IL MIO 2012

42Da qualche giorno su Facebook è spuntata questa cosa, curiosa quanto inutile e fuorviante, della sintesi dell’anno in fase di chiusura. Cliccando lì sopra si vedono i tuoi momenti salienti, i post più commentati, etc. Al di là di alcune sane ovvietà, nel mio 2012 secondo Facebook vedo la solita marea di minchiate che sono – va da sé – le mie minchiate, ma che riproposte senza filo logico e sulla base del semplice appeal pubblico offrono un quadro distorto della realtà. Il mio 2012 è stato molto diverso. Un tempo potevo scrivere interi paragrafi dedicati a quanto la vita è ridicola. Poi però la vita in un certo senso si vendica, e al fine umorista non resta che l’aforisma. Per me è importante ridicolizzare, ridurre all’assurdo, ridimensionare. Però è un lavoro duro, e non sempre si hanno le forze o la determinazione per farlo. Il mio 2012 è stato fondamentalmente brutto, di quelle piccole e grandi brutture quotidiane che fanno perdere a poco a poco la fiducia in una svolta positiva. La fiducia, non la speranza, beninteso. Ci sono state anche momenti belli, che alimentano proprio quel senso di luce in fondo al tunnel.

Il mio 2012 è stato costellato di problemi di salute, gravi e meno gravi, fastidiosi o pericolosi, trascurabili o devastanti nella loro potenza negativa. Lo dicono spesso che quando c’è la salute c’è tutto, una verità dietro a questi luoghi comuni ci sarà pure. E anche se non sono stato io in prima persona a passare da ospedali, interventi, convalescenze difficili, ansie, speranze regolarmente disattese, appuntamenti da medici e quant’altro, in questo 2012 ci sono passate le persone a me più vicine. E credetemi, è peggio di quando ci passi in prima persona. Stare vicino alle persone che soffrono, specialmente se si tratta della tua donna, di un tuo amico, dei familiari, persino della tua gatta, ti fa sentire enormemente inadeguato. Più del solito, quantomeno.

Il mio 2012 è stato un anno di costante declino dal punto di vista lavorativo. Oh, lo so bene che almeno ho un lavoro. Mi guardo bene dal lamentarmi. L’importante è portare avanti questo lavoro senza pensare, senza metterci nulla di personale, senza puntare troppo l’attenzione sul fatto che tutto è portato avanti come una brutta copia di una pièce di Ionesco dove ogni dialogo in realtà è un monologo e dove dietro ad ogni scambio c’è in realtà soltanto la volontà di affermazione di un potere stantio che soffoca iniziativa e professionalità con la corda della paura. Lo so, sono melodrammatico. Però tutti sanno che il re è nudo, e nessuno è abbastanza bambino da gridarlo indicandolo, me compreso (volendo mantenere uno stipendio).

Il mio 2012 è stato un anno strano dal punto di vista dei soldi. Avevo qualcosa da parte dalla proverbiale eredità della nonna, adesso non c’è più un gran che. Però c’è una casa, ci sono le tasse, e tutto quello che ti fa sentire un italiano realizzato che poggia il suo status sulla proprietà immobiliare. A parte gli scherzi, questo è stato un investimento emotivo oltre che finanziario: non sarà un appartamento meraviglioso, è disposto un po’ alla buona, ma è il nostro nido, pronto per un’altra buona fetta di vita.

E per concludere il mio 2012 è stato un anno positivo per una cosa: l’amore, gli affetti, gli amici. Quelle cose che in un qualche strano modo sopperiscono bene anche quando manca la salute, quando scarseggiano i soldi, quando il lavoro fa schifo. Vedo e stimo sempre da più di venti anni i miei migliori amici: la cosa non manca mai di stupirmi piacevolmente, in un mondo dove le relazioni diventano così liquide da non lasciarti a volte niente in mano. Ho acquisito almeno una nuova sincera amicizia: è importante trovarne una almeno ogni 5 anni, e quando la trovi non lasciarla sfuggire più e confrontarsi il più possibile sulle cose importanti come su quelle idiote. E soprattutto, come mi ricorda la mia finestra su Facebook, ho festeggiato 10 anni di matrimonio e 20 anni di relazione con la mia compagna: continuiamo a mandarci affanculo e ad amarci in egual misura come fosse il primo giorno.

Ora manca solo una cosa: 42.
Poi il mondo può anche finire. Io non mi faccio prendere dal panico, ho il mio asciugamano.

 

MAGONE, IL MINORE

Il magone, quando ero piccolo, me lo immaginavo sempre come lo stregone di Fantasia, un grosso mago malvagio che si appollaiava sullo stomaco e non se ne andava più. Il magone, nel ramo materno della famiglia, ce lo avevano tutti molto spesso. Nel ramo paterno no, loro preferivano coltivare tumori – erano persone concrete, il magone non aveva spazio nelle loro vite.

Io ero un bambino molto riflessivo, probabilmente un po’ malinconico, in pratica un personaggio di Tim Burton. Il magone a volte prendeva anche me. Si sedeva lì e non andava più via. La felicità, nei bambini, è assoluta. Magari non stanno facendo nulla di particolare, ma sono felici senza motivo. Lo stesso per il magone. Basta un nonnulla e anche a un bambino può capitare di sentirsi oppresso.

L’aspetto subdolo del magone è che aspetta che tu non abbia niente di particolare da fare per catturarti. Per la persona adulta, che tipicamente deve impazzire per trovare tempo e spazio per un po’ di riposo, di solito non c’è spazio per il magone. Ma il magone è un bastardo e arriva con le sue dita adunche nel fine settimana, magari il sabato mattina o la domenica pomeriggio, indifferente al clima o alla latitudine.

Poi mi ricordo che il Magone in realtà è il fratello minore dell’Annibale e dell’Asdrubale, quei due terùn che avevano messo a ferro e fuoco l’Italia qualche anno fa. In particolare il Magone era lì tranquillo a Ibiza a fare le sue cose, tipo ballare fino all’alba, calarsi gli acidi eccetera, e tutt’a un tratto deve andare a Genova a radere al suolo la città (il magone se ci pensate è un sentimento molto genovese e comunque ce l’abbiamo in particolare qui al nordovest).

Secondo me il Magone non era poi così contento, magari preferiva restare a Ibiza.
Chissà se somigliava allo stregone di Fantasia.

CI HANNO RUBATO IL VINTAGE

Il vintageOggi mi facevo un giro da FNAC e pensavo a quanto tutto invecchia precocemente.
E mentre vagavo tra uno scaffale di film horror anni ’40 con un mano il mio Orlando Furioso commentato da Calvino (provvidenziale e rinfrescante acquisto di oggi), ho adocchiato l’inenarrabile.

La Atari (sì, proprio quella Atari) è appena uscito con una console a 59 euro, un po’ più piccola dell’originale VCS del 1978, con la stessa rifinitura in finta radica, e i due joystick gommosi col tastone rosso, simbolo assoluto del divertimento vintage.

La novità è che non c’è lo slot per le cartucce dei giochi, dato che la capiente memoria di questa console “blindata” contiene tutto il catalogo originale Atari a 8 bit, da Centipede a Space Invaders, da Pong a Night Driver, da Combat a Warlords.

Pensavo che il bieco sfruttamento ai danni di noi poveri vecchi nostalgici fosse arrivato al suo punto più basso con l’app per iPad Atari’s Greatest Hits. Invece no, qui siamo ad un livello ancora più subdolo. La console, capite, si collega al televisore di casa. E puoi manovrare il joystick originale mentre in TV bizzarri pixel grossi come un unghia del mio mignolo si muovono sullo schermo.

E tutto mentre io faccio la posta alle console originali in vendita su eBay, generalmente (se funzionanti) a non meno di 100 euro. Cosa non si fa per indurre bisogni nelle persone dalla psiche debole.

Ormai ci hanno rubato anche il vintage, e io resto qui a domandarmi se vale più la pena ricomprarmi la console originale ed esporla nel mio personale museo della tecnologia retro, cedere alle ubbie del mercato e giocare effettivamente con una console pura imitazione, o mandare a cagare la Atari e dedicarmi anima e corpo a BIT.TRIP Complete per Nintendo Wii.