FIVE NIGHTS AT FREDDY’S: HORROR CHE NON LO ERANO

Ho guardato Five Nights at Freddy’s per procura. Mio figlio (10 anni), appassionato di questo fenomeno dell’internet prepuberale, è troppo pauroso per vedere un horror, ma saprebbe dire meglio di chiunque alto perché gli animatronic del film sono posseduti da spiriti di bambini e chi ha costretto (uccidendoli) i bambini a stare dentro gli imbarazzanti pupazzoni. Insomma, è un fan.

Il film comincia come un Saw qualsiasi, e mi dico va bene, dai. L’inquadratura si interrompe subito prima che della testa del malcapitato di turno venga fatta poltiglia, e va bene, dai, è un entry horror per dodicenni, non può essere Terrifier.

Poi arriva Mike (Josh Hutcherson), dolentissima guardia giurata emozionalmente monca con sorellina di dieci anni al seguito. Gliela vogliono portare via (sottotrama legal insensata) ma si scopre che lui in realtà aveva anche un fratellino che è stato rapito quando aveva 12 anni (Mike, non il fratellino) durante un picnic in un bosco (sottotrama psichedelica). Peraltro risulta evidente che Mike e la sorellina avrebbero due genitori che però a parte nei flashback non si vedono MAI.

Già troppa roba. Per chi non lo sapesse la pizzeria di FNAF è – secondo la lore internettiana sviluppata fin dal primo videogame di Scott Cawthon – un immaginario locale di moda negli anni ’80 in cui c’erano animatronic che suonavano e cantavano (un concetto parecchio di moda nell’horror degli ultimi anni, ma The Banana Split Movie era mille volte meglio). Un non meglio identificato supercattivo ha trovato il modo di rapire bambini e trasferire la loro anima negli animatronic (punto di contatto tra la trama principale e quella psichedelica).

Il risultato? Un pasticcio che non fa paura a nessuno (e mi spiace per la Blumhouse che produce), che funziona solo nei momenti in cui ci sono corridoi bui e animatronic nascosti nell’ombra, esattamente come il videogame, che ha un concept di una semplicità totale (sopravvivi senza farti beccare per cinque round) che ha determinato il suo successo planetario dal 2014 a oggi.

Ho dovuto purtroppo riportare anche a mio figlio che questo film fa cagarissimo. L’unica cosa buona è l’animazione degli animatronic (Frank Oz, ovviamente) e il fatto che quando si attivano cantino “Talking in your sleep” dei The Romantics. Pezzone galattico.

POIROT IN ARGENTO

La prima volta che ho visto A Haunting in Venice di Kenneth Branagh mi sono addormentato dopo una ventina di minuti colto da uno sbadiglio di disappunto: cosa voleva ottenere Branagh con questo caleidoscopio di dutch angles fuori tempo massimo?

La seconda volta che ho visto A Haunting in Venice mi sono impegnato di più e mi sono abbastanza ricreduto. Branagh innesta il suo ormai tradizionale Hercule Poirot in un vero e proprio “giallo” nel senso argentiano del termine.

In questa storia a cavallo tra il mystery e l’horror, un Poirot autoesiliatosi a Venezia viene invitato a una festa di Halloween in un palazzo apparentemente infestato, all’interno della quale si incastra una seduta spiritica per provare a mettersi in contatto con lo spirito della figlia della padrona di casa apparentemente morta suicida anni prima.

C’è da risolvere il mistero della morte della giovane donna, e ben presto anche il mistero di altre due morti inspiegabili. Poirot deve decidere se credere o meno ai fantasmi mentre intorno a lui si muovono uno Scamarcio spaesato, una Tina Fey molto incisiva, una Michelle Yeoh ieratica e ambigua e un tot di altri personaggi molto “Agatha Christie”.

Tra cui un bambino irritante che legge Poe e ha uno spleen da adulto che ne ha viste troppe. Questo personaggio in particolare, chiave per la risoluzione dei delitti e specchio/ombra di Poirot, è il più argentiano del gruppo. 

I punti di vista assurdi e allucinatori della camera sono gli stessi di Suspiria o di Inferno, alcune inquadrature sono esplicitamente citate, la peculiarità dei moventi e del modus operandi del killer sono gli stessi di Profondo Rosso, Tenebre o altri grandi film del maestro italiano.

Letto in questa prospettiva, A Haunting in Venice a me è sembrato un bellissimo omaggio alla grande stagione del giallo italiano, travestito da film di Hercule Poirot.

BOTTOMS: LESBICHE, BRUTTE E SENZA TALENTO

Chi si ricorda di quelle gloriose commediacce anni ’80 come La rivincita dei Nerds? Io me ne ricordo molto bene, e Bottoms mi ha fatto pensare direttamente a quel tipo di film. Però, al femminile.

Bottoms è un film di Emma Seligman (scritto insieme alla protagonista Rachel Sennott, proprio come Shiva Baby del 2020), presentato all’ultimo Sundance e da poco su Prime Video. La storia è la classica commedia teen: protagonisti sfigati che vorrebbero solo scopare e che nel tentativo disperato di ottenere quello che vogliono finiscono per attivare un meccanismo surreale che – letteralmente – esplode loro tra le mani.

Solo che, come dicevo, è un take diverso, perché le protagoniste sono Rachel Sennott e Ayo Edibiri (già vista in The Bear e partner di lungo corso della Sennott in spettacoli di stand-up). PJ e Josie sono due ragazze “lesbiche, brutte e senza talento” quindi emarginate dal resto della scuola, che puntano alle cheerleader totalmente fuori dal loro livello.

Per una casualità finiscono per istituire una sorta di fight club al femminile dove a detta loro si allenano per reagire alla violenza maschile, ma in definitiva vogliono fare wrestling con le ragazze più fighe. I maschi della scuola, intanto, sono dipinti come jock da operetta: magistrale la scena sottolineata da Total Eclipse of the Heart in cui le ragazze attentano alla casa – e all’automobile – del capitano della squadra Jeff.

Si è parlato molto di questa commedia che secondo i media americani rinnova la tradizione di quei film weird tipo Schegge di follia (sì, un po’, ma io resto sul piano della Rivincita dei Nerds), dicendo anche che “non è al livello di Shiva Baby”.

Ovviamente non è al livello di Shiva Baby (commedia geometrica dalla scrittura molto più a fuoco che peraltro trovate su Mubi): gioca proprio in un altro campionato, però se volete farvi due risate veramente sguaiatissime, Bottoms è qui per voi.