AFA

L’afa fa sembrare tutto appiccicoso, a partire dalle idee. Mi rimangono incollate all’interno del cranio come chewing-gum masticati e senza più gusto. Se provo a toglierle fanno i filamenti.

Quando non c’è afa tutto passa velocemente. Con l’afa, mi pare, anche. Solo che resta una costante punta di emicrania, qualunque cosa si faccia. Scrivo il post mentre gli avambracci restano appiccicati alla protezione di vetro della scrivania e i polpastrelli inumidiscono di sudore i tasti. Tengo un asciugamano “ospite” (mai capito perché gli asciugamani per il culo nei negozi li chiamano “ospite”) a portata di mano perché non si sa mai, quando grondo troppo potrei averne bisogno.

In questi giorni ho fatto moltissime cose che mi hanno fatto sudare copiosamente. Ad esempio, ieri c’era il CineCamp. E io, con perfetto istinto suicida, mi sono temporaneamente allontanato dal condizionatissimo laboratorio per lanciarmi in una esplorazione pomeridiana di un Palazzo Nuovo deserto. Dopo quindici anni esatti che non ci mettevo più piede. Peccato non aver avuto la macchina fotografica, c’erano scorci degni di De Chirico. Dovrò tornarci. Ma è una sudata. Poi che altro: a lavoro ci si scioglie, e la produttività ne risente. Ho tentato la carta dello sciopero, ma fa caldazza anche non lavorare. Scioperare stanca, insomma. Soprattutto se ti viene in mente di andare alla manifestazione alle 10 del mattino con la foschietta umida e senza una bottiglietta di Gatorade ghiacciato. Bere cose ghiacciate comunque fa male, Emilio Fede lo dice tutti i giorni e mia madre coscienziosamente me lo riporta. Io me ne fotto e infatti sto sempre in bagno a smaltire.

I condizionatori bucano l’ozono e consumano tanta elettricità. Io però sto per cedere e per concludere che me ne fotto anche di quello, mi basta avere una temperatura vivibile, almeno nella casa nuova. Sì perché cambieremo casa. Ma di questo parlerò un’altra volta.

L’afa fa sciogliere tutto, anche l’iniziativa.
Per cui scusatemi, ma penso che concluderò qui.

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