POIROT IN ARGENTO

La prima volta che ho visto A Haunting in Venice di Kenneth Branagh mi sono addormentato dopo una ventina di minuti colto da uno sbadiglio di disappunto: cosa voleva ottenere Branagh con questo caleidoscopio di dutch angles fuori tempo massimo?

La seconda volta che ho visto A Haunting in Venice mi sono impegnato di più e mi sono abbastanza ricreduto. Branagh innesta il suo ormai tradizionale Hercule Poirot in un vero e proprio “giallo” nel senso argentiano del termine.

In questa storia a cavallo tra il mystery e l’horror, un Poirot autoesiliatosi a Venezia viene invitato a una festa di Halloween in un palazzo apparentemente infestato, all’interno della quale si incastra una seduta spiritica per provare a mettersi in contatto con lo spirito della figlia della padrona di casa apparentemente morta suicida anni prima.

C’è da risolvere il mistero della morte della giovane donna, e ben presto anche il mistero di altre due morti inspiegabili. Poirot deve decidere se credere o meno ai fantasmi mentre intorno a lui si muovono uno Scamarcio spaesato, una Tina Fey molto incisiva, una Michelle Yeoh ieratica e ambigua e un tot di altri personaggi molto “Agatha Christie”.

Tra cui un bambino irritante che legge Poe e ha uno spleen da adulto che ne ha viste troppe. Questo personaggio in particolare, chiave per la risoluzione dei delitti e specchio/ombra di Poirot, è il più argentiano del gruppo. 

I punti di vista assurdi e allucinatori della camera sono gli stessi di Suspiria o di Inferno, alcune inquadrature sono esplicitamente citate, la peculiarità dei moventi e del modus operandi del killer sono gli stessi di Profondo Rosso, Tenebre o altri grandi film del maestro italiano.

Letto in questa prospettiva, A Haunting in Venice a me è sembrato un bellissimo omaggio alla grande stagione del giallo italiano, travestito da film di Hercule Poirot.

BOTTOMS: LESBICHE, BRUTTE E SENZA TALENTO

Chi si ricorda di quelle gloriose commediacce anni ’80 come La rivincita dei Nerds? Io me ne ricordo molto bene, e Bottoms mi ha fatto pensare direttamente a quel tipo di film. Però, al femminile.

Bottoms è un film di Emma Seligman (scritto insieme alla protagonista Rachel Sennott, proprio come Shiva Baby del 2020), presentato all’ultimo Sundance e da poco su Prime Video. La storia è la classica commedia teen: protagonisti sfigati che vorrebbero solo scopare e che nel tentativo disperato di ottenere quello che vogliono finiscono per attivare un meccanismo surreale che – letteralmente – esplode loro tra le mani.

Solo che, come dicevo, è un take diverso, perché le protagoniste sono Rachel Sennott e Ayo Edibiri (già vista in The Bear e partner di lungo corso della Sennott in spettacoli di stand-up). PJ e Josie sono due ragazze “lesbiche, brutte e senza talento” quindi emarginate dal resto della scuola, che puntano alle cheerleader totalmente fuori dal loro livello.

Per una casualità finiscono per istituire una sorta di fight club al femminile dove a detta loro si allenano per reagire alla violenza maschile, ma in definitiva vogliono fare wrestling con le ragazze più fighe. I maschi della scuola, intanto, sono dipinti come jock da operetta: magistrale la scena sottolineata da Total Eclipse of the Heart in cui le ragazze attentano alla casa – e all’automobile – del capitano della squadra Jeff.

Si è parlato molto di questa commedia che secondo i media americani rinnova la tradizione di quei film weird tipo Schegge di follia (sì, un po’, ma io resto sul piano della Rivincita dei Nerds), dicendo anche che “non è al livello di Shiva Baby”.

Ovviamente non è al livello di Shiva Baby (commedia geometrica dalla scrittura molto più a fuoco che peraltro trovate su Mubi): gioca proprio in un altro campionato, però se volete farvi due risate veramente sguaiatissime, Bottoms è qui per voi.

LEO, L’IGUANA DI ADAM SANDLER

Leo è un film d’animazione da qualche giorno su Netflix che in pratica è la creatura di Adam Sandler e della sua famiglia allargata. Mi spiego: Sandler oltre ad essere la voce di Leo (Edoardo Leo in italiano), è anche produttore e sceneggiatore con quella lenza di Robert Smigel, suo degno compare dai gloriosi tempi di You Don’t Mess with the Zohan.

Ci si potrebbe aspettare quindi una commedia animata caciarona e scorretta, e in un certo senso lo è. Leo è di base una stagione di Big Mouth (una delle serie animate Netflix più belle di sempre) riveduta e corretta per i bambini di quinta elementare – laddove Big Mouth è per i ragazzini di terza media.

Dove in Big Mouth c’è il mostro dell’ormone e si parla solo di sesso, masturbazione e… beh, sesso, in Leo i problemi dei bambini sono altri (le croci e delizie della popolarità, l’ansia che ti fa parlare troppo, i primi peli che crescono e tu hai paura di diventare un adolescente scimmione, le radici del bullismo, il lutto per un parente morto, i genitori iperprotettivi, l’ignoranza sui fatti del sesso) ma Leo agisce esattamente come Maury in Big Mouth: cioè come un mentore che può guidare i bambini a scoprire sé stessi.

Il film è gradevole, ha delle parti musicali non invadenti e funzionali (a parte un numero da musical di… Jason Alexander) ed è stranamente molto specifico, cioè è proprio per un pubblico di quinta elementare (ma parla tranquillamente anche a chi quel bambino lo sente ancora dentro).

Leo è una sorta di iguana che con l’amico tartaruga Squirtle sta in una gabbia in questa classe delle elementari. Convinto di essere prossimo alla morte, vorrebbe fuggire e si fa portare a casa dai bambini della classe, solo per scoprire che può aiutarli nei loro problemi sfruttando la sua esperienza. Nel frattempo, arriva una supplente cattivissima e i bambini devono vincere un torneo scolastico…

Ci sono alcune intuizioni meravigliose tipo i bambini dell’asilo rappresentati come un’orda di piccole bestie imbizzarrite o l’aspirapolvere letale della maestra Malkin o ancora le lucciole “parlanti” delle everglades o il monologo della tartaruga Squirtle su come nascono i bambini. Il character design è fresco e non particolarmente omologato alle produzioni USA più ad alto budget. Per me, consigliato.