LEGEND OF OCHI: A24 PER FAMIGLIE

Io vorrei amare tantissimo The Legend of Ochi, perché è un film inaspettatamente A24, perché è uno di quei classici di avventura per famiglie come si facevano negli anni ’80, perché ci sono Willem Dafoe ed Emily Watson, perché c’è la creatura mezza Gizmo e mezza Grogu fatta con i pupazzi animati e non con la CGI. Eppure c’è qualcosa che non mi ha convinto.

Mi spiego meglio: il regista Isaiah Saxon viene dai videoclip. Ma dai videoclip belli, tipo Björk (e si vede). Ha un approccio che ricorda quello di Michel Gondry, in un certo senso, o di Spike Jonze, per citare due registi che hanno lavorato anche nei videoclip. Mette insieme un mondo realistico ma fantastico girando tutto in Romania, usando la CGI col contagocce e tornando a un modo di raccontare cui non siamo più abituati – appunto – dagli anni ’80: lunghe scene che non portano da nessuna parte, dialoghi rarefatti, molte sequenze di trekking, boschi, caverne meravigliose.

E non fraintendetemi, The Legend of Ochi è un film che visivamente ti lascia a bocca aperta. Ma non è che andiamo al cinema per vedere i paesaggi, quindi vengo alle dolenti note. La storia è archetipica e adattissima a bambini e adulti. Yuri è una ragazzina metallara che ricorda un po’ Greta Thunberg, figlia di Maxim (Willem Dafoe), un uomo che è a capo di una milizia di giovani cacciatori di Ochi nell’isola immaginaria di Carpathia sul Mar Nero. Gli Ochi sono queste creature un po’ scimmiesche ma pucciose che trillano come usignoli nella foresta. L’idea è che gli Ochi siano pericolosissimi mostri, ma quando Yuri trova un cucciolo indifeso lo salva e lo vuole riportare alla madre. Per questo motivo si ribella all’autorità del padre, scappa di casa e si avventura tra le montagne.

E fin qui tutto bene. Il padre, che non l’ha mai considerata, organizza una spedizione con Petro (Finn Wolfhard mai così sottoutilizzato) e gli altri ragazzi della milizia vestendosi come un dio norreno (perché? non si sa). Yuri nel frattempo tenta di comunicare con l’Ochi e dopo essere stata da lui morsa inizia a trillare come un usignolo anche lei (interi dialoghi di versi di uccelli in cui possiamo intuire cosa sta succedendo solo dalle espressioni della bambina o del pupazzo).

Entra in scena Emily Watson nel ruolo della madre scomparsa di Yuri che guarda caso è una studiosa del linguaggio degli Ochi. Ma Yuri scappa anche da lei. Insomma, verso la metà del film si arriva ad una sorta di stallo in cui non si fa altro che trillare e camminare, e francamente è un po’ noioso. Inoltre tutto il film è funestato da una colonna sonora tronfia, non memorabile e ad altissimo volume. Della serie “devo riempire”.

Comunque sia: il film si fa guardare se siete appassionati di quello sguardo “vergine” tipicamente anni ’80 che vi scrosta di dosso decenni di Disney/Pixar. E se vi interessano i Carpazi. Diversamente, preferisco Paddington agli Ochi.

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