GODZILLA MINUS ONE, FINALMENTE

Rincorrere questo film in tutti i torrenti e in tutti i laghi è stato faticosissimo, ma alla fine è arrivato su Netflix e anche io ho potuto godere di Godzilla Minus One, che – devo dire – ho molto apprezzato. 

Intendiamoci, avevo apprezzato anche la lettura di Hideaki Anno (Shin Godzilla, nel 2016). Ma questa versione di Takashi Yamazaki (regista e fx master) ambientata nel giappone post-bellico l’ho trovata veramente coinvolgente.

Nella prima parte c’è il setting del personaggio di Koichi, kamikaze mancato che è testimone della prima incursione di Godzilla sull’isola di Odo. Poi Koichi torna nella Tokyo bombardata per scoprire che i suoi sono morti e tutti lo schifano perché non è morto anche lui. Forma una sorta di famiglia di fatto con una ragazza e una bambina ma ecco che Godzilla riappare e rade al suolo Ginza (sì, prima succedono anche altre cose, ma era per passare alle cose importanti).

Gli effetti speciali sono da urlo, quasi ti dimentichi che la ragazza di cui intanto Koichi si sta innamorando è – poof – sparita. E poi niente, arrivano i piani degli scienziati e dei militari per fottere Godzilla che sono uno più bello dell’altro e che ovviamente culminano con una scena di kamikaze di Koichi perché lui ha i suoi demoni, cazzo, e solo nella morte con onore potrà placarli.

Poi comunque c’è un lieto fine, che un po’ mi aspettavo ma un po’ anche no. Sono proprio contento di aver visto Godzilla Minus One, l’avessero tenuto più di due giorni in sala l’avrei visto anche prima, ma tant’è.

UNO SQUALO A PARIGI

Mi fa un po’ ridere parlare di Under Paris (Sous la Seine in originale), l’ultimo film di Xavier Gens che sta su Netflix ancora per poco a quanto pare. Perché sembra che uno sceneggiatore abbia denunciato Netflix per via del fatto che questa idea dello squalo che finisce per vagare nella Senna durante una gara di triathlon a Parigi sia stata rubata a lui, salvo che non era uno squalo ma un pesce siluro.

Vaaaaaaa bene. Sous la Seine non sarà il più originale dei thriller, ma ha la sua Berenice Béjo, ricercatrice traumatizzata dallo squalo femmina Lilith (progenitrice di una nuova specie di squali mutanti che si trova benissimo anche in acque dolci) e ha il suo poliziotto parigino (Nassim Lyes) che le dà manforte una volta capito il pericolo.

Per il resto, cosa volete che vi dica. È un film di squali, ci sono diversi smembramenti e morti ammazzati o mezzi mangiati, c’è un’ambientazione inedita, c’è Xavier Gens che un po’ il fatto suo lo sa ancora, serve una sospensione dell’incredulità forte, ma forte, che è quasi stancante sospendere l’incredulità così, tanto che a un certo punto mi sono addormentato

Ma ho letto su Wikipedia che finisce con l’ipotesi che in ogni grande fiume del pianeta ci sia un grande squalo mutante in agguato. Adoro.

CHALLENGERS: BRAVI MA BASTA

Sentimenti contrastanti per il nuovo film di Guadagnino, sul quale da parte di chi ama il tennis c’era molto hype ma da parte di chi come me non gliene frega un cazzo, no. Poi ovvio che il tennis è un pretesto, e che tutto si gioca sui corpi e sugli sguardi dei tre magnetici personaggi di Tashi (Zendaya), Patrick (Josh O’Connor) e Art (Mike Faist).

In principio Tashi attizza Patrick e Art, i tre limonano insieme, Patrick e Art anche tra loro due (i sottotesti queer sono sempre calcatissimi come in ogni film di Guadagnino che si rispetti). Poi Tashi si rompe il ginocchio e finisce per sposare ma anche allenare Art, ma in qualche modo Patrick la attizza, ma c’è di mezzo il tennis, la carriera di Art, insomma… ci siamo capiti.

A me Guadagnino piace molto, e gli perdono questa “vacanza” (per lui che evidentemente si è divertito un mondo) in un sottogenere che a me fa cacarissimo, la commedia romantica sportiva. Poi comunque ci sono n motivi per cui il film va visto ed è valido, tipo i tre protagonisti che bucano lo schermo, la musica ficcante di Reznor/Ross e diversi virtuosismi tecnici di cui si poteva benissimo fare a meno, ma va bene così.