Esco di casa alle 7.30 – poca gente per strada. E’ da otto anni che rimando. Da dopo l’operazione del varicocele. Lo spermiogramma è un esame imbarazzante, fin dal foglio di preparazione (“astenersi da rapporti sessuali in coppia o da soli per almeno 3 giorni”, “lo sperma dovrà essere raccolto tramite atto masturbatorio” e altre frasi magiche del genere che arrivano persino a consigliarti sul modo migliore di “farlo”). Ma insomma, mi dico, son passati otto anni dall’ultima volta, vuoi che le cose non siano migliorate un po’?
Arrivo in ospedale e chiamo Stefi, che mi accompagna fino al reparto giusto. Bussiamo. Arriva una brunetta sui cinquant’anni, molto abbronzata, rugosa e scattosa. Guarda il foglio, sparisce in un’altra stanza e torna con una cartellina blu (“Qui ci sono un po’ di riviste se le dovessero servire”) e un contenitore sterile delle dimensioni di un vasetto di yogurt (“Non lo deve riempire tutto, stia sereno”). Faccio per chiedere se mia moglie può entrare con me, che mi sentirei un po’ più a mio agio, che lei in queste cose è molto brava, ma Stefi incrocia il mio sguardo, capisce al volo e mi pizzica il braccio per dissuadermi.
Il luogo prescelto per la “raccolta” è un bagno per disabili di un reparto di degenza al piano di sopra. Apro la porta. Le cose non sono migliorate neanche un po’. Semmai il contrario. Pile di pannoloni, padelle e pappagalli, accessori per la deambulazione e un cesso nel poco spazio libero. “Ti prego, davvero non puoi pensarci tu?” – ma Stefi è irremovibile, e adduce scuse tipo il comune senso del pudore e il fatto che deve tornare a lavorare nel suo reparto al più presto.
Vabbè. Tutto l’insieme mi fa un po’ senso. Sono molto insospettito dall’idea di aggirarmi a pantaloni calati in questo spazio angosciante. Apro la cartellina e do’ un’occhiata alle riviste. Le stesse di otto anni fa. Per la verità le stesse da almeno venticinque anni. Basta dire che una si intitola “Sotto la punk l’uccello canta” (immagini di ragazze che sembrano appena uscite dal Virus e uomini baffuti con calzini di spugna bianchi). Ovviamente il mio amico del piano di sotto non accenna a fare il suo dovere.
Forse dipende dal fatto che sto in piedi, scomodo. Forse è meglio tentare il colpo con un copriwater e sedermi in fondo alla stanza. E poi non dimentichiamo l’ora. Io a quell’ora non ce la faccio proprio. La mia ora è quella panica, il meriggiare pallido e assorto. Mentre mi impegno al massimo, qualcuno si attacca alla maniglia della porta, dà uno scrollone e bussa. La timida erezione svanisce immediatamente. Non ce la faccio, non così.
Mi rivesto, apro e dico “Non ce la faccio. Non così“. Stefi mi dice senti, io devo andare, cerca di impegnarti. Sbuffo e rientro. Rimetto a posto le riviste (mi cade l’occhio su qualcosa del tipo “La benzinaia e le sue pompe”) e cerco di meditare seduto sul water. Vediamo un po’, qualche bel ricordo… Quella volta in Liguria che… Poi apro gli occhi e il ricordo sfuma in quel terribile contesto ospedaliero. Tento di concentrarmi ma mi fa un po’ male la mano e poi mi viene sempre in mente quel famoso pezzo dei CCCP che mi sconcentra.
Proviamo con la fantasia, andiamo per accumulazione, un’infermiera, due infermiere, tre infermiere, la tabaccaia, la Volpina, l’Aldina… No, l’Aldina no! Concentrazione, concentrazione! Pronti con il vasetto!
E’ solo una volta uscito di lì che mi rendo conto, nell’ordine che: 1) fa caldissimo; 2) non riesco a camminare ben dritto; 3) ho un fastidioso bruciore lì; 4) ho battuto il mio record personale di tempo passato a trastullarmi. La brunetta rugosa ritira riviste e vasetto con sussiego, mi fa compilare un foglio e mi dice di tornare tra quindici giorni per i risultati. Urge passare al bar per una colazione sostanziosa con Stefi. La chiamo. “Come va? Ti ho pensato molto mentre lavoravo…!”.
La guardo con occhi un po’ sbarellati e dico “Eh… Anche io ti ho pensato molto…” – “Deficiente…”. Sipario.