SUPER MARIO BOH

Diciamola tutta, io ne facevo anche a meno, del film su Super Mario Bros. – una serie di videogame assolutamente iconici e che per quelli della mia generazione fanno leva sull’effetto nostalgia canaglia ma la cui “storia” in generale si esaurisce in “arriva dal punto A al punto B evitando gli ostacoli e scopri che il tuo obiettivo finale si è spostato due livelli più in là”. E già dal trailer capivo di non aver tanta voglia di vederlo.

Poi, si sa, i bambini. Ma sono riuscito a spedire al cinema la mamma. Poi il suddetto bambino ti fa il lavaggio del cervello e allora insomma, vediamo almeno di trovarlo in lingua originale, perché l’unica cosa che poteva interessarmi era Jack Black che fa Meat Loaf che fa Bowser.

E in effetti posso dire con certezza che ogni inquadratura in cui Bowser appare e canta il suo amore per Peach è una delle vette dell’animazione di questi dannati anni ’20. Altro personaggio top è Lumalee, la stellina blu di Super Mario Galaxy, che qui ha il ruolo geniale di ricordare a tutti che la vita è un peso insostenibile e la morte è l’unico sollievo (un azzardo ben riuscito di Illumination).

Per il resto, come sottolineano gli interminabili video di YouTube che mio figlio mi costringe a vedere, il film di Super Mario è una lista pressoché infinita di easter egg e fan service infilati uno dietro l’altro. Mi ha divertito molto all’inizio del film la scena in modalità platform in cui Mario e Luigi devono arrivare sul posto del loro primo intervento idraulico, ma dopo la quinta iterazione di questo trick (mettiamo in scena i movimenti come se fossimo nel videogame X) mi ero un po’ stufato.

Per quanto apprezzabile (e soprattutto economicamente valido) sia stato combinare gli spunti narrativi da 40 anni di videogame di Mario e Luigi per costruire un’esilissima sceneggiatura, a me l’unica cosa che rimane è il pezzo di “Peaches“.

GHOSTFACE SI FA NEW YORK

Avete già visto Scream VI? O come viene astutamente presentato “SCREAIVI“? (Che poi è l’unica cosa originale del film, questa idea grafica così intrigante). Ecco, se lo avete già visto perché non mi avete detto che era assolutamente dimenticabile? Perché io confesso che dal trailer un po’ ero intrigato…

Scream V (SCREAV?) era figo, diciamocelo. Rivitalizzava una saga che non aveva bisogno di essere rivitalizzata ma insomma, aveva i suoi buoni momenti. Mescolava personaggi “storici” (quelli che nel delirio metacinematografico di Scream chiamano i legacy characters) con quelli nuovi, si permetteva di far fuori uno dei personaggi più amati e stabiliva le regole del requel (remake + sequel).

Bisogna battere il ferro finché è caldo, avranno pensato i malcapitati successori dell’immenso Wes Craven, Matt Bettinelli-Olpin e Tyler Gillett. E bisogna richiamare tutti gli attori cani maledetti dell’anno prima (cui nessuno si era veramente affezionato) e soprattutto bisogna dare più spazio a Jenna Ortega dato l’improvviso successo di Wednesday.

Ovviamente ne approfittano per dettare “le regole della saga horror“, ma non c’è più nulla di nuovo per nessuno. Dal punto di vista dei practical effects, gli omicidi di Ghostface sono sanguinosissimi e violenti e l’opening con Samara Weaving e Tony Revolori è la cosa migliore del film – pur essendo la solita variazione sul tema di “qual è il tuo horror preferito”.

Per il resto, si passa da un agguato all’altro con scarso interesse, sappiamo che tutti sono sacrificabili eppure alla fine sono rimasti tutti vivi (almeno, i 4 di Woodsboro), segno che veramente stavolta hanno deciso di ribaltare le aspettative, e la motivazione dei killer (ovviamente più d’uno) è quantomai bizantina, sempre più simile alle agnizioni un tanto al chilo delle soap opera anni ’80.

Insomma, io la chiuderei qua. La saga, intendo.

PADRE AMORTH A FUMETTI

The Pope’s Exorcist di Julius Avery comincia con Russell Crowe nella parte di padre Gabriele Amorth, l’esorcista più famoso del west, che performa un esorcismo a Tropea nel 1987, parlando un italiano un po’ così e sfidando il demonio a possedere un maiale bellissimo invece del ragazzo calabrese che aveva preso.

Subito dopo questo cold open che ci dimostra che Amorth sa il fatto suo e piglia Satana a calci in culo, parte She Sells Sanctuary dei Cult. Voi capirete che dopo questi primi 10-15 minuti io mi vedrei tipo 10 film con le avventure di padre Amorth: per quanto sia ancora convinto che questo sarebbe stato un ruolo perfetto per Nic Cage, devo dire che anche Russell Crowe si è ritagliato un bel piano pensionistico con questo film. Vabbè, comunque, qui c’è il trailer (che ha suscitato scomposte reazioni tra i ranghi dell’IAE – International Association of Exorcists).

Insomma, avete capito. Metteteci che Avery esce da un film come Samaritan e prima ancora da Overlord, per cui è uno specialista del buttarla in vacca con stile. Ci sono intrighi vaticani: i cardinali non amano Amorth ma Amorth se ne fotte e fa gli scherzoni alle suore. Il papa (Franco Nero) invece stima moltissimo Amorth e gli affida il caso di un bambino indemoniato in Spagna.

Amorth prende la sua Vespa Lambretta (scusate, mi cospargo il capo di cenere) bianca con lo stemma della Ferrari (giuro), parte da Castel Sant’Angelo e nella scena dopo è in Spagna all’abbazia di San Sebastian, sempre in Vespa Lambretta! Con in sottofondo i Faith No More! Come cazzo si fa a non amarlo.

Esorcismo per esorcismo, il resto del film è abbastanza convenzionale fino a che non si scopre che c’è di molto peggio che soltanto il bambino indemoniato, c’è proprio una roba alla Dampyr / Dylan Dog, tipo un dungeon con un trono antichissimo, la porta dell’inferno, i cadaveri mummificati dell’inquisizione spagnola, le biblioteche vaticane con gli incappucciati neri che mormorano, i libri proibiti, i complotti della chiesa…

Insomma, alla fine è un pastiche tra L’Esorcista, Il Codice Da Vinci e Constantine, però almeno è divertente. Molto divertente. Ed è tratto dai libri del vero padre Amorth, che secondo me quest’anno sta ballando la giga nella tomba.