DEADPOOL E LA FATICA DA QUARTA PARETE

Non mi fregano più, lo dico tutte le volte e poi dai, vediamoci sto Deadpool & Wolverine, che quantomeno Ryan Reynolds mi è simpatico e peggio di Deadpool 2 non può mica fare. Lo fa. Se un sequel rispetto al film precedente deve per forza essere “di più”, vuol dire che il mercenario chiacchierone deve chiacchierare ancora di più, fino ad arrivare ad un livello di insostenibilità che crea una vera e propria “fatica da quarta parete infranta”.

Intendiamoci, il film è – a tratti – divertente e poi c’è questa cosa molto nerd-soddisfacente del team up con un altro supereroe molto amato (però santiddio oggi Jackman nel ruolo di Wolverine è un filo fuori tempo massimo). Però appunto c’è la voglia di strizzare l’occhio in continuazione con i camei, con le citazioni, con la metanarrazione, con le vicissitudini produttive e la storia personale degli attori… basta, veramente basta.

Cosa salvo di questo film? Diverse scene di combattimento molto fighe: elenchiamole. 1. la sequenza dei titoli di testa con Deadpool che combatte usando lo scheletro di Wolverine appena riesumato. 2. Lo scontro tra Deadpool e Wolverine dentro la Ford scalcagnata che li porta via da Cassandra Nova (a proposito, Emma Corrin che mette le mani in faccia a tutti e Matthew McFayden nel ruolo di Mr. Paradox, i due cattivi del film, sono tra le cose migliori). 3. La battaglia finale a New York contro tutta la banda dei Deadpool sulle note di Like a Prayer di Madonna.

Giustamente, Deadpool & Wolverine risulta esaltante per un tredicenne che ride istericamente alle secchiate di sangue versate o per un nerd di mezza età che ama trovare tutti i riferimenti del tipo che ci fa lo scheletro gigante di Ant-Man nel vuoto o a chi si riferiscono tutte le varianti di Wolverine presentate nel primo atto (vabbè, quella mignon è effettivamente simpatica) o in quale film degli X-Men era apparso il tale personaggio.

Io da parte mia non ce la posso fare. La storia è un pretesto, ma questo immagino che tutti se lo aspettino. Il film deve servire solo a riunire due universi troppo a lungo separati, yay! Però devo ammettere che ho riso molto alla battuta “Oh… Whiskey dick of the claws. It’s quite common in Wolverines over 40”.

THE BOY, THE MOLE, THE FOX AND THE HORSE

Charlie Mackesy, chi era costui? Un inglese che ha scritto (e disegnato) un libro molto bello che ho letto per caso trovandolo in un AirBnb a Dublino. Ma prima ancora un inglese che ha spopolato su Instagram in tempi di pandemia proponendo caroselli di vignette che sarebbero poi diventati quel libro.

Un libro che potremmo definire una specie di “Piccolo principe” anglosassone, ma meno fastidioso. Comunque pieno di citazioni ultracitabili, come è giusto che sia data l’origine social-motivazionale. Dal libro The Boy, the Mole, the Fox and the Horse la BBC ha tratto un film, che ho voluto vedere di ritorno dall’Irlanda. Vai col trailer.

The Boy, the Mole, the Fox and the Horse (d’ora in poi TBTMTFATH per brevità) è un mediometraggio animato sul genere del Gruffalo, per intenderci: mezz’ora di stupende animazioni che riprendono il character design e il tratto confuso e graffiato di Mackesy con Idris Elba, Gabriel Byrne e Tom Hollander a dar voce ai vari animali.

La storia è universale, toccante, eterea… fondamentalmente non succede un cazzo, ma è molto coinvolgente. La chiave di tutto è il punto in cui il bambino dice “Anche non far niente, quando sei coi tuoi amici, non è veramente far niente”. Appunto.

TBTMTFATH il libro è già un classico, e a quanto pare anche il film è sulla buona strada. Finale non scontato.

KINDS OF KINDNESS TI CAMBIA

Ho visto Kinds of Kindness di Yorgos Lanthimos in sala, per caso, prima che lo togliessero dalla programmazione. Ne sono lieto perché amo molto Lanthimos e la sua visione del mondo, e sono anche lieto di essere arrivato impreparato: non avevo credo nemmeno visto il trailer (non che il trailer riveli chissà che, peraltro).

Ero solo molto incuriosito dal fatto che dopo il successo planetario di Poor Things, Lanthimos, Emma Stone e Willem Dafoe avessero deciso zitti zitti di fare un altro film a stretto giro, promuovendolo pochissimo e mantenendo il riserbo più assoluto.

Poi ho capito: Poor Things era il modo in cui Lanthimos “ha fatto i soldi” per poter fare immediatamente un film “dei suoi”. Kinds of Kindness ha molto più a che fare con Dogtooth e Il sacrificio del cervo sacro che con La favorita o Poor Things

Torna lo sceneggiatore Efthymis Filippou e costruisce con Lanthimos tre mediometraggi di circa un’ora l’uno che vanno a costituire Kinds of Kindness. In tutti e tre i film ci sono gli stessi attori (Emma Stone, Jesse Plemons, Willem Dafoe, Margaret Qualley, Joe Alwyn, Hong Chau e Mamoudou Athie) in ruoli sempre diversi. In tutti e tre i film c’è Yorgos Stefanakos nel ruolo di R.M.F., un personaggio che ricorre nei titoli dei tre episodi, The death of R.M.F., R.M.F. is flying e R.M.F. eats a sandwich.

Ognuno degli episodi racconta una storia di potere e dominio di una persona su un’altra all’interno di relazioni tossiche e bizzarre regole e convenzioni portate alle estreme conseguenze, con il solito umorismo deadpan e il solito cinismo esasperato che guarda agli umani con il piglio di un entomologo (in più Lanthimos si comporta con i suoi personaggi un po’ come il bambino con la lente di ingrandimento che brucia le formiche che sta osservando).

Alcune cose non mi hanno convinto moltissimo: il terzo episodio è un po’ più debole – anche se c’è una sottotrama veramente diabolica dedicata a Joe Alwyn – il secondo episodio gioca un po’ troppo con la dicotomia sogno indotto dagli psicofarmaci / realtà. Ma in generale me lo sono goduto molto (oddio, “goduto” non è il termine giusto per un film di Lanthimos, ma ci siamo capiti). 

Volutamente non mi dilungo sulla trama perché è meglio che rimanga una sorpresa. Ci sono comunque dei momenti altissimi, come quando Plemons, disperato con gli amici per la perdita della moglie propone di vedere tutti insieme “quel video”, e poi si scopre che è il video di un’orgia che i quattro hanno fatto scambiandosi i partner, o l’ordalia alla quale Hong Chau e Willem Dafoe sottopongono i membri della loro setta psicosessuale per “decontaminarli”.

Comunque, si esce dal cinema cambiati, e questo è qualcosa.