IL PRIMO SLAM DUNK NON SI SCORDA MAI

Non sono un cultore di Slam Dunk, non leggevo il manga e ho visto pochissimi episodi della serie anime. Però ho voluto vedere il lungometraggio (più di due ore) di Takehiko Inoue, The First Slam Dunk, spinto dalle recensioni entusiastiche viste in giro.

Effettivamente è un anime potente, giocato tutto sulla partita chiave che porterà i Shohoku a battere la Sannoh High e i protagonisti ad arrivare al traguardo dell’NBA. Ma la partita viene inframmezzata da molti flashback, che dovrebbero portarci dentro la storia e la psicologia dei vari giocatori.

In realtà ricordo che la serie era più centrata sul “genio del basket” Sakuragi (quello coi capelli rossi rasati), mentre qui il maggior spazio è dato all’underdog Ryota, che ha alle spalle una tragica storia di basket e amore fraterno, lutti in famiglia e bullismo a scuola. 

Non che non siano tutti underdog in un certo senso, i giocatori del Shohoku. Qualcosa è raccontato anche delle loro storie. Diciamo che se sei un superfan trovi The First Slam Dunk un interessante ribaltamento di prospettiva su un materiale che conosci a menadito. Se invece non ne sai molto, non è facilissimo entrare nelle dinamiche di squadra.

Detto ciò, anche se non si è appassionati di basket, qualunque sequenza si svolga in campo è un capolavoro di animazione, movimento, dinamismo, sonoro. Sembra rotoscoping ma non è: è il genio di Inoue.

HIT MAN: LINKLATER E L’ACTION

Hit Man di Richard Linklater è probabilmente il film che farà di Glen Powell (qui anche sceneggiatore e produttore) una vera star, più ancora di Anyone But You. Siamo dalle parti dei film “di genere” di Linklater (Bernie, School of Rock), che per quanto pop e divertenti mantengono sempre parte di quel piglio indie e riflessivo di Boyhood o della serie “Before qualcosa”.

I killer a pagamento (gli hit man) come si sa sono delle figure di fantasia. Come spiega il protagonista non esiste veramente qualcuno disposto a farsi un ergastolo per la tua bella faccia uccidendo al posto tuo, nemmeno per tanti soldi. Ma la gente non lo sa, e questo fa la fortuna della polizia di New Orleans, che incastra diversi personaggi sulla base della loro intenzione di uccidere qualcuno tramite terzi.

Come fanno? Semplice, c’è Gary (Glen Powell, appunto) che la mattina insegna filosofia al college, vive solo con i suoi due gatti Ego e Id e ha come hobby pallosissimo il bird watching con cui ammorba i colleghi, e il pomeriggio collabora con la polizia impersonando un finto killer a pagamento per fare da esca ai potenziali criminali.

Inizialmente Gary è timido, poi ci prende la mano e tra mille travestimenti si adagia nel personaggio di Ron, un killer dal cuore d’oro, affascinante e volitivo che fa breccia nel cuore di Madison, una giovane sposa che vorrebbe far uccidere il marito violento. Ron/Gary esce per un attimo dal ruolo e la dissuade, perché è già innamorato.

Da questo momento Hit Man smette di essere una commedia d’azione e diventa un film multistrato, un po’ romcom, un po’ screwball comedy, un po’ neonoir ironico (ci ho sentito molta eco dei primi Coen), un po’ riflessione filosofica sull’identità, sul superomismo, sull’etica e sulla politica. I casini si accumulano sempre di più e i due personaggi principali dovranno svelare l’uno all’altro alcuni segreti…

Il film è tratto da un articolo di true crime ed è basato su un personaggio reale: alla fine viene chiarito in quali punti del film è stato usato un po’ di “abbellimento narrativo”. Insieme a The Fall Guy (ma in questo caso con meno stunt fisici e più introspezione) uno dei migliori film del genere visti quest’anno.

IL CINEMA TOTALE DI POWELL E PRESSBURGER

Aspettavo questo documentario come fosse Natale perché nutro una passione sconfinata per Michael Powell ed Emeric Pressburger da quando da piccolo guardavo in TV i Racconti di Hoffmann e poi da studente di cinema guardavo Narciso Nero o Scarpette rosse.

Ho scoperto solo ora che condivido un’esperienza di vita con Martin Scorsese (ammiratore e poi grande amico di Powell), che ha avuto le mie stesse esperienze televisive e universitarie, salvo che poi lui è diventato Martin Scorsese e io no

Comunque questo documentario narrato appunto da Scorsese ripercorre tutta la carriera del duo inglese, dalle origini con Rex Ingram ai tempi del muto agli ultimi film di Powell (anche se non è incluso il mediometraggio per bambini “Il ragazzo che diventò giallo” del 1972 che è un piccolo capolavoro di psichedelia che gareggia con il primo Willy Wonka). 

Sentire la storia di Duello a Berlino, di Scala al paradiso, Narciso Nero, Scarpette Rosse, L’occhio che uccide e degli altri film “minori” del duo regista/sceneggiatore più magico del cinema britannico, raccontata da un altro genio del cinema, non ha prezzo. Uscito da pochissimo su Mubi, da non perdere.