DELL’ARTE DI PREDIRE IL FUTURO E DI RIPRODURSI

Ogni tanto capita che si fa un tiraggio, io e la Stefi, con i tarocchi di Jodo-san. Che poi ormai, avendo introiettato un minimo gli insegnamenti del maestro, si cerca di interpretare molto semplicemente gli arcani maggiori sulla base della risonanza psicologica che hanno in noi. Sembra tanto una minchiata, ai non iniziati, ma funzionano. Non per predire il futuro, ci mancherebbe. Ma per decifrare un presente sempre nebbioso, quello sì. Allora capita che ieri sera la Stefi fa il tiraggio della scelta "avere un figlio / non avere un figlio". Lei è rappresentata dalla Luna, dal lato "avere un figlio" c’è la Forza, la Morte e gli Amanti. Dall’altro lato c’è il Mondo, l’Eremita e la Papessa. Poi io faccio lo stesso tiraggio: sono rappresentato dal Mondo, dal lato "avere un figlio" c’è la Morte, il Matto e il Papa. Dall’altro lato c’è il Sole, l’Eremita e la Papessa. Cioè un tiraggio fortemente simile. Abbozzo una interpretazione: lei è la donna istintiva, il lato oscuro della femminilità. Avere un figlio domerebbe la "bestia" con un drastico cambiamento e con un nuovo tipo di felicità a tre. Non averlo significherebbe chiusura in sé stessi, sterilità, continua ed inutile ricerca. Io sono un uomo arrivato ormai alla conclusione di un ciclo di vita, fermo in una posizione. Avere un figlio sarebbe un drastico cambiamento che metterebbe di nuovo in moto tutto, con un’esplosione di energia senza regole che si incanalerebbe nella comunicazione e nell’insegnamento paterno. Non averlo significherebbe disperdere energia maschile nel mondo, in maniera sterile e collegata ad una continua ed inutile ricerca. Ci addormentiamo sereni (di provare a farlo lì sui due piedi non c’era tanto la voglia, che eravamo molto stanchi). Stamattina mi sveglio e vado in garage a prendere la moto, dove come tutte le mattine incontro l’omino che pulisce il garage, una sorta di gnomo senza tempo che somiglia un po’ all’Oompa Loompa della fabbrica di cioccolato di Burton. Mi dice "E la macchina non ce l’hai più?". Gli dico "La macchina ce l’ha mia moglie". Mi dice "Ma sei sposato?". Gli dico "Da cinque anni". Mi dice "Figli?". Gli dico "Non ancora" (e dentro di me risuona il tiraggio della notte precedente). A quel punto l’Oompa Loompa del garage mi dice che è tutto a posto così. Di non farli i figli, e di godermi la vita con mia moglie senza rotture. Mica per i figli, sai, io ne ho due uno di 24 e uno di 28, e sono bravissimi ragazzi. Ma in che mondo li fai nascere? E’ come condannarli a una vita di merda. E sarà sempre peggio. Non troveranno lavoro, vivranno una vita da frustrati, se va bene ti malediranno per averli messi al mondo e se va male ti accoltelleranno per l’eredità. Se rinascessi, ti giuro, non farei figli. Buona giornata, eh? E io sgommo via, conscio di cominciare il lunedì nel migliore e più positivo dei modi possibili.

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NAZI DOCS FUCK OFF!

Emergo per qualche minuto dal letto, dal divano o da qualunque posto in casa si possa stare in posizione reclinata e con una borsa dell’acqua calda a disposizione solo per darvi un avvertimento: diffidate delle nazi-dottoresse della mutua. Come le riconoscete? Semplice: sono quelle che tendono a darvi meno giorni possibili di malattia nei limiti del disturbo che manifestate (a me stavolta è andata bene, le coliche meritano ben cinque giorni). Sono quelle che quando voi le mostrate i medicinali francesi che vi hanno prescritto in un ospedale di Nizza li guarda e mormora con un sorrisetto "Certo… certo…" e poi vi suggerisce di smettere la terapia antidolorifica e sostituirla con un singolo pasticcone italiano da prendere solo una volta al giorno, che non farà molto per il dolore ma del resto "senza dolore non ci si rende conto di come si sta". Il risultato? Grandi sudate, grandi coliche, grandi bevute, esami clinici a ore improbabili e una costante sensazione che qualcosa dentro stia per esplodere. Un caro saluto e a presto.

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UN TRANQUILLO WEEKEND DI PAURA (A.K.A. “OGGI LE COLICHE”)

Sì, era il nostro anniversario di matrimonio. Il 21, sì. Cinque anni. Grazie degli auguri. Ma sì, siamo andati a Nizza, sai, per andare da qualche parte né troppo lontano né troppo vicino. Un po’ di relax, un po’ di mare, un po’ di shopping. L’ultimo sole. Una bella dormita, una di quelle colazioni che spaccano degli hotel francesi. E poi una bella pisciata (scusa il francesismo, ma te lo devo proprio dire) che mi lascia quasi, come dire, un piccolo fastidio lì. Ma sì, LI’, dai che hai capito! Una passeggiata a Nizza lascia molte opportunità: per me, soprattutto la FNAC, il Virgin Megastore e Habitat. Ma mentre camminiamo sento un lieve fastidio alla parte destra della schiena. Stefi, lo sai com’è fatta, mi dice di non fare la lagna che se non fosse per lei avrei passato la giornata disteso (e non sapeva quanto aveva ragione). Io persisto nella passeggiata, ma il dolorino comincia a trasmettersi anche davanti. Tempo altri dieci minuti e comincio a sudare freddo e ad ansimare. Il mio primo irrazionale pensiero: devo piantarla di tagliarmi le unghie affacciato alla finestra. Perché – è evidente – qualcuno le ha raccolte e ha confezionato una bambolina vudù con qualcosa di mio dentro e ora sta piantando uno spillone nel fianco del feticcio. Raggiungiamo una panchina in un parco sulla Promenade des Anglais, dove mi accascio gemendo senza alcun ritegno. Stefi, lo sai com’è fatta, ha già capito tutto: è una colica renale. "Ma perchéééérrrghhhrr" faccio in tempo a dire, mentre lo spillone si trasforma in uno spadone cimmero rovente che si rigira nel mio fianco. La gente mi guarda e io riesco solo a dire "Raaarghr", la gola secca, i capelli tutti appiccicati alla faccia e un’incredibile voglia di vomitare. Stefi chiama il taxi. Il taxista sembra molto impressionato. Dopo qualche minuto ci scarica al St. Roch, l’ospedale di Nizza che sarà l’unica cosa che vedremo della città oltre alla stanza dell’hotel. La giornata si svolgerà tutta lì, su una barella che accoglie il mio corpo ormai spogliato di jeans e maglietta e imbozzolato in uno di quei camiciotti demenziali che ti lasciano il culo scoperto. Stefi, lo sai com’è fatta, voleva entrare anche lei ma non l’hanno lasciata. Io, lì dentro, con la flebo di morfina e tutti che mi parlavano tanto gentilmente in francese. Così io, tra un conato di vomito e l’altro, dovevo rispondere in francese. Esami del sangue, delle urine, radiografie, ecografie. Non c’è dubbio è "solo un calcolo urinario". E sì, fa molto male, è il dolore più lancinante che si conosca ma stia tranquillo poi passa. Peraltro il calcolo non si vede, quindi sarà nell’uretere… Due coliche più in là (e ad effetto della droga ormai scemato) ci ritroviamo, io e la Stefi, nella stanzetta dell’hotel a tentare di guardare qualche puntata di Heroes, tra un medicinale e l’altro. Sì, mi hanno imbottito di pasticche da prendere. Adesso non faccio che dormire, bere e pisciare. Intanto mi ripasso mentalmente l’accaduto per riportarlo (traduzioni dal francese incluse) alla nazi-dottoressa della mutua. Sai, lei è reperibile solo previa appuntamento telefonico. Mi riceverà alle 18.40. Ci ho messo tutta la mattina per chiamarla. O non rispondeva nessuno, o c’era una musichetta di attesa tipo la Carmen di Bizet suonata da Burt Bacharach in acido. Devo decisamente cambiare dottoressa.

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