LA FESTA DELLE MEDIE

LA FESTA DELLE MEDIE[Preventivamente, attivare come colonna sonora del post l’immortale brano di EELST più indicato a commentare quanto segue…]

Io alle medie ero uno sfigato. Molto sfigato. Avevo maglioncini orribili dai colori e dalle fantasie inquietanti. Occhiali da secchione pur non essendo una grandissima cima. Occhiali che venivano presi e gettati via, o preferibilmente infilati in un cesso a caso dal bulletto di turno. Diari di scuola pieni di note di condotta tipo “Sbadiglia in classe” (incredibile, vero, quanto ero provocatore) e di ritagli di David Bowie, Gary Numan, Franco Battiato e Garbo (vi prego di notare la sequenza Bowie / Numan / Battiato / Garbo: esiste un filo logico, c’è un perché). Questi diari li ho ancora. Fino all’altro giorno erano l’unica cosa che potesse vagamente ricordarmi di quel momento distorto nel continuum spazio-temporale che prende il nome di “scuole medie”.

Ho una memoria selettiva, e la testa piena di informazioni da processare. Tutto quello che è successo prima dei miei 16 anni è praticamente avvolto in una nebbia da cui emergono singole esperienze più o meno piacevoli che hanno lasciato il segno più di altre, e che in qualche modo hanno contribuito a definirmi come persona. Il resto, non so. Ci sono però situazioni che possono innescare il ricordo e – forse perché invecchiando capita così – alle volte te le vai a cercare, un po’ per capire cos’è che hai espulso dalla tua memoria così radicalmente, un po’ per semplice curiosità. Da cui la temutissima “cena delle medie” (equivalente quarantenne della “festa delle medie” citata in apertura e magistralmente cristallizzata nella celebre inquadratura in illustrazione).

Molti temono questo tipo di occasioni sociali e le rifuggono come la peste. È risaputo, infatti, che alle cene delle medie (come a quelle delle elementari e per alcuni anche a quelle dei licei e scuole superiori) si incontrano personaggi improbabili, assolutamente lontani dal proprio modo di pensare e di agire anche quando fossero stati i propri migliori amici del periodo. Per tacere poi di quelli che vanno a queste cene solo per vedere se gli altri sono invecchiati meglio o peggio di lui/lei o per controllare chi è ancora vivo e chi no. Io non faccio parte di nessuna delle due categorie. Io sono solo curioso come una scimmia, e la curiosità batte la legittima paura di trovarsi per un paio d’ore in una tavolata di chiacchiere noiose.

Qualche sera fa, dunque, per la prima volta dopo più di trent’anni, ci si è visti con i compagni delle medie: al netto dei morti, degli impossibilitati e dei dispersi eravamo sette. La serata è stata sorprendentemente piacevole ma soprattutto illuminante. Come dicevo, il solo vedere persone che non fanno più parte della tua vita da così tanto tempo scatena qualche ricordo in più o ridefinisce altri ricordi che credevi diversi. Intanto viene fuori un inedito ritratto di me, visto attraverso gli occhi degli altri. Io mi consideravo, col senno di poi, un’incredibile sfigato, magari anche un po’ disprezzato da tutti. Invece è venuto fuori che ero considerato semplicemente strano e un po’ spaventoso, ma di interessante compagnia. In pratica, ero il prototipo del protagonista di un film di Tim Burton.

Il rischio forte, a dirla tutta, è essere messi di fronte a una parte di te che magari hai accantonato, rifiutato, o di cui ti vergogni. Alla fine però non è così: è vero che sono molto diverso dalla persona che ero, ma le potenzialità erano già tutte lì, e se non me lo ricordavo ci hanno pensato i miei compagni a farlo riemergere. Poi è finita che qualcuno ha creato il gruppo di Whatsapp dei compagni di scuola, e tutta la poesia dei primi anni ’80 è naufragata su un muro di messaggini globali. Un po’ l’equivalente dopo trent’anni delle dediche sui diari: all’epoca non mi scriveva nessuno, e adesso mi trovo 57 messaggi non letti sul cellulare. I tempi cambiano.

 

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