FLOW È IL FILM CHE NON TI ASPETTI

Flow è il film che non ti aspetti. Soprattutto, non ti aspetti che diventi improvvisamente non solo il miglior film d’animazione dell’anno (superando persino The Wild Robot che per me era già top del decennio) ma probabilmente miglior film dell’anno, punto. Di Flow sapevo zero, se non che era stato presentato a Cannes e aveva fatto un po’ di scalpore ad Annecy.

Boh, pensavo, potrei anche non guardarlo un film lettone con un gattino nero che nuota. Invece meno male che l’ho visto. Flow è un film essenziale e soprattutto universale. Non ci sono parole, quindi non c’è necessità di doppiaggio o sottotitoli. Gli unici suoni che si sentono nel film (a parte una bella colonna sonora pianistica e miyazakiana a cura dello stesso regista) sono i miagolii del gatto protagonista, l’abbaiare del cane, i grugniti del capibara, i versi del lemure e dell’uccello segretario che accompagnano il gatto nel suo viaggio.

Il regista Gints Zilbalodis, non nuovo alle storie senza dialoghi, ha prodotto e realizzato il film in modo particolare: ad esempio non ha utilizzato uno storyboard ma ha creato un ambiente virtuale tridimensionale molto esteso in cui ha piazzato le videocamere virtuali per fare una sorta di “presa diretta” delle animazioni – un po’ come un mondo esplorabile in un videogioco (a me è venuto in mente il vecchio “Myst“). 

La resa è mozzafiato, i movimenti e il comportamento degli animali assolutamente non antropomorfizzati, sono estremamente naturali, e la storia… Dunque, è la storia di un gatto in un mondo dove si percepisce che devono esserci stati degli umani che però non esistono più. In questo mondo a un certo punto arriva un’inondazione più forte di altre e tutto viene sommerso.

Come farà il gatto? Fortunatamente riesce a salire su una barca casualmente “guidata” da un capibara. Poi sulla barca saliranno anche un labrador, un lemure, e un misterioso uccello segretario. All’inizio il gatto è solo nella sua lotta per la vita. Alla fine, con una bella inquadratura che chiude il cerchio… non è più solo.

E il senso è tutto qua. Specie diverse, la cui convivenza in uno spazio ristretto è difficile, che imparano a collaborare per il bene comune. E credetemi, il film è una bomba.

ALIEN: ROMULUS, NIENTE DA DIRE!

Questo me l’ero perso al cinema (peccato) ma ci tenevo a vederlo, anche se tutti dicevano che bah, sì è bellino ma è un mix di citazioni dei vecchi Alien, è più un fan service che un film e via criticando. In realtà, con tutto che qualche difetto qua e là la puoi trovare, Alien: Romulus è comunque uno dei migliori film di Alien visti da anni a questa parte.

Non è che serva poi molto, metti insieme una crew di personaggi tagliati con l’accetta (non mi dite che il primo Alien non era così), punti tutto su degli effetti prostetici degni di nota, tieni duro fino a circa metà film costruendo l’attesa (qui la questione è “gruppo di operai ribelli che se ne vorrebbero andare dal pianeta minerario Romulus e per farlo devono rubare le capsule del criosonno in una nave della Weiland-Yutani”). 

Poi riveli che in quella astronave c’è 1) il corpo semidistrutto di Ash (con le fattezze di Ian Holm) e già questo dovrebbe metterci in allarme e 2) una colonia di facehugger che ovviamente farà il suo. Qui oltre alle varie fasi facehugger / chestburster / xenomorfo abbiamo, alla fine, anche un orribile ibrido xenomorfo/ingegnere (da leggersi con la pronuncia di quel vecchio personaggio di Fabio de Luigi, l’ingegner Cane).

Fede Alvarez, visto anche alla View Conference di quest’anno in una bella masterclass, ci mette del suo per farlo risultare un film compatto, teso e pieno di sangue come deve essere. Succede quello che ti aspetti che succeda e anche qualcosa in più… Non so cosa ci sia da criticare!

BEETLEJUICE BEETLEJUICE, ANTOLOGIA BURTONIANA

Novembre, mese in cui si guardano i film di Tim Burton. E devo dire che Beetlejuice Beetlejuice non è nemmeno quella merda che pensavo (spero però che non gli venga in mente di fare anche Beetlejuice Beetlejuice Beetlejuice). Con un colpo di scena assolutamente imprevedibile, essendo passati più di 30 anni dal film originale, la famiglia Deetz è passata a una nuova generazione. 

La ragazzina dark non è più Winona Ryder (che qui ha il ruolo della madre nevrotica) ma è Jenna Ortega; Catherine O’Hara viene promossa a matriarca sempre più fissata con l’arte contemporanea e Jeffrey Jones (che avrà ritenuto di non partecipare al sequel) viene ucciso in stop motion per poi essere presentato come uno dei simpatici cadaveri ambulanti che popolano l’aldilà burtoniano.

C’è una sottotrama molto halloween con lo spirito di un giovane grunge che si scopre poi diabolico killer, e ovviamente c’è il mattatore Michael Keaton che ce la mette tutta per far sembrare che non siano passati 36 anni e devo dire ci riesce pure. Ovviamente c’è la nuova musa Monica Bellucci nel ruolo di Delores, l’ex moglie italiana di Beetlejuice (nel racconto della loro storia c’è il pezzo forte del film, parlato tutto in italiano e con inquadrature e luci alla Mario Bava, peraltro anche citato esplicitamente nella sceneggiatura). 

Nonostante i tempi siano cambiati Beetlejuice (grazie al cielo) è sempre il solito deficiente scorretto e monodimensionale e tutto procede come da copione, nessuna sorpresa e quindi a posto così. Diciamo che si vede benissimo che Burton si è divertito un mondo a farlo, e tanto basta.

C’è persino un momento musicale che tenta di ripetere l’inarrivabile delirio della sequenza di Day-O (Banana Boat Soing) nel film originale e quasi ci riesce: la versione assurda di un pezzo lunghissimo come Mac Arthur Park sul pre-finale è comunque da antologia burtoniana.