Al brucio, se mi chiedete "Beatles o Rolling Stones", io vi risponderò sempre e comunque Rolling Stones. Perché è così, perché risuonano meglio dentro di me. Perché toccano le corde giuste. Poi forse c’entra anche Godard, c’entra Wenders, Altamont, gli Hell’s Angels. Quello che è. Però prima di arrivare agli Stones (come molti della mia generazione, credo) sono passato per i Beatles. Tra i 13 e i 18 anni ascoltavo solo il vangelo secondo Lennon e McCartney e l’ho assorbito talmente in profondità da averlo comunque nel DNA, come una cosa che non usi ma alla bisogna puoi estrarre dal cilindro. Ricordo che l’Oscar Mondadori illustrato con i testi dei Beatles era sempre in tasca, con le pagine che si staccavano a forza di impararlo a memoria, tradurlo e andare avanti col sing-along (allora non si sapeva nemmeno cosa fosse il karaoke). Recentemente ho avuto modo di rispolverare la mia conoscenza enciclopedica latente sui Beatles, osservando e ascoltando il musical atipico Across the Universe – il nuovo delirio psichedelico di Julie Taymor. Un film sicuramente da vedere. A me non ha emozionato, l’ho percepito come un’operazione culturale studiata a tavolino incastrando pezzi più o meno noti in una storyline un po’ raffazzonata dove i personaggi si chiamano Jude, Lucy, Sadie, Maxwell, Prudence, JoJo (capito? ci mancavano giusto Lovely Rita ed Eleanor Rigby ed eravamo a cavallo). Però è innegabile che gli attori siano estremamente credibili e interpretino i pezzi in modo quasi sempre originale. Nelle scene di massa le coreografie sono di Daniel Ezralow (che compare anche nell’inquietante ruolo di Mother Superior durante l’esecuzione di Happiness is a Warm Gun, una delle scene più riuscite insieme a I Want You, I Am the Walrus e Strawberry Fields Forever). Il film è quello che negli US si definirebbe "eye-candy", una chicca per l’occhio. E in effetti alla fin fine è un collage di videoclip quasi tutti molto ben riusciti. Poco dopo mi capita di rivedere Help di Richard Lester, nella nuova (ed elettrizzante) versione restaurata in DVD. E il cerchio si chiude. Non ricordavo più l’aspetto camp dei Beatles, che invece è così ben evidenziato in questo film. Il modo di procedere per accumulo di situazioni assurde degno dei Monty Python, il montaggio creativo necessario per nascondere gli strafalcioni recitativi dei quattro scalmanati e soprattutto le scene relative alle sette canzoni del film, veri e propri videoclip ante litteram. Lester racconta che MTV gli inviò una targa d’oro intitolata "Al padre putativo". Lui però l’ha rimandata indietro. Figli illegittimi, a quanto pare, non ne voleva.
2 risposte a “C’ERA UN RAGAZZO CHE COME ME…”
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io pure che credi, ma non lo tiro fuori xché cadono le pagine 😛
Io quell’oscar Mondadori Lì , lo conservo ancora….