L’HORROR SPERIMENTALE DI SKINAMARINK

Su TikTok e su Reddit tutti lo definiscono il film più spaventoso e traumatizzante mai visto, al ToHorror di Torino nel 2022 aveva vinto il primo premio, insomma, vediamo questo Skinamarink che è approdato su Shudder, la piattaforma streaming dedicata all’horror.

Dalle prime righe avete intuito che Skinamarink è uno di quei “fenomeni virali” del web, e in effetti dalle estetiche del web prende moltissimo. È un film di “soglie”, che si svolge tutto in spazi liminali, imbevuto di weirdcore e traumacore, debitore dell’immaginario delle backrooms.

Ma è anche un film che viene presentato come “Poltergeist se lo avesse girato David Lynch” (semplificazione, ma ci sta: il primo David Lynch, comunque, quello anteriore a Eraserhead). Ad alcuni potrebbe ricordare i grandi classici del found footage tipo The Blair Witch Project o Paranormal Activity. Niente di più lontano, in realtà.

Skinamarink è semplicemente un incubo. Vuole ricreare le (non) logiche e le sensazioni di un incubo opprimente che può avere un bambino, e se ricordate gli incubi che avevate da bambini… beh, Skinamarink è esattamente quello.

Kyle Edward Ball, il regista, ha un canale YouTube dove raccoglie gli incubi delle persone e tenta di renderli in cortometraggi. Skinamarink è il “salto di qualità”: 100 minuti di buio bluastro – il film si svolge tutto in una casa buia con pesanti filtri di ripresa che emulano una vecchia videocamera VHS e gli ISO sparati innaturalmente al massimo – e di sonoro gracchiante e distorto. Grana grossissima, immagini difficilissime da decifrare, e quando le decifri… stai vedendo angoli di soffitti, ombre di attaccapanni, stipiti di porte, dettagli di balaustre.

Non si vede (quasi) mai un personaggio umano, anche dei bambini protagonisti si vedono quasi sempre solo i piedi. La trama? Se si fa molta attenzione si riesce a capire che ci sono due bambini lasciati soli dai genitori in una casa di notte: le porte e le finestre scompaiono e i bambini sono intrappolati con una entità misteriosa che li richiama verso la cantina, li tortura psicologicamente e fisicamente, forse li uccide o forse no, gli spariglia i lego e gli fa andare in loop i cartoni animati di Max Fleischer in TV.

Tutto questo lo puoi capire dalle voci (prevalentemente sussurri, urla lancinanti o voci demoniache) perché in realtà non stai mai vedendo nulla se non l’occasionale angolo di una cassettiera o la gamba del tavolino del salotto. Inquadrature che durano anche 15 secondi, fisse, ferme, dove tu ti aspetti che a un certo punto succeda qualcosa e invece NON SUCCEDE MAI UN CAZZO.

A un certo punto c’è del sangue, i cui schizzi vengono mostrati ripetutamente, ma non sai di chi sia, come, quando e perché. I bambini sono morti? Sono vivi? Non si sa. L’entità è un demone? Non si sa. I genitori sono veramente scomparsi? O magari sono coinvolti in questo misterioso gioco al massacro? Non si sa.

Come potrete immaginare Skinamarink è un film che o ti incuriosisce e te lo guardi fino alla fine, accettando come un dogma il fatto che tanto non capirai un cazzo, o ti fa girare talmente tanto i coglioni che dopo 10 minuti di buio sgranato e sussurri lanci il telecomando contro la TV.

Vedete voi se vale la pena. Secondo me sì.

PS: “Skinamarink-a dink-a dink, Skinamarink-a doo, I Love You” è uno dei motivetti anni ’30 che si sentono provenire dalla televisione sintonizzata su un canale morto della casa del film, per chi se lo stesse chiedendo.

DEVI MORIRE GONFIO: WHEN EVIL LURKS

Evil likes children, and children like Evil“. Basterebbe questa semplice linea di dialogo a far capire che When Evil Lurks, di Demian Rugna è uno di quegli horror con la H maiuscola nel senso che non lascia scampo, è un feel bad movie, di quelli che quando hai finito di vederlo devi guardare un episodio dei Mio Mini Pony per controbilanciare.

When Evil Lurks è un film di possessione, ma lungi dal richiamarsi a L’esorcista, fa pensare più a un misto tra Evil Dead e The Crazies: c’è in ballo una sorta di epidemia diabolica nella pampa sconfinata (il film è argentino) e il paziente zero (sì, quello del trailer) è un ammasso purulento di sangue, muco e fluidi corporei che dovrebbe essere ucciso “nel modo giusto” da un esperto, il quale però è finito inspiegabilmente segato in due nei campi del protagonista Pedro.

Da qui una discesa agli inferi di un gore assoluto condita da spiegazioni biascicate tipo che le regole per non farsi contagiare dal demone sono bruciare i vestiti, non dire il suo nome, non usare la luce elettrica (seee), ma soprattutto NON fare la cosa che verrebbe naturale a tutti e cioè far saltare le cervella al posseduto di turno. Di cervella che saltano ce ne sono parecchie (anche quelle di una capra e di un cane, per dire) e se siete di quelli che oddio qualcuno pensi ai bambini, beh… Demian Rugna ai bambini ci pensa eccome, ma non in un modo che vi piacerà.

Qui tra crani aperti a colpi d’ascia o di martello, famiglie i cui membri si rivoltano l’uno contro l’altra prendendosi sotto con il SUV, nipoti che mangiano le nonne e poi rigurgitano i capelli, classi intere di bambini satanici che fanno brutto, la speranza muore quasi subito.

Inoltre non è che ti affezioni al protagonista, che anche se non è demoniaco è comunque un gran pezzo di merda. Insomma, quando il film finisce sei un po’ provato, ma se cercate un horror significativo che non sia Talk To Me, questo spacca.

STARE DIETRO A NICOLAS CAGE

Vabbè, ormai lo sanno anche i sassi che stare dietro a Nic Cage quando parte con la missione di sfornare 5 film all’anno è un po’ difficile. Io sono indietro, per cui ho visto ora (su Netflix) The Unbearable Weight of Massive Talent (Il talento di Mr. C”), che è un po’ l’apoteosi della memificazione del caro Nicolas.

In pratica questo è un film metacinematografico in cui Cage è Cage (una versione fiction di sé stesso) e si barcamena tra la compagna appena divorziata, la figlia sedicenne che lo trova esasperante e una Hollywood parodistica che sembra dover girare intorno a lui.

Ma Cage (anche quello vero) ha dei debiti da saldare, perciò accetta anche i lavoretti del cazzo ma pagati bene, tipo andare al compleanno di un superfan che poi si rivela anche essere un narcotrafficante (Javi, interpretato da Pedro Pascal).

Alla fine un film che poteva essere solo una collezione di sbrocchi-Cage diventa una buddy comedy, quasi un bromance tra i due la cui relazione nella finzione del film diventa quella di una coppia action dato che i due si trovano ad affrontare inseguimenti, trappole, sparatorie e inseguimenti “proprio come in un action movie”.

La cosa più divertente del film è che Cage ha una voce interiore che si concretizza in una versione “Wild At Heart” di sé stesso, ottenuta ringiovanendo digitalmente l’attore, che gli ricorda costantemente che lui è NICOLAS FUCKING CAGE e che deve comportarsi di conseguenza. Molto LOL.