IL CINEMA TOTALE DI POWELL E PRESSBURGER

Aspettavo questo documentario come fosse Natale perché nutro una passione sconfinata per Michael Powell ed Emeric Pressburger da quando da piccolo guardavo in TV i Racconti di Hoffmann e poi da studente di cinema guardavo Narciso Nero o Scarpette rosse.

Ho scoperto solo ora che condivido un’esperienza di vita con Martin Scorsese (ammiratore e poi grande amico di Powell), che ha avuto le mie stesse esperienze televisive e universitarie, salvo che poi lui è diventato Martin Scorsese e io no

Comunque questo documentario narrato appunto da Scorsese ripercorre tutta la carriera del duo inglese, dalle origini con Rex Ingram ai tempi del muto agli ultimi film di Powell (anche se non è incluso il mediometraggio per bambini “Il ragazzo che diventò giallo” del 1972 che è un piccolo capolavoro di psichedelia che gareggia con il primo Willy Wonka). 

Sentire la storia di Duello a Berlino, di Scala al paradiso, Narciso Nero, Scarpette Rosse, L’occhio che uccide e degli altri film “minori” del duo regista/sceneggiatore più magico del cinema britannico, raccontata da un altro genio del cinema, non ha prezzo. Uscito da pochissimo su Mubi, da non perdere.

COME TED LASSO, MA NEL PACIFICO

A prima vista Next Goal Wins (su Disney+) è una storia sulla scia di Ted Lasso, su un allenatore di calcio americano “esiliato” in Samoa Americana (non nella Repubblica di Samoa, grande rivale) ad allenare una squadra sfigatissima che è riuscita a perdere 31 a 0 contro l’Australia. 

Poi si capisce che è effettivamente tratto da una storia vera il che è ancora più bizzarro. Ovviamente Taika Waititi calca la mano su tutte le stranezze e i tic della società “pacifica” (in tutti i sensi) che accoglie l’allenatore Michael Fassbender. 

Si ride molto, alla fine ci si commuove un po’ scoprendo man mano la storia personale di ognuno dei protagonisti. Elizabeth Moss è l’ex moglie di Fassbender che ora sta con il suo boss Will Arnett (sempre quietamente respingente). 

Menzione speciale per la sottotrama della calciatrice trans Jayah, una “fa’fafine” che porta la bellezza (e i goal) nella squadra. Waititi si ritaglia il ruolo del prete sui generis, con denti finti e parlantina inarrestabile.

INSIDE OUT 2: FORSE SÌ, FORSE NO

Ho visto Inside Out 2 il giorno stesso dell’uscita in sala (era una promessa da mantenere), ma mi ci è voluto qualche giorno per digerirlo. Come al solito c’è stato chi lo ha amato e chi lo ha denigrato, e devo dire che ci sono validi motivi per sostenere entrambe le posizioni. Prima la notizia buona o quella cattiva? Di solito si dice prima quella cattiva.

Inside Out 2 è un sequel, e già questa non è una buona notizia. Però va anche detto che gli ultimi Pixar originali, per quanto siano piaciuti a me, non hanno avuto questo grande successo al botteghino. Chiaro che a questo punto giochi sul sicuro. E del resto finora, per esempio con Toy Story, i sequel Pixar non sono stati proprio da buttare. 

Ma Inside Out 2 è un sequel un po’ forzato, che quasi 10 anni dopo l’originale ci porta avanti di due anni nella vita di Riley e rimette in gioco lo stesso meccanismo già visto secondo la ben nota regola del “di più, più grande, esageriamo”. Più emozioni, una missione ancora più cruciale per Gioia & C. (ma più o meno la stessa cosa dell’altra volta), più hockey.

Non c’è un personaggio come Bing Bong, e il tentativo di sostituirlo con Bloofy e Pouchy (personaggi ispirati a Dora l’esploratrice e fautori delle migliori gag del film) non raggiunge l’obiettivo sperato. Le stesse nuove emozioni, a parte Ansia (Maya Hawke) sono purtroppo sottoutilizzate in un modo spaventoso, in particolare Invidia (Ayo Edebiri) che ha veramente pochissimo screen time.

Poi ci sono le cose positive: come tutti diranno, Inside Out 2 rappresenta molto bene l’insorgere di emozioni più complesse nella psiche di un adolescente (la scena dell’allarme pubertà è in effetti esilarante), si vede che c’è stata una notevole consulenza psicologica, il character design delle emozioni (di Deanna Marsigliese, seguitela su Instagram) è come sempre superlativo, anche se la metafora della “console” e del gruppo di lavoro manageriale ha tirato un po’ la corda.

Ansia prende il sopravvento mentre Riley è al campo di hockey con le sue vecchie amiche di scuola e si trova a voler fare colpo sulle ragazze cool delle superiori. Il “senso di sé” di Riley si incrina, Ansia crede di far bene (meglio di quanto fa Gioia, comunque) e finisce per provocare un vero e proprio attacco di panico (quella scena è molto efficace, e devo dire che comunica molto chiaramente la situazione, chi l’ha vissuto lo sa). L’altra scena fantastica è quando Ennui usa per la prima volta il sarcasmo creando nella personalità di Riley un burrone (chasm, in assonanza con sar-chasm) che allontana le persone: una perfetta metafora visiva.

Le cose si aggiustano alla fine accettando che Riley è più complessa di quanto le emozioni che vorrebbero comandarla pensano, e che va bene così (in pratica la stessa morale del film precedente, ma “di più”). Insomma, Inside Out 2 è un film tanto inutile quanto godibile, come sempre a duplice fruizione adulti/bambini, con un grande assente, visto l’allarme pubertà: a mio avviso manca all’appello Libido

Quando ad un certo punto si vede una cella con dentro rinchiuso “il più grande segreto di Riley“, ho pensato che fosse qualcosa che riguardava la sua sessualità (vista anche l’ossessione per Val, la capitana della quadra delle superiori). Se resistete fino al termine dei titoli di coda scoprirete anche voi che il più grande segreto di Riley NON è quello che avevo pensato io.

In compenso in due momenti a caso appare Nostalgia, che per me è il personaggio più figo di tutto il film. Ecco, io vorrei uno spin-off dedicato totalmente a Nostalgia. Magari quando Riley ha 18 anni lo fanno.