APPUNTAMENTO A BELLEVILLE

Stasera, con la stanchezza negli occhi, mi sono visto Appuntamento a Belleville. La stanchezza è sparita presto (più o meno). Perché si tratta di un film d’animazione geniale, che dura poco più di un’ora e si inserisce nella linea che da Chaplin arriva direttamente a Tati. Non a caso le coordinate sono la Francia degli anni ’50, Jour de Fete, la comicità muta, affidata ad espressioni, movimenti e rumori. Le uniche parole pronunciate in tutto il film, a parte il commento al Tour de France che esce dagli altoparlanti e dalle televisioni, sono quelle iniziali e finali della nonna e del nipote ciclista. In breve, una nonna non sa più cosa fare per rendere felice il nipote. Scoperta la sua passione per la bicicletta lo allena fino a farlo diventare un campione. Il ciclista viene però rapito da due loschi figuri e portato oltreoceano, a Belleville. La nonna lo segue fortunosamente e, con l’aiuto di tre strane vecchine (il Trio di Belleville) salva il nipote e sbaraglia la banda della French Mafia (!). Quel che conta è la caratterizzazione dei personaggi, tutti colti nell’espressione dei loro tic: la nonna Souza con la sua ombra di baffi e le lenti pesanti, protagonista formidabile di tutta l’impresa; il nipote (antipatico fin dall’inizio, con quel nasone e lo sguardo bovino); il Trio di Belleville, deliranti vecchiette che mangiano rane, pescano con le granate e fanno musica concreta suonando frigoriferi, giornali vecchi e aspirapolveri; gli uomini della French Mafia – quelli a forma di armadio e quelli con il basco, la Gauloise senza filtro e il nasone… Ma il protagonista assoluto è il sound design, che compie il miracolo di appassionare lo spettatore ad una storia disegnata in modo molto… francese e di non far pesare assolutamente la mancanza di dialoghi. Sarebbero totalmente superflui. E grazie a Sissi per il consiglio…