LA FLANERIE NOTTURNA DELL’ARCIERE ERRANTE

Andare o no a tirare con l’arco? Forse restare, annullarsi e dormire? Eppure uno sforzo si doveva fare, tanto per non chiudere nell’inutilità una giornata tutto sommato intensa e positiva, nonostante gli occhi piccoli e lo sbadiglio facile da postumi di notte bianca. Nei momenti di crisi, in ufficio, sembra che tutti si rivolgano a me. Non so perché, davvero, e non è che sia il guru capodicazzo della situazione (sono solo il piccolo operaio del web), però vengono tutti con il loro problema da risolvere. Ovvio che quando sono in crisi io, dei loro problemi non ne voglio proprio un cazzo, però oggi girava bene, e la giornata è sembrata faticosa ma in un certo senso utile. Ottima pausa yoga a pranzo, dove mi becco qualche bel complimento su quanto sono diventato snodato e su come riesco a piegare o mettere in torsione parti del mio corpo che nemmeno sapevo esistessero fino a qualche mese fa. Nel frattempo approfitto per un sonnellino rigeneratore (tanto poi ci pensa Betta a risvegliarmi con un lieve suono di cimbali tibetani). Siccome la moto è inspiegabilmente di nuovo con la batteria scarica, penso "poco male" e ritorno a casa a piedi, col naso all’insù e lo sguardo fisso ai balconi, ai bovindi e ad un cielo di cobalto (dove, per dirla con Elisa, "c’è un senso di te", ma anche di me, di lui, di loro). Respiro a fondo odori di kebab, di mercato, di ritorni a casa, di umanità varia, tutti portati alla mia attenzione e subito spazzati via dal vento caldo della primavera. Poi naturalmente vado in garage a vedere se la batteria (preventivamente messa in ricarica) è a posto, e porto la moto sotto casa, per costringermi ad uscire dopo cena e fare qualche volée. E siamo al punto di partenza. Urge fare qualcosa per me, ascoltarmi, far emergere i miei bisogni. Me lo dice Stefi, me lo dice Léaud, me lo dice Fabienne. Riposti arco e frecce nella borsa dopo aver inutilmente ma serenamente cercato raggruppamenti verso il centro del bersaglio, esco nella calda notte torinese. Valuto se bussare alla porta di Léaud per farmi dare l’ansiolitico da erboristeria che si è appena procurato (buffo come dopo i 35 si cominci anche tra amici a parlare spesso di psicosomatizzazioni). La luce del suo living è ancora accesa, ma decido che quello che voglio fare veramente è un bel giro in moto notturno. Qualcosa per me, qualcosa che mi dia modo di ascoltarmi e rilassarmi. Perciò mi faccio una cinquantina di km collinari (al buio) in sella per un’ora buona. Dal ponte Isabella a San Vito, da San Vito al Colle della Maddalena, da qui all’Eremo e poi a Pecetto (passando per strade completamente buie e immerse in boschi parecchio inquietanti), Revigliasco, Cavoretto e poi di nuovo Torino, Viale Thovez, Corso Lanza, Corso Moncalieri, casa. Una giornata spesa bene, come non capitava da un po’.

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2 risposte a “LA FLANERIE NOTTURNA DELL’ARCIERE ERRANTE”

  1. Sarà che con questo sole e queste giornate limpide e asciutte uno si sente in dovere di fare cose un pò così…ottima scelta!

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