BUFFY+LYNCH=I SAW THE TV GLOW

Un oggetto stranissimo, I Saw The TV Glow di Jane Schoenbrun. Lo guardo perché è un film A24, e io tendenzialmente devo vedere tutti i film A24. Lo guardo e mi prende, perché ha quell’andamento ipnotico lynchiano bizzarro che ben si sposa con i miei gusti.

Dopo un po’ mi rendo conto che è un film che mescola le atmosfere lynchiane con una secchiata di riferimenti alla serialità televisiva anni ’90 e in particolare a Buffy The Vampire Slayer (c’è persino un cameo di Amber Benson e la serie tv nel film usa lo stesso font di Buffy).

Alla fine mi rendo conto che in realtà è tutto una grande metafora della condizione transgender e che avrei dovuto capirlo fin dall’inizio quando Owen, il protagonista bambino, cammina trasognato sotto una enorme bandiera transgender, appunto.

Comunque: è la storia di Owen (Justice Smith, ma da piccolo è interpretato da Ian Foreman), giovane un po’ problematico, che incontra una ragazza con qualche anno in più, Maddy (Brigette Lundy-Payne, vista in Atypical). I due legano sulla base dell’apprezzamento per una serie TV a carattere parapsicologico intitolata The Pink Opaque, in cui due amiche, Tara e Isabel, combattono contro i mostri inviati da Mr. Melancholy (una “faccia sulla luna che è a metà tra Méliès e un video degli Smashing Pumpkins). 

A un certo punto Maddy, che di suo è un po’ intensa, scappa di casa. Dopo qualche anno torna, intercetta Owen cresciuto e comincia ad insinuare che forse The Pink Opaque non era proprio solo uno show ma che (sempre forse) Owen in realtà è Tara e lei è Isabel (o il contrario, a un certo punto mi sono confuso). Dichiara di aver vissuto “nello show” da quando è scappata.

Insomma, si comincia a pensare che forse la vita vera è un inganno e che Owen e Maddy siano in realtà veramente Tara e Isabel sepolte vive dal perfido Mr. Melancholy. Tutto questo porta a un finale estremamente bizzarro e volendo anche un po’ cronenberghiano che non vi svelerò ma che ha senso se pensiamo che è tutta una metafora della disforia di genere.

In linea di massima vedere questo film è un po’ come mangiarsi i funghetti, quindi come si usa dire “non è per tutti”, però oh, a me è piaciuto.

LA SAGA DI FURIOSA

Cosa può dire di Furiosa: A Mad Max Saga uno che ritiene Mad Max: Fury Road il film del decennio 2010-2019? Si tratta di un altro capolavoro di narrazione per immagini? Forse no. Si tratta di un film comunque interessante e godibile? Certamente sì. Rispetto al predecessore, al quale è legato a doppio filo in quanto “prequel spin off”, è una spanna sotto, ma è comunque un film di George Miller, per cui insomma, non fatemi dire.

Furiosa dura quasi tre ore e ci racconta la storia di Imperator Furiosa (prima che diventi imperator), il personaggio che in Fury Road era di Charlize Theron, che aiutava a fuggire nell’outback l’harem di mogli bambine di Immortan Joe. 

E il primo difetto di Furiosa (il film) è proprio che Furiosa (il personaggio) non è ovviamente interpretato da Charlize Theron, ma per tutta la prima ora di film da Alyla Brown e per le due ore seguenti da Anya Taylor-Joy, che a me piace assai ma che in confronto a Charlize mi pare, non so, poco credibile.

Comunque la storia è bella, si approfondisce questo personaggio che viene dalla tribù matriarcale delle Vuvalini, rapita dagli scagnozzi di Dementus (un originale Chris Hemsworth) che le ammazzano la madre e infine la vendono a Immortan Joe come sposa bambina

Ma Furiosa cresce, fugge, si spaccia per maschio, diventa pilota di blindocisterna, incontra un mentore in Pretorian Jack, finisce in mezzo a una guerra tra Dementus e Immortan Joe, alla fine perde un braccio (no spoiler, lo sappiamo da quasi dieci anni che ha un braccio prostetico) ma riesce a catturare Dementus e a vendicarsi, diventando Imperator per Immortan Joe.

Detto ciò, la questione è che ci sono i grandi spazi, le grandi scene di azione, c’è l’estetica milleriana e c’è il montaggio superlativo, senonché… forse c’è qualche dialogo di troppo, non so. Mi ha convinto meno. Avercene comunque, di film così almeno una volta ogni 10 anni.

IF: AMICI IMMAGINARI E LACRIME AMARE

Pensavo che IF fosse un ottimo film per famiglie da vedere con la Creatura: mi sbagliavo. Cioè: è comunque un buon film, John Krasinski è un grande e sa il fatto suo, c’è un’ottima CGI che mescola il mondo degli IF (Imaginary Friends) con quello reale e soprattutto uno spunto preso di peso da una delle idee più di successo della Pixar. Ma è un film che non va bene per i bambini.

Mi spiego. IF prende la storia di Bing Bong, l’amico immaginario di Riley nel primo Inside Out, che già di suo faceva piangere a mille, espandendola in una sorta di universo parallelo in cui vivono tutti gli amici immaginari dei bambini che nel frattempo sono diventati adulti e che quindi si sono dimenticati di loro. Tutti questi IF vivono in una RSA per amici immaginari nei sotterranei di Coney Island. Cioè, ma vi immaginate una roba più triste di così?

In più il film comincia con la protagonista, la dodicenne Bea, che ha visto la madre morire di tumore, tornare nel temutissimo ospedale perché adesso è il padre (John Krasinski) a dover subire un’operazione al cuore. Lei quindi sta con la nonna (Fiona Shaw, meravigliosamente svagata) nell’appartamento in cui tutta la famiglia viveva anni prima. 

Metteteci un primo atto un po’ lento e confuso, fino al momento in cui non entrano in scena i primi IF (Blue, doppiato da Steve Carrell e Blossom, da Phoebe Waller Bridge) e capite che i bambini si deprimono e si rompono le palle. Almeno, il mio vuole vedere solo cose divertenti pazze e spensierate e l’accoppiata tumore, malattia di cuore, amici immaginari tristi perché i bambini crescono e non li pensano più… l’ha trovata un po’ deprimente.

Io ho pianto moltissimo (piangiometro direi almeno a 9.2) e devo dire che nonostante il film venga venduto come una commedia, ci ho trovato pochissimo da ridere. C’è piuttosto molta curiosità nel sentire le diverse voci, tutte di attori famosi e molto amati, della comunità di IF che nella parte migliore del film si scatena a New York. Sono tutti diversissimi l’uno dall’altro e mi hanno ricordato i personaggi di Gumball, animati in modo differente su sfondi realistici.

E per quanto riguarda il “mistero” che circonda il personaggio di Cal (Ryan Reynolds) che aiuta Bea a ricongiungere IF e adulti bisognosi: lo svelano sul finale ma si capisce dal primo momento in cui Reynolds è in scena, quindi boh. Comunque interessante. E, ripeto, perfetto per farsi un bel pianto. Senza bambini.