JOHN WICK E LE PORNOMAZZATE

Ah! E qui vi volevo! Dai, ve lo dico subito, il titolo del post non vuole alludere ad una versione Rule 34 di John Wick (ci sarà sicuramente, ma non è mia intenzione scovarla). Si tratta solo di una boutade per dire quello che è sotto gli occhi di tutti quelli che vanno a vedere le quasi tre ore di John Wick 4, fan o meno fan: il film di Chad Stahelski è l’equivalente action di un porno. Un buon porno, per carità, ma un porno. Mi spiego subito dopo il trailer.

Ci siamo? Allora, la prima cosa che si capisce già dal trailer è che John Wick 4 è più lungo, più grosso, più tutto di John Wick 1, 2 e 3 messi insieme. E questo da un lato è un bene, perché di mazzate date bene e senza troppi montaggi frenetici o camera a mano se ne sentiva il bisogno. Dall’altro è un male, perché il gioco di costruire tutto su un combattimento via l’altro non sempre è garanzia di intrattenimento (The Raid riesce una volta sola, diciamo).

Perché porno, quindi? Perché come nel porno la trama è quella roba fastidiosa che metti in scena per 15 secondi tra una scopata e l’altra, in John Wick basta che sostituisci sparatoria a scopata e ci siamo, è la stessa cosa.

La gente in sala rideva assai, durante la proiezione di John Wick. E secondo me non è una bella cosa ridere agli stunt, perché vuol dire che sono diventati poco credibili. Poi vabbè, ci sono delle scene di puro movimento, di cinema d’avanguardia, come la sparatoria con Donnie Yen nel Continental di Osaka, quella in discoteca a Berlino, tutta la sequenza in auto intorno all’Arco di Trionfo (da urlo) e – se vogliamo – la salita alla scalinata del Sacrè Coeur a Montmartre (quella però è anche una delle sequenze dove la sospensione dell’incredulità viene messa a dura prova).

La trama non sto nemmeno a dirvela, John Wick vuole tirarsi fuori dalla Tavola Alta ma la Tavola Alta non vuole e lo vuole anzi morto male. Lui tra uno YEAH e un I DON’T THINK SO ammazza tutti, persino Scott Adkins travestito da Cicciobastardo di Austin Powers e poi si spara il duello con il (ridicolo) boss finale Bill Skarsgard.

Sarà la fine di John Wick? Ai posteri l’ardua sentenza, intanto c’è una scena post credits da vedere che però lascia ancora più perplessi. E comunque hanno già annunciato il 5.

COMFORT SEVENTIES

Ciao raga, questa sera ho deciso di farvi un regalo. Ero lì che cazzeggiavo e mi è venuto questo impulso di ripescare un po’ di cose che ascoltavo quando ero veramente molto piccino, diciamo tra i 5 e gli 8 anni.

Se mi seguite qui o là o su o giù sapete che io di base sono sempre stato un tipo post punk, wave/goth, electro, per cui chitarre giusto ritmiche, basso e dub laddove possibile, morte agli assoli e all’easy listening, no ai virtuosismi e al classic rock, schifo alle ballad.

Ma non è sempre stato così, ovviamente.
Anche io, come tutti i GenXer, sono cresciuto in un brodo primordiale di Bee Gees e Supertramp, Chicago e Journey, Meat Loaf e Queen, Pink Floyd e Genesis, Billy Joel e Linda Ronstadt. E molto altro che sono andato a scovare per proporvi questa playlist che rappresenta una sorta di “comfort zone anni ’70” cui torno veramente di rado.

Si tratta in sostanza della musica che ascoltavo col mio papà. Lui era del ’39, quindi la musica dei suoi vent’anni era al massimo – per dire – Frank Sinatra. Elvis proprio tirato per i capelli. Eppure a 35 anni, quando a quei tempi si era considerati già vecchi, lui comprava dischi e me li proponeva sul piatto Technics, e li ascoltavamo in cuffia insieme.

Poi è ovvio che la formazione personale passa anche attraverso la ribellione ai gusti di papà, e del resto lui dopo gli Alan Parsons Project ha un po’ smesso di cercare roba nuova da ascoltare. Però questa è la roba che ascoltavamo insieme.

Sono due ore e venti di playlist.
Godetevela in macchina, nel traffico, o mentre fate jogging in queste mattine di primavera, e ricordatevi com’era 45 anni fa. O immaginatevelo, se non eravate ancora in giro.

THE HARBINGER: QUELLO SBAGLIATO, PERÒ

Questo è il secondo film a tema suicidio che vedo nel giro di pochi giorni. Il primo era Smile, e già lì c’era qualcosa di strano. Con The Harbinger andiamo spediti verso la locura. Favorisco il già imbarazzante trailer.

Questa tortura autoinflitta deriva dal fatto che avevo intercettato una recensione dei 400 Calci su The Harbinger (2022) e mi ero segnato il titolo. Poi però loro parlavano di un horror metaforico sul lockdown, mentre il mio The Harbinger (sempre 2022) è un horror per modo di dire su una catena di suicidi misteriosi dove c’entrano il Diavolo e il folklore nativo americano, scritto e girato male e recitato mille volte peggio.

Abbiamo il topos della bambina posseduta che fa brutto, il padre che ha firmato un misterioso contratto con non si sa bene chi (questo per dire che nella prima mezz’ora di film non si capisce un cazzo, ma potrebbe anche essere intrigante se non fosse che sono tutti dei cani maledetti), la madre che non si capisce bene che ruolo abbia in tutto ciò.

Poi c’è la comunità di ficcanaso in cui cominciano a suicidarsi le persone, poi sembra che arrivi lo spiegoneTM, poi non si capisce più un cazzo di nuovo e alla fine parte la locura con Satana in corna e zoccoli, anime di morti nella guerra civile, talismani magici, sacrifici umani, le cavallette. In tutto ciò, la sottotrama della sciamana nativa americana stranamente esperta di esegesi biblica è decisamente qualcosa.

Sembra di vedere un brutto horror anni ’80, tipo un sequel di Phantasm di Coscarelli, per dire, ma senza la deliziosa consapevolezza trash di questi ultimi. Terrificante. E comunque dovrebbero mettere una legge per cui non puoi nello stesso anno intitolare due film esattamente nello stesso modo.