FINALMENTE IL KUNG FU TORNA A ROMA

Mi fa molto piacere vedere che La città proibita di Gabriele Mainetti sia “primo in classifica” su Netflix tra i film più visti in Italia perché se lo merita. Lo sapevo anche prima di vederlo, che se lo meritava, ma ne ho avuto la conferma (dopo essermi un po’ mangiato le mani per non averlo visto in sala, vabbè).

Meno fulminante di Lo chiamavano Jeeg Robot e meno caleidoscopico e debordante di Freaks Out, La città proibita – pur con il suo essere praticamente due film compressi in uno, pur mantenendo la consueta professionalità nel prendere un genere e farlo bene, adattato alla realtà romana – è un film che definirei “classico”.

Le due sorelle cinesi che si allenano col kung fu negli anni ’90 finiscono ben presto in un delirio di mafia cinese, prostituzione, traffico di esseri umani. Mei (Yaxi Liu) è la più brava nel kung fu e sbaraglia gli avversari alla ricerca della sorella scomparsa proprio a Roma (bellissima, dopo una ventina di minuti, la transizione improvvisa e inaspettata in una via dell’Esquilino con il tizio che dice “ma li mortacci”).

E da lì si sviluppano due film paralleli, intrecciati, con la paura sempre che i due film non c’entrino una mazza l’uno con l’altro e invece niente, anche stavolta Mainetti ce l’ha fatta sotto il naso, le mazzate filologiche alla Bruce Lee e il dramma de noartri con la Ferilli, Giallini, Zingaretti e il bravo Enrico Borello nel ruolo di Marcello si sposano perfettamente, anche perché i misteri si infittiscono quando si scopre che il padre di Marcello e la sorella di Mei erano innamorati…

Il tema della vendetta tipico del cinema orientale e il dramma criminale in una città mai rappresentata prima in modo così multietnico vanno a braccetto con pochissime deviazioni (ho trovato un po’ inutile la sottotrama del figlio rapper del boss cinese, utile solo a rimarcare la maggiore integrazione degli immigrati di seconda generazione).

Insomma, lo sapevo che mi sarebbe piaciuto e in effetti mi è piaciuto, anche con il suo finale un po’ Kung Fu Panda che però è adorabile nella sua semplicità disarmante. Se come me non l’avevi visto, vedilo ora.

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