AN UNEXPECTED JOURNEY

Barbe e mustacchi!Nel luminoso giorno in cui esce nelle sale italiane il nuovo appetitoso polpettone tolkieniano, colgo l’occasione per fare una cosa brutta. Una cosa che io lo so che non si fa, che non è elegante. Ma a volte il fine giustifica i mezzi. Si chiama autopromozione. Che poi non è tanto che me ne venga in tasca qualcosa, ma è per farvi notare che anche quando non vi ammorbo con le mie considerazioni personali io non smetto di scrivere.

Mi permetto quindi di sottoporre all’Internazionale Nerd, nonché agli ignari spettatori “vergini” della Terra di mezzo, uno specialone a puntate che vi illuminerà sui seguenti quattro temi di primaria importanza:

UNO: Qualche buon motivo per rivedervi tutta la Trilogia dell’Anello in versione estesa
DUE: Un excursus sui personaggi che già conoscete e che vi ritroverete anche nello Hobbit
TRE: Un elenco dei personaggi (tipo: Thorin, figlio di Thrain, etc.) “nuovi” dello Hobbit
QUATTRO: Un pot pourri di curiosità su questa nuova trilogia/prequel/remix di Peter Jackson

Dopo aver letto questi 4 articoli vi verrà una voglia matta di andare a chiudervi per 170 minuti nel cinema più vicino, o – in alternativa – vi verrà un impulso irresistibile a venire a cercarmi per spezzarmi le dita.

Io spero la prima.
Namaarie, tenna’ ento lye omenta

ABBIAMO FATTO TRENTA

Dustin!Il Torino Film Festival, trentesimo anno. Ogni volta, sempre di più, un tripudio di code, istruzioni diaboliche per ritirare ulteriori titoli di ingresso una volta che hai già penato per ottenere un abbonamento, pasti ingoiati al volo, corse per raggiungere le sale, momenti di disappunto, incazzature e solidarietà con i propri simili. Il popolo del festival, hipster dai 18 agli 80 anni: i più giovani si distinguono per i piercing in zone improbabili del viso, i più vecchi per la divisa consistente nel trench stazzonato e una cascata di capelli bianchi lunghi raccolti in coda (gli uomini) e il look da Maria Adriana Prolo (le donne). I film. Alla fine il motivo che ti spinge ogni anno a venire, programmando almeno una giornata di full immersion in sala. Ogni anno c’è IL FILM, quello che più di ogni altro vorresti vedere. E che in nessun caso riuscirai a vedere perché i biglietti saranno esauriti, perché lo replicano solo il martedì mattina o simili. Quest’anno tocca a Holy Motors di Leos Carax, ambitissimo e irraggiungibile. Toccherà scaricarlo.

Per il resto, ecco le mie considerazioni per voi cinefili in ascolto.

MANIAC di Franck Khalfoun
Se possibile vi consiglio di non vedere questo film la mattina subito dopo colazione come ha fatto il sottoscritto. Remake del cultissimo film omonimo di William Lustig, non fa rimpiangere il clima soffocante e perverso del film originale. Si aggiunge una patina trendy (musiche, mood e location prese di peso da Drive), si usa con intelligenza il trucco di girare il 95% del film in soggettiva e si chiama Elijah Wood a interpretare un folle che accoltella giovani donne e strappa loro lo scalpo per pinzarlo sulla testa calva di manichini. Detto ciò, è presto chiaro che il film è un festival di sangue, coltelli, rasoi e mannaie usati in modo creativo. Disturbante forte, senza pietà per lo spettatore e… chapeau a padron Frodo per aver accettato il rischio di un ruolo così malato. Astenersi stomaci deboli, ovviamente.

QUARTET di Dustin Hoffman
Pensate a Downton Abbey + Cocoon + una vagonata di musica classica. Intrigati? No? Peccato, perché il primo film da regista di Dustin Hoffman è da non perdere. E non solo per la solita, immensa Maggie Smith. Tutto il cast, formato da anziani attori e anziani veri musicisti e cantanti d’opera, è perfetto nei tempi comici e il film riesce ad essere una divertente commedia sentimentale sulla terza età. C’è la vecchia cattiva, la vecchia smemorata e fragile, il vecchio pomposo gay, il vecchio che con la scusa dell’ictus ci prova, il vecchio quello normale che dovrebbe dare il punto di vista sensato al film. Ci sono anche dei ragazzini che suonano per divertire i vecchi. Applausi convinti.

WRONG di Quentin Dupieux
Oggetto filmico non identificato e – confesso – il film che vorrei girare io se non fossi un pigro dal culo pesante. Un uomo perde il suo cane. Nonostante sia stato licenziato va a lavorare in un ufficio in cui piove costantemente sulle scrivanie. È perseguitato da un giardiniere pedante, un vicino che non riesce ad ammettere di amare lo jogging e da un guru della telepatia canina che gli mette a disposizione un detective che analizza i “ricordi” degli escrementi canini. Follia totale, molto francese, tra Gondry e Edika (per chi ricorda i suoi fumetti), Wrong è delizia pura, ma per intenditori. Musica di Mr. Oizo (che poi è Dupieux con il suo nom de plume).

BOBBY YEAH di Robert Morgan
Tra Lynch, Svankmajer, Chris Cunningham e il primo Cronenberg, un corto a passo uno fatto con la plastilina. Ovviamente è il film più disturbante della giornata, con personaggi sporchi di sangue e materia indefinita in continua e disgustosa mutazione, intenti a testare lo stomaco dello spettatore con emissioni di fluidi, crepitii e muffe. Io l’ho adorato e l’ho trovato poetico e geniale. Ma io sono malato. Quindi giudicate voi.

TOWER BLOCK di James Nunn & Ronnie Thompson
Qui siamo dalle parti di Carpenter in un tesissimo thriller/horror dalle premesse molto seventies (un cecchino misterioso uccide gli abitanti dell’ultimo piano di un palazzone di periferia in via di demolizione) che però ha uno sviluppo alla Misfits, con abbondanza di chavs e accenti assurdi. C’è anche dello humour, ma alla prima testa che esplode schizzando sangue e materia grigia ovunque vi ritrovate incollati alla punta della poltrona fino alla fine. E occhio alle sparachiodi!

THE LORDS OF SALEM di Rob Zombie
Che Rob Zombie si sia fumato il cervello è cosa nota, ma ciò non gli impedisce di regalarci piccoli capolavori horror, solitamente secchi e brutali. La cosa fastidiosa è che lui ha studiato e si vede, dissemina citazioni di film muti a iosa, prepara una colonna sonora sconvolgente che unisce Mozart e i Velvet Underground e concepisce questo viaggio psichedelico che parte come un film di Mario Bava (la maledizione della strega bruciata viva etc. etc.), continua come un superclassico alla Carpenter e deraglia in modo ipnotico, allucinato e ossessivo verso atmosfere pericolosamente a metà tra Stanley Kubrick e Ken Russell. Blasfemia, donne nude e sporche tra i 70 e gli 80 anni, dèmoni che si richiamano a Haxan di Christensen (il solito cinéphile) e un delirante suicidio di massa completano il quadro. Interessante, ma poco digeribile, ve lo dico.

TELEDIPENDENTI UNITI

Quando lo fai di lavoro non è la stessa cosa. Voglio dire, per quanto poco paghi scrivere news sulle serie TV per un portale di cinema, è comunque uno scambio che prevede la copertura “totale” o quasi di quello che passano i canali nazionali e via cavo in USA. Vuol dire che quando va bene posso dilungarmi su zombie, serial killer o signorotti inglesi degli anni ’10, ma inevitabilmente devo dedicare lo stesso spazio a prodotti che non mi sognerei mai di guardare.

E tuttavia oltre che un lavoro è anche una passione: ormai da una decina d’anni sono più interessato alle novità del linguaggio televisivo (parlo sempre di prodotti anglosassoni, dio mi scampi dalle fiction nostrane, a parte qualche rarissima eccezione) che non a quelle del grande schermo. Per questo, per essere almeno una volta totalmente di parte, vi vorrei parlare di alcune serie TV che secondo me vale la pena seguire/recuperare in questa stagione 2012-13. Unica regola, per non dilungarsi troppo: vi segnalerò solo serie che sono alla prima, seconda o terza stagione. Troppo facile buttarvi dentro prodotti che ormai hanno un seguito notevole e che passano regolarmente sugli schermi di CasaIzzo (vedi Dexter, Fringe, The Big Bang Theory, How I Met Your Mother, Misfits, etc). Tutta roba ormai vecchia.

Ma partiamo senza ulteriori indugi. E attenzione, ci sono SPOILER qua e là quindi piuttosto non andate avanti.

THE WALKING DEAD
Uomo, se non guardi TWD ti perdi il migliore senso per l’horror dai tempi d’oro di Day of the Dead di Romero. Dall’85 in giù, il buon George ha virato sempre più sul teorico-politico. Qui si amano anche gli zombie socialmente impegnati, per carità, ma la serie tratta dal fumetto di Kirkman è un ritorno al late-eighties-splatter con in più una dose massiccia di angoscia e disperazione che fa bene al cuore degli horrormaniaci. La prima stagione? Tesa e geniale. La seconda? Un polpettone quasi inaccettabile (salvo il massacro di zombie di metà stagione e il clamoroso finale). L’attuale stagione, la terza, è quanto di più  splatter si può vedere in TV oggi, con buona pace di Spartacus, che comunque non è propriamente una serie horror. Voglio dire, decapitazioni e smembramenti di morti viventi a parte, voi ve lo aspettate un cesareo improvvisato con coltello da caccia con conseguente morte, resurrezione e sparamento in testa della puerpera? Io no. Poi è perfettamente bilanciato tra il vedo e il non vedo, questo va detto, ma il livello di disgusto è analogo a un Antropophagus di Joe D’Amato, con in più il dramma familiare dietro. Insomma, personaggi a volte monodimensionali, ma grande attenzione al ritmo, all’azione, al dramma. Una delle cose migliori degli ultimi tre anni.

GAME OF THRONES
Come si fa a non amare GOT? Saga fantasy iperprodotta, con echi di Tolkien e di Howard ma con un forte radicamento  in un medioevo ipotetico reso in modo più realistico possibile. E questa è sicuramente la carta vincente della serie tratta dai romanzi di Martin. Fantasy adulto per spettatori che vogliono sognare di cavalieri, draghi e tutta quella roba lì ma con una dose smodata di sesso, violenza, sangue, smembramenti (quelli sono ormai d’obbligo in qualsiasi serie TV che debutti dopo il 2010) e di nuovo sesso, possibilmente in versioni BDSM. GOT è il nuovo uber-feticcio del popolo geek, capace di stornare attenzione da Star Wars (ormai oggetto di nostalgico lirismo) e da Lord of The Rings (di cui fondamentalmente sappiamo già tutto). GOT ti piazza Sean Bean in prima linea per poi farlo decapitare in una scena perfidissima alla fine della prima stagione, e tu pensi cazzo qui fanno sul serio. Poi nella seconda stagione arriva gente che partorisce demoni (ah, l’altro trend delle serie contemporanee è quello dei parti devastanti), quindici personaggi nuovi che fai fatica a orientarti ma ti prende tutto un casino, triangoli GLBT, zombie congelati dalla pelle bluastra (anche se non sono del tutto sicuro che siano zombie, non avendo ancora letto gli ultimi romanzi originali). Imprescindibile.

DOWNTON ABBEY
Viriamo decisamente con la serie britannica più clamorosa dai tempi di Life on Mars, ma che non c’entra una mazza con Life on Mars: Downton Abbey, sulla carta, è tutto ciò che di più noioso potrebbe esserci al mondo. Signorotti di campagna inglesi alle prese con ricevimenti e beneficienze? La prima guerra mondiale e la spagnola che colpiscono il simpatico villaggio e costringono tutti a fare i conti con la Storia? Le beghe della servitù che ovviamente mangia in cucina e sparla dei padroni? Ma soprattutto: niente zombie, niente smembramenti e niente BDSM?  What the fuck?!? Eppure, signori, DA ti tiene incollato allo schermo come e più di un thriller senza respiro, forse perché dietro c’è Julian Fellowes, un tizio che è riuscito a rendere appassionante anche un film di Altman che in effetti è pericolosamente analogo a questa serie qua. In ogni caso, le carte vincenti in questo caso sono anche gli attori, e in particolare Maggie Smith nel ruolo della vecchia lady stordita-ma-non-troppo. Aspettatevi intrighi e deliri degli di una soap di infimo livello ma trattati con un distacco tutto british che conquista al primo colpo: narrativa popolare al massimo livello, feuilleton di razza e senza nemmeno una caduta di stile.

SHERLOCK
Rimaniamo in Inghilterra: Sherlock (ideato da Steven “Dr. Who” Moffat) ha il sapore definitivo dell’ultima parola possibile sul detective di Conan Doyle. Scordatevi Robert Downey Jr. e lo steampunk di Guy Ritchie (che pure è lodevole e molto divertente). Qui abbiamo Benedict Cumberbatch e Martin Freeman nei panni di Holmes e Watson nel 2012. Cioè, un sociopatico geniale e disadattato e un medico reduce dall’Afghanistan di Bush-Obama nella Londra di oggi, frenetica, multietnica, tecnologica e molto pericolosa. Ogni stagione sono in realtà tre veri e propri film per la TV, realizzati a partire da un famoso romanzo di Conan Doyle attualizzato. Molto difficile da seguire per la parlata cockney (dimenticavo: non siete veri uomini se non guardate queste serie rigorosamente in originale) ma di grande impatto visivo ed emozionale. Attenzione alla follia di Moriarty nell’ultimo episodio della seconda stagione, quello dove Sherlock sceglie di morire… O no?

AMERICAN HORROR STORY
C’è un tizio di nome Ryan Murphy che dopo averci rotto amabilmente i coglioni per tre anni con Glee (che comunque qui si guarda, eh, non ci facciamo mancare nulla) ha deciso di passare all’horror antologico con AHS, una delle serie più malate in circolazione. Non sarà un pugno nello stomaco come TWD, anche perché lì il riferimento è l’asse Romero/Fulci, mentre qui siamo più dalle parti di Ken Russell. Immaginate un concentrato di perversione sessuale, blasfemia, soprannaturale, noir, melodramma, come un Douglas Sirk in acido che decide di fare Hershell Gordon Lewis per un giorno. Questo è AHS, la serie con i titoli di testa più disturbanti del mondo… E adesso che siamo alla seconda stagione, che mette insieme suore indemoniate, rapimenti alieni, manicomi criminali infestati, serial killer con maschere di pelle umana, mad doctor e pazienti ninfomani ma soprattutto culi nudi, i titoli di testa sono se possibile ancora più inquietanti dell’anno passato.

HOMELAND
Ecco, se vi piacciono le spy story serie, tese, realistiche, ben congegnate alla Robert Ludlum / John Le Carrè, insomma quella roba lì, Homeland deve diventare il vostro pane quotidiano. Se no (a me per esempio il genere fa cagarissimo) ve lo dovete sucare uguale, perché Homeland è uno di quei prodotti trasversali che finiscono col piacerti comunque. E in 12 puntate hanno tutto il tempo di farvi capire esattamente perché il tizio di Al Qaeda ha inviato un emissario al congresso che salta agli occhi di uno della CIA che a sua volta fa il doppio gioco col Mossad che però non è d’accordo con le cellule impazzite di Hezbollah. A parte gli scherzi, è la storia di un prigioniero di guerra americano che – si supponeva, ormai lo si sa per certo – è stato “lavato nel cervello” dai jihadisti e quindi diventa una minaccia alla homeland security. Se vi fidate che è tratto da una serie israeliana, secondo me è uno dei prodotti migliori degli ultimi due anni e fate in tempo a recuperarlo.

SHAMELESS
Va bene, qui si dirà che c’era la serie originale britannica che era meglio perché gli americani non sanno far altro che copiare (è vero) e bla bla bla. Ma cazzo ragazzi, qui c’è William H. Macy al suo top assoluto nel ruolo di un padre di famiglia (numerosa) costantemente in coma etilico e una serie pressoché infinita di figli ognuno con il suo bravo disturbo della personalità, a parte la figlia maggiore strafica Emmy Rossum che già dà il meglio di sé nella meravigliosa sequenza dei titoli della serie (la più furba ed efficace vista negli ultimi anni). Poi, che ve lo dico a fare, c’è Joan Cusack nel ruolo di una ninfomane di mezza età (!), roba da far accapponare la pelle raccontata con grande ironia e leggerezza, momenti comedy da urlo e momenti agghiaccianti. Shameless è un oggetto non identificato, assolutamente da seguire.

NEW GIRL
L’unica sitcom nuova di cui vi voglio parlare è questa New Girl con Zooey Deschanel nel ruolo della tipa del titolo, chiaramente carinissima, un po’ fuori di testa e imbranata, insomma il suo solito personaggio allargato in una serie intera. Ma la furbizia sta nel non avere puntato tutto su di lei che comunque è sempre una gran topa (e poi diciamocelo le ragazze nerd fanno girare il mondo) realizzando invece una serie corale ma non troppo con un trio di maschi diversamente disfunzionali a fare da coinquilini in una sorta di Tre cuori in affitto al contrario (quanto era bello Tre cuori in affitto? Eh?). New Girl non ha le risate registrate sotto, non ha il pubblico dal vivo, non ha gli stacchetti musicali che sottolineano le battute (anzi, non ha battute, per lo più), non è la tradizionale sitcom su un gruppo di amici che si lasciano e si riprendono eppure fa ridere, non è banale e poi insomma, ve la suggerisco io e già questo dovrebbe essere un motivo valido per guardarla.

Enjoy! Io ho fatto le due di notte, ma tanto vi dovevo per contagiarvi con un po’ di teledipendenza.