AZRAEL: E I DEMONI, MUTI!

Potrei iniziare con: “Ecco, finalmente un horror degno di questo nome“, ma poi voi mi direste: “Di Azrael non si capisce una beata fava“. Io allora vi risponderei: “Ma è ovvio che non si capisce una fava, è un film completamente muto, perché la premessa è che tutti o quasi fanno parte di una setta postapocalittica che si recide autonomamente le corde vocali perché 200 anni dopo il RAPTURE, parlare è considerato peccato e quindi devi spiegare tutto solo visivamente, e poi ce ne frega davvero qualcosa di capire un horror, o lo vogliamo vivere?”.

Ecco, questo è grosso modo il dialogo che potremmo avere. Azrael è girato da un tale E.L. Katz, e fin qui mi sono detto “Sarà un film del…” (vabbè non mi fate fare la battuta squallida). Però c’è Samara Weaving e Samara Weaving (oltre ad essere la nipote di Hugo Weaving) è uno dei corpi horror più intriganti del nuovo millennio. E sapete quando dicono “quell’attore/attrice si porta tutto il film sulle spalle”? Ecco, lei lo fa. Sempre.

In questo caso Samara, bionda e muta fuggitiva che vediamo all’inizio con il suo partner, viene rincorsa e catturata da altri personaggi muti per essere sacrificata in una radura sacra a creature umanoidi (demoni? zombi? sicuramente cannibali e poco raccomandabili) che non vedono ma sentono l’odore del sangue. Samara riesce a liberarsi e a ferire uno dei suoi aguzzini che viene quindi divorato e smembrato al posto suo. Ah, di sangue e smembramenti se ne vedono parecchi. Plus per me, non so per voi.

Segue fuga. Poi viene ricatturata. Segue fuga. Poi viene ricatturata. Segue fuga e vendetta tremenda vendetta. Capirete anche voi che la trama è molto lineare, e non ha nemmeno molto senso stare a raccontarla. Il film – è vero – non è per nulla “spiegato”, e questo dal mio punto di vista è una cosa sorprendente in senso positivo. Per tutti gli 86 minuti ho pensato “vabbè dai adesso arriva un momento spiegone e rovinano tutto”. Invece no.

Azrael è un folk/survival horror postapocalittico con elementi di paranoia religiosa che mi ha ricordato un po’ La strada, un po’ Grano rosso sangue, un po’ Blair Witch Project, un po’ Immaculate, un po’ The Descent, ma senza mai scivolare nel citazionismo gratuito. Ci sono una chiesa e una sorta di sacerdotessa che hanno un ruolo centrale nel film, e forse avrebbe giovato soffermarsi un po’ di più sugli inquietanti disegni che decorano le mura della chiesa, per capire meglio. Questa comunità di muti adora… il vento? I demoni cannibali? Non si capisce.

Samara è veramente una vittima? Non si capisce (o meglio alla fine si capisce qualcosa, ma è tutto comunque ancora misterioso). A un certo punto del film arriva un personaggio che parla, e che ha una macchina più nuova e funzionante di quelle scassone che si vedono nel resto del film: quindi c’è una situazione alla The Village? Il mondo esterno è ancora in piedi? Non si capisce, anche perché Katz ha deciso che l’unico personaggio parlante dovesse parlare una lingua del ceppo ugro-finnico.

Insomma, Azrael è un film affascinante, che ti tiene incollato alla poltrona per 86 minuti, che non ti fa capire un cazzo ma non in un modo frustrante (secondo me) e per almeno un anno la gente continuerà a discuterne su Reddit. Guardatelo appena potete, tanto non servono nemmeno i sottotitoli.

MELT BABY MELT!

Street Trash è un “Ryan Kruger Thing”. Se non sapete chi è Ryan Kruger non posso farvene una colpa. Egli è un regista sudafricano (prevalentemente cortometraggi, videoclip e pubblicità) che ha un debole per l’ultraviolenza, il disgusto, la psichedelia spinta e il demenziale e che in piena pandemia ha fatto uscire un film – Fried Barry, più o meno traducibile come “Barry il bruciato” – che credo sia il film più assurdo che io abbia mai visto al Torino Film Festival.

Street Trash doveva essere presentato in Italia allo scorso ToHorror Festival, ma poi non se ne è fatto nulla (qui a Torino ci piace essere quelli che hanno “scoperto” Kruger). Al posto di questo Street Trash hanno proiettato lo Street Trash originale del 1987: già. Perché questo è un remake in salsa sudafricana (quindi con accenti improbabili e con lo stesso attore inquietante di Fried Barry) del cult movie anni ’80 dove i barboni di New York bevevano qualcosa di strano e… si scioglievano.

Piccola digressione: forse avete familiarità con il body horror, ma se non conoscete il sottogenere dei melt movies, può darsi che vi convenga stare alla larga da Street Trash (così come da Slime City, Body Melt, Guinea Pig, Society o Cabin Fever). I melt movies sono i film dove la gente si scioglie, tipo nell’acido, tipo come il nazista alla fine dei Predatori dell’arca perduta. Ma per tutto il film e in modi super gory.

Kruger cambia di poco la trama e prova a rendere il tutto una metafora romeriana “barboni contro ricchi stronzi”: il sindaco di Cape Town e i notabili della città si sono inventati un composto che se iniettato o inalato ti fa venire le bolle purulente in faccia e sul corpo e ti fa sciogliere, svomitazzare e schizzare liquidi fluorescenti, azzurri, viola, rosa, gialli e in tutti i colori Pantone del mondo. Finché esplodi in una pozza di visceri e vernice, magari dopo esserti strappato la faccia e il cuoio capelluto.

Fa abbastanza schifo, ma posso assicurare che è molto divertente se come me siete appassionati di effetti speciali prostetici. Per quanto riguarda la storia… vabbè, è quello che succede tra un morto sciolto e l’altro. Basti sapere che alla fine i barboni si ribellano e fanno respirare il composto ai ricchi della città. Solo che Kruger ci mette in mezzo un umorismo del cazzo, apparizioni di un pupazzo sboccato doppiato da lui stesso, l’estetica ZEF cara ai sudafricani… insomma, a una certa pure troppo.

Comunque: il film è prodotto da Bloody Disgusting e Screambox e già questo dovrebbe essere una garanzia. Stiamo parlando di serie Z, ma una signora serie Z.

BAGMAN, COME NON FARE PAURA

Sono molto in imbarazzo. Già questo 2025 è iniziato con una sfilza di film con alte aspettative e risultati quantomeno problematici. A un certo punto mi dico vabbè ora guardo un bell’horror onesto che ha un poster con un burattino supercreepy e mi intrattengo un po’.

E invece. Bagman ha l’ambizione di creare una nuova maschera horror, l’uomo nero che “mette i bambini nel sacco”, quindi procede con un cold open che dovrebbe presentare la creatura, poi con dei titoli di testa illustrati che dovrebbero suggerirne la lore, e poi si passa a un… dramma familiare di genitori con figlio piccolo che non riescono a fare nulla che non sia stare dietro al figlio piccolo (relatable) con una confusa storia di flashback e traumi infantili da parte del padre, che è poi il protagonista.

Bagman procede un po’ per svelamento di backstory (Bagman sembrerebbe un’invenzione del padre del protagonista al puro scopo di fargli venire gli incubi e impedirgli di avvicinarsi alla vecchia miniera di rame), un po’ per spiegoni inevitabili (c’è la psicologa apposta), un po’ come un insulso thriller sottogenere home invasion senza particolari spaventi.

Bagman (la creatura, dico) non si vede quasi mai ed è certamente voluto, ma è anche un peccato perché potrebbe rubarsi la scena come niente. Alla fine è tutto molto meccanico e prevedibile e (salvo burattino supercreepy che poi è un automa programmato per dire “DADDY! DADDY!” e attirare il protagonista nella tana del lupo) per nulla inquietante. Il che, per un horror è un po’ il peccato originale.

Boh, io mi domando che li fai a fare i film di mostri se non fai vedere il mostro.