coraggio di farsi vedere imbolsita e solo per questo le vogliamo bene. Comunque The Exorcist è una serie curiosa, mescola spaventi anni ’70 con suggestioni horror più recenti, facendo un po’ da ponte tra le varie evoluzioni del genere esorcistico. Carente dal punto di vista del sound design e della colonna sonora, per ora (troppo classic rock per i miei gusti). La trovata curiosa è che qui il demone è un personaggio vero e proprio: lo vediamo a fianco della bambina (soluzione “meh”, ma in fondo per esigenze di scena la posso capire) ma lo vediamo anche diventare sempre più creepy di puntata in puntata (il che è abbastanza gustoso).

ASH VS. EVIL DEAD
Per me questa è stata la serie più sorprendente e divertente del 2015. Ora siamo giunti alla seconda stagione e posso confermare che si tratta di una grandissima, clamorosa minchiata che proprio per questo è da adorare senza compromessi. Ash torna al paesello e la sua motosega deve vedersela con una nuova ondata di deadites (non saprei come lo traducono in italiano… i “morticci”?). Comunque sia, il secondo episodio (“The Morgue”) è una dichiarazione programmatica non da poco. Siamo al limite del vilipendio di cadavere, ma con quel solito gusto per il trash delle genuine produzioni Raimi/Tapert, per cui, non so come dirla in modo più fine, aspettatevi sangue e merda. Per me questa serie porta l’assunto dei vari Evil Dead ancora più oltre il delirio di L’Armata delle tenebre. Ash è l’eroe più cazzuto di tutti, ed è una scheggia di splatter anni ’80 dritta negli occhi. Senza dimenticare il fatto che c’è l’unica e inimitabile Lucy Lawless, quest’anno in combutta con Ash e soci per recuperare il Necronomicon, il simpatico libro dei morti che ti fa la lingua e ti si appiccica in faccia stile maschera mortuaria in lattice.

AMERICAN HORROR STORY: ROANOKE
Outsider di lusso, la sesta stagione di AHS, la serie antologica di Murphy e Falchuck. La curiosità in questo caso ha sempre la meglio, perché si tratta sempre della stessa “compagnia di giro” che interpreta un diverso spettacolo grand guignol ogni anno. Quest’anno, la strada intrapresa è stata quella del documentario a puntate con dramatization. Nota bene: non sto parlando di found footage (un sottogenere ben preciso che ha anche un po’ rotto i coglioni), ma di un’aderenza senza precedenti ad un genere intrinsecamente televisivo. Roanoke, per 5 puntate funziona come un qualsiasi programma stile “Chi l’ha visto”. La curiosità sta nel fatto che ogni personaggio è interpretato da due attori, quello “reale” intervistato e quello della messa in scena interna al documentario. La storia si basa sulla colonia perduta di Roanoke (di per sé un setting molto più inquietante delle ultime stagioni) e con un colpo di scena volutamente telefonato, si arriva ad una svolta in cui la storia sembra conclusa e invece si parte con un nuovo tipo di messa in scena: quella del reality con confessionale, videocamere installate, etc. Nel suo mostrarci l’orrore dei meccanismi televisivi (oltre che, per carità, scuoiamenti, sbudellamenti e smembramenti vari), Murphy si conferma come il più diabolico degli showrunner.