Tra i libri letti ultimamente, tengo in gran considerazione (e ovviamente consiglio) La bussola d’oro, primo volume della trilogia Queste Oscure Materie di Philip Pullman. Ammetto che il motivo contingente di lettura è stato il fatto che è in uscita un film tratto dal romanzo con Nicole Kidman e Daniel Craig, e non volevo arrivare impreparato (leggi: non volevo essere deluso da un film probabilmente fantasmagorico ma sciacquettoso e volevo prima aver ben chiara la storia, con testi e sottotesti). Poi ho visto che il libro è stato insignito di premi favolosi e che è nel novero dei 10 migliori romanzi "per ragazzi" degli ultimi 70 anni. Infine, sono stato conquistato dall’exergo con brano dal Paradise Lost di Milton (al quale pare Pullmann si sia parecchio ispirato) che fornisce tra l’altro il titolo originale alla trilogia (His Dark Materials). Ho evitato invece le polemiche talebane sui presunti insulti al cristianesimo: è proprio l’idea di religione organizzata a venire attaccata in questi volumi, e la cosa non può che trovarmi pienamente d’accordo. E insomma l’ho letto d’un fiato, è bello, ha il senso del meraviglioso, ma è anche cattivo e asciutto quando serve. Ovviamente è un romanzo di formazione che continua nei due volumi seguenti (che devo ancora leggere) e che da un lato racconta la storia di Lyra Belacqua e della progressiva rivelazione sui membri della sua famiglia e dall’altro ci parla di universi paralleli, materia e antimateria, fisica delle particelle, daimon, ilopatismo e altre amenità che piaceranno agli studiosi di filosofia della scienza. Insomma, per dire che è un romanzo complesso, per niente banale, ben scritto e appassionante. Non accontentatevi del film.
LE RELIQUIE DELLA MORTE (IT’S ALL OVER NOW…)
Costa molto, in termini di investimento emotivo, finire il ciclo di Harry Potter. Verso le ultime pagine ho dovuto sforzarmi di andare avanti, di finirlo. Avrei voluto prolungare la lettura di più. Mi sono sorpreso a terminare il libro seduto in un bar in pausa pranzo, con il rumore della pioggia estiva sulla copertura del dehor. Insomma, un po’ come non dargli la sua giusta importanza. Voglio dire, mi immaginavo di finire il settimo ed ultimo volume quantomeno in cima ad una mistica montagna o in qualsivoglia circostanza eccezionale. Comunque. Non voglio fare il gioco degli spoiler e sapete già che se dico qualcosa che non dovrei dire lo scrivo in bianco (poi vedete voi). In ogni caso diciamolo pure, il libro non è un capolavoro. Ha una parte centrale stiracchiata e a tratti inconcludente. Eppure, arrivato alla fine, rivaluti anche le parti noiose, perché erano funzionali all’identificazione con i protagonisti. Harry Potter and the Deathly Hallows è un romanzo atipico rispetto agli altri volumi. Intanto è un po’ il "secondo tempo" del Principe Mezzosangue. E poi, va da sé, ha una struttura leggermente diversa: non si svolge ad Hogwarts se non nel gran finale e non c’è il solito insegnante di Difesa contro le Arti Oscure che si rivela uno stronzo (ma ci sono diversi personaggi che in un certo senso ne fanno le veci) e in generale ogni pagina ha un senso di cupa ineluttabilità che farebbe invidia ad un Dissennatore! Parlando dei massimi sistemi, mai come nell’ultimo romanzo, JKR ha scoperto le carte su quello che è il principale tema di fondo che il ciclo di HP tenta di far passare nelle menti dei lettori più o meno giovani: non esiste bianco o nero, esistono le sfumature di grigio. Non esistono certezze e ideologie, esiste solo il dubbio (e la fede come faccia nascosta del dubbio). Lo dimostra l’insistenza con cui ogni personaggio codificato come "positivo" (Ron, Dumbledore, Lupin, Mundungus, Mr. Lovegood) lasci filtrare in più di un’occasione un lato oscuro più o meno sviluppato – il che crea un continuo shock da "kill your idols" in Harry – e ogni personaggio "negativo" (Snape su tutti, ma anche Draco, Lucius e Narcissa Malfoy, Dudley, Pettigrew e un Grindelwald in un inaspettato cameo) rivela la propria umanità e la capacità di provare sentimenti, cosa che ovviamente Voldemort non comprende e che lo porterà alla disfatta finale. Perché è ovvio che c’è una disfatta finale, non c’è bisogno di discuterne. La saga di HP è una saga popolare, debitrice al feuilleton, a Dickens, a Tolkien, alle chanson de gestes, al ciclo arturiano (basta leggere il capitolo del ritrovamento della spada di Grifondoro), ai moti del cuore di Jane Austen. JKR ha saputo metabolizzare e ricomporre il tutto in modo eccellente, ma non ci si può aspettare un’originalità che non può esserci. Qualcuno, infatti, ha gridato al capolavoro, ma molti hanno criticato negativamente la supposta banalità dei colpi di scena. La bravura di JKR sta invece proprio nel seguire il viaggio dell’eroe (che prevede sempre morte apparente, rinascita e conquista del dominio sul proprio mondo e sulla morte) rivestendolo di suggestioni moderne e di contorcimenti della trama (quelli, forse, sì) un po’ complessi da seguire. In ogni caso, non temete: Dumbledore torna come al solito in un surreale capitolo nel sottofinale per spiegare ad un Harry in fase di esperienza "pre-morte" tutto ciò che lui e i suoi lettori non hanno ben capito nel corso delle prime 550 pagine! Dal punto di vista della trama, ormai a quanto pare rivelata con gusto sadico da ogni medium possibile e immaginabile (di certo per punire i lettori italiani che non sanno l’inglese!), c’è poco da dire… Nei primi capitoli Harry diventa maggiorenne, deve andarsene per sempre da Privet Drive e non può nemmeno tornare a Hogwarts perché deve rintracciare i famosi Horcrux mancanti con l’aiuto dei fidi Ron e Hermione. Fioccano un po’ di morti già dalle prime pagine, tanto per far sentire gli eroi sempre più soli, si organizza il matrimonio di Bill e Fleur (piccolo contentino per chi ama il lato sentimentale di JKR, che non tornerà fino all’epilogo) e poi via alla ricerca del medaglione di Serpeverde, della coppa di Tassorosso, del Diadema di Corvonero, etc. In mezzo a tutto ciò, le solite visioni di Voldemort e una ricerca parallela sulle fantomatiche "Reliquie della Morte": in pratica una sorta di oggetti mitici (la bacchetta del potere, la pietra della resurrezione e il mantello della invisibilità, ovviamente già in possesso di Harry) – i classici "doni dell’eroe" che possono rendere un mago più potente di ogni altro. Negli ultimi capitoli si torna ad Hogwarts e le cose si fanno ovviamente più appassionanti (ma sappiamo che il viaggio dell’eroe è quello e di lì non si scappa). Alcuni capitoli spiccano su tutti: il ritorno di Ron dopo l’abbandono della ricerca e il ritrovamento della spada di Grifondoro; lo svelamento delle memorie di Snape, che dà un senso diverso in retrospettiva a gran parte della serie e spiega l’ambiguità del personaggio e il suo segreto più nascosto; il dialogo tra Dumbledore e Harry nell’ideale paradiso mentale di quest’ultimo. Una considerazione a parte sul famigerato epilogo "Diciannove anni dopo". Smielato quanto si vuole, vago e insoddisfacente, farà comunque la gioia degli shippers Harry/Ginny e Ron/Hermione (ma c’era da dubitarne?)… Di certo avrei preferito una soluzione più lapidaria, alla Animal House in cui ogni personaggio avrebbe avuto diritto a qualche riga di "che fine ha fatto" (tipo "Hagrid visse felicemente nella foresta sposando una centaura" o "la prof.ssa McGonagall si ritirò in campagna a trasfigurare le ortensie"). Ma tant’è. Si parla già della prossima Enciclopedia di HP, che JKR scriverà per beneficienza e che conterrà probabilmente tutte le sottotrame che noi lettori abbiamo immaginato negli ultimi dieci anni insieme a lei. E per tutto il resto, c’è sempre la fan fiction. Buona vita a Harry nelle pagine bianche della nostra fantasia…
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TESORO, DOVE HAI MESSO IL TRICOBEZOARO?
Ditemi che sapete cos’è il tricobezoaro… ditemelo! Io l’ho scoperto oggi. Non è difficile, basta aver studiato un po’ di greco ed essere un fan di lunga data di Harry Potter. Io quando imparo una parola nuova godo, e devo dirla più volte durante la giornata. Tricobezoaro. Sentite come suona bene? Ve lo dico, dài. Avete presente quegli agglomerati abnormi di capelli e peli pubici che trovate nello scarico della doccia? Bene, adesso immaginateveli più compattati e non nello scarico della doccia bensì nel vostro apparato digerente. Fico, no? Tricobezoaro, da "trico" (capello, pelo in greco) e "bezoar" (calcolo o concrezione di formazione naturale negli apparati digerenti animali, dal persiano pad zhar, "protezione contro il veleno"). Di solito sono i gatti a produrre tricobezoari, vomitandoli sui vostri migliori tappeti. Ma anche un umano affetto da tricotillomania potrebbe produrne, se il suo disturbo lo porta a cibarsi dei ciuffi di pelo strappati. E veniamo al dunque. Tutte queste cose le ho scoperte divorando nell’arco di una giornata il mio ultimo acquisto: Io sono paranoico. Guida tascabile ai tremendi disturbi mentali che già senti di avere. Un libro imprescindibile che ti aiuta a capire meglio quel corpo estraneo che è la tua mente (sì, quell’organo che ti propone quei pensieri assurdi mentre cerchi di rilassarti) e a diagnosticarti le patologie da solo con buona approssimazione. Pensate ad esempio alla diffusissima sindrome di Capgras: ce l’avete se pensate che i vostri cari siano stati sostituiti da robot, alieni o baccelloni semoventi. Da avere assolutamente! Tricobezoaro, tricobezoaro, tricobezoaro… Riuscirò a smettere di dirlo?