Emergo per qualche minuto dal letto, dal divano o da qualunque posto in casa si possa stare in posizione reclinata e con una borsa dell’acqua calda a disposizione solo per darvi un avvertimento: diffidate delle nazi-dottoresse della mutua. Come le riconoscete? Semplice: sono quelle che tendono a darvi meno giorni possibili di malattia nei limiti del disturbo che manifestate (a me stavolta è andata bene, le coliche meritano ben cinque giorni). Sono quelle che quando voi le mostrate i medicinali francesi che vi hanno prescritto in un ospedale di Nizza li guarda e mormora con un sorrisetto "Certo… certo…" e poi vi suggerisce di smettere la terapia antidolorifica e sostituirla con un singolo pasticcone italiano da prendere solo una volta al giorno, che non farà molto per il dolore ma del resto "senza dolore non ci si rende conto di come si sta". Il risultato? Grandi sudate, grandi coliche, grandi bevute, esami clinici a ore improbabili e una costante sensazione che qualcosa dentro stia per esplodere. Un caro saluto e a presto.
UN TRANQUILLO WEEKEND DI PAURA (A.K.A. “OGGI LE COLICHE”)
Sì, era il nostro anniversario di matrimonio. Il 21, sì. Cinque anni. Grazie degli auguri. Ma sì, siamo andati a Nizza, sai, per andare da qualche parte né troppo lontano né troppo vicino. Un po’ di relax, un po’ di mare, un po’ di shopping. L’ultimo sole. Una bella dormita, una di quelle colazioni che spaccano degli hotel francesi. E poi una bella pisciata (scusa il francesismo, ma te lo devo proprio dire) che mi lascia quasi, come dire, un piccolo fastidio lì. Ma sì, LI’, dai che hai capito! Una passeggiata a Nizza lascia molte opportunità: per me, soprattutto la FNAC, il Virgin Megastore e Habitat. Ma mentre camminiamo sento un lieve fastidio alla parte destra della schiena. Stefi, lo sai com’è fatta, mi dice di non fare la lagna che se non fosse per lei avrei passato la giornata disteso (e non sapeva quanto aveva ragione). Io persisto nella passeggiata, ma il dolorino comincia a trasmettersi anche davanti. Tempo altri dieci minuti e comincio a sudare freddo e ad ansimare. Il mio primo irrazionale pensiero: devo piantarla di tagliarmi le unghie affacciato alla finestra. Perché – è evidente – qualcuno le ha raccolte e ha confezionato una bambolina vudù con qualcosa di mio dentro e ora sta piantando uno spillone nel fianco del feticcio. Raggiungiamo una panchina in un parco sulla Promenade des Anglais, dove mi accascio gemendo senza alcun ritegno. Stefi, lo sai com’è fatta, ha già capito tutto: è una colica renale. "Ma perchéééérrrghhhrr" faccio in tempo a dire, mentre lo spillone si trasforma in uno spadone cimmero rovente che si rigira nel mio fianco. La gente mi guarda e io riesco solo a dire "Raaarghr", la gola secca, i capelli tutti appiccicati alla faccia e un’incredibile voglia di vomitare. Stefi chiama il taxi. Il taxista sembra molto impressionato. Dopo qualche minuto ci scarica al St. Roch, l’ospedale di Nizza che sarà l’unica cosa che vedremo della città oltre alla stanza dell’hotel. La giornata si svolgerà tutta lì, su una barella che accoglie il mio corpo ormai spogliato di jeans e maglietta e imbozzolato in uno di quei camiciotti demenziali che ti lasciano il culo scoperto. Stefi, lo sai com’è fatta, voleva entrare anche lei ma non l’hanno lasciata. Io, lì dentro, con la flebo di morfina e tutti che mi parlavano tanto gentilmente in francese. Così io, tra un conato di vomito e l’altro, dovevo rispondere in francese. Esami del sangue, delle urine, radiografie, ecografie. Non c’è dubbio è "solo un calcolo urinario". E sì, fa molto male, è il dolore più lancinante che si conosca ma stia tranquillo poi passa. Peraltro il calcolo non si vede, quindi sarà nell’uretere… Due coliche più in là (e ad effetto della droga ormai scemato) ci ritroviamo, io e la Stefi, nella stanzetta dell’hotel a tentare di guardare qualche puntata di Heroes, tra un medicinale e l’altro. Sì, mi hanno imbottito di pasticche da prendere. Adesso non faccio che dormire, bere e pisciare. Intanto mi ripasso mentalmente l’accaduto per riportarlo (traduzioni dal francese incluse) alla nazi-dottoressa della mutua. Sai, lei è reperibile solo previa appuntamento telefonico. Mi riceverà alle 18.40. Ci ho messo tutta la mattina per chiamarla. O non rispondeva nessuno, o c’era una musichetta di attesa tipo la Carmen di Bizet suonata da Burt Bacharach in acido. Devo decisamente cambiare dottoressa.
Tag: colica renale, calcolo, dolore
MI SPARO UN PANINAZZO CHE MI SMERIGLIA LA GARGAROZZA
D’accordo, è triste parlarvi sul blog di cosa ho fatto oggi a pranzo (per queste cose c’è sempre Twitter, dove potrei dirvi anche quante volte vado in bagno). Però colgo l’occasione per segnalare un luogo mitico, di cui da tempo vorrei scrivere: il Burger Time, di via Amendola 6 a Torino. Il Burger Time è una scheggia inquietante di 1983 rimasta incastrata nel tessuto urbano e sociale torinese. Ci sono indubbiamente altri luoghi topici degli anni ’80 torinesi, come l’Esploratore Azzurro o l’Impera (per un periodo tristemente Bingo, poi non so). Ma nessuno è rimasto uguale nel tempo come il Burger Time. Al Burger Time, per prima cosa, si mangiano gli hamburger e gli hot dog migliori di Torino (anche se ultimamente hanno cambiato impasto per il pane degli hot dog). Dentro, l’ambiente è assolutamente in stile Drive-In. Unica concessione alla modernità Ikea: il déhor, che non a caso viene disertato dai veri cultori del locale. Entri e ti affacci alla cassa, dove c’è il proprietario – anche lui – inspiegabilmente sempre uguale a sé stesso da 25 anni! Fino a pochi mesi fa c’era anche la stessa ragazza dei panini del 1983: unica differenza, un trucco un po’ più pesante per nascondere i segni dell’età. Da qualche tempo non la vedo più. Entro al Burger Time e osservo il mondo del 2007 da una bolla spazio-temporale. Io ci vorrei fare un blogpranzo tutti insieme al Burger Time, a prendere i mitici Cocoburger e Greenburger, ad assaporare le favolose patatine olandesi McCain e a ingozzarci di Coca Cola che il proprietario versa direttamente dalle bottiglie da 2 litri (cioè: non alla spina annacquata, capite?). Per ora comunque mi accontento della blogcena di stasera. Siamo al Consorzio. Magari volete venire a guardarci mangiare dalla vetrina. Magari tenendo in mano un Cheeseburger.
Tag: burger time, fast food, 80s
