LEO, L’IGUANA DI ADAM SANDLER

Leo è un film d’animazione da qualche giorno su Netflix che in pratica è la creatura di Adam Sandler e della sua famiglia allargata. Mi spiego: Sandler oltre ad essere la voce di Leo (Edoardo Leo in italiano), è anche produttore e sceneggiatore con quella lenza di Robert Smigel, suo degno compare dai gloriosi tempi di You Don’t Mess with the Zohan.

Ci si potrebbe aspettare quindi una commedia animata caciarona e scorretta, e in un certo senso lo è. Leo è di base una stagione di Big Mouth (una delle serie animate Netflix più belle di sempre) riveduta e corretta per i bambini di quinta elementare – laddove Big Mouth è per i ragazzini di terza media.

Dove in Big Mouth c’è il mostro dell’ormone e si parla solo di sesso, masturbazione e… beh, sesso, in Leo i problemi dei bambini sono altri (le croci e delizie della popolarità, l’ansia che ti fa parlare troppo, i primi peli che crescono e tu hai paura di diventare un adolescente scimmione, le radici del bullismo, il lutto per un parente morto, i genitori iperprotettivi, l’ignoranza sui fatti del sesso) ma Leo agisce esattamente come Maury in Big Mouth: cioè come un mentore che può guidare i bambini a scoprire sé stessi.

Il film è gradevole, ha delle parti musicali non invadenti e funzionali (a parte un numero da musical di… Jason Alexander) ed è stranamente molto specifico, cioè è proprio per un pubblico di quinta elementare (ma parla tranquillamente anche a chi quel bambino lo sente ancora dentro).

Leo è una sorta di iguana che con l’amico tartaruga Squirtle sta in una gabbia in questa classe delle elementari. Convinto di essere prossimo alla morte, vorrebbe fuggire e si fa portare a casa dai bambini della classe, solo per scoprire che può aiutarli nei loro problemi sfruttando la sua esperienza. Nel frattempo, arriva una supplente cattivissima e i bambini devono vincere un torneo scolastico…

Ci sono alcune intuizioni meravigliose tipo i bambini dell’asilo rappresentati come un’orda di piccole bestie imbizzarrite o l’aspirapolvere letale della maestra Malkin o ancora le lucciole “parlanti” delle everglades o il monologo della tartaruga Squirtle su come nascono i bambini. Il character design è fresco e non particolarmente omologato alle produzioni USA più ad alto budget. Per me, consigliato.

THE KILLER O DELL’ANTICLIMAX

The Killer di David Fincher – il tesissimo thriller uscito da poco su Netflix dopo essere passato a Venezia – è un film tratto da un fumetto francese. Ma di certo non è il vostro classico cinecomic.

La trama è solida e classica al tempo stesso: un killer a pagamento sbaglia bersaglio e deve affrontare le conseguenze del suo incarico non compiuto. Fincher lo declina – insieme al suo complice Michael Fassbender che interpreta il protagonista in modo assolutamente glaciale e straniante – alternando lunghe inquadrature di attesa in cui il killer fa yoga, smonta e pulisce le armi, cancella meticolosamente le sue tracce, ripete ossessivamente le “regole” del killer di successo.

Ecco, la voce off è una scelta che normalmente trovo fastidiosa ma che qui ha la motivazione ben precisa di volerci far entrare nella mente del protagonista. Tutto è filtrato dal suo punto di vista: il killer è appassionato della musica degli Smiths e li ascolta costantemente negli auricolari; noi sentiamo quello che sente lui, ma quando l’inquadratura passa da soggettiva a oggettiva gli Smiths si interrompono per lasciare spazio ai rumori d’ambiente o alla colonna sonora molto “concreta“ di Trent Reznor & Atticus Ross.

Ogni capitolo potrebbe essere un cortometraggio a sé (e difatti corrisponde ad un albo della serie di bandes dessinées): l’incarico mancato, la fuga a Santo Domingo, l’incontro con l’avvocato a New Orleans, il combattimento con il primo sicario a Miami, l’incontro con il secondo sicario a New York, il confronto finale con il cliente a Detroit. Tutto costruito per arrivare ad un finale che definire anticlimatico è poco – è uno sberleffo del regista allo spettatore.

Fincher dirige con la consueta maestria un thriller che sulla carta potrebbe essere estremamente noioso e che invece tiene incollati alla poltrona dall’inizio alla fine. Per me consigliatissimo, poi vedete voi.

QUIZ LADY: SORELLE DISFUNZIONALI

Quiz lady è un film tutto al femminile e tutto asian american che è uscito da poco su Disney+ ed è – diciamo così – carino. Una commedia che mantiene le sue promesse, dove cioè c’è una tipa che è brava nei quiz.

Il rapporto tra due sorelle nemiche slash amiche (come vuole la tradizione) interpretate da Awkwafina e Sandra Oh è al centro della narrazione. Le vediamo prima negli anni ’90 (che ormai sono a pieno titolo i nuovi ’80) e poi nel presente in cui una ha un lavoro triste e grigio da contabile e l’altra è pazza e solare e chiaramente senza un lavoro fisso. Il casting però è curiosamente invertito perché la sorella freak NON è Awkwafina.

La trama è esile, l’intrigo risibile però guardandolo ci si rilassa, si sorride, si apprezzano i camei di Will Ferrell (il conduttore del quiz eponimo) e di Jason Schwartzman (il campione in carica viscidamente odioso) e si passa un’ora e quaranta senza pensieri.

Alla fine è il classico film Disney per famiglie in cui si ribadisce il valore della sorellanza, dei legami familiari e dell’opportunità di confronto tra posizioni apparentemente inconciliabili.

Diciamo che non lo guarderei una seconda volta.
Però c’è anche Pee Wee Herman. E un carlino. Quindi due punti in più.