Vivo. Sono ancora qui. Ve lo volevo dire, perché alcune persone che mi sono vicine erano seriamente preoccupate. Per lo spinning, dico. Non è un mistero che sono l’uomo più antisportivo dell’universo. Il mio strato adiposo, negli anni, è stato affrontato in modi diversi e astrusi, ma mai con una tale aggressività suicida. Ma il vostro blogger è una tempra forte, e sono qui per raccontarvi la prima di una (purtroppo) lunga serie di lezioni…
Lo spinning, per chi non lo sapesse, è definibile come ciclismo intensivo al chiuso (indoor cycling) e si presenta più o meno così. Ovviamente, nel mio caso, si presenta peggio. Lo spinning si pratica (nella palestra sotto casa mia) in una stanza in penombra, dove ci sono solo le bici da spinning, uno stereo, un mixer e le casse. Le bici da spinning non sono come le normali Cyclette di una volta, no… Hanno un volano da 30 kg che appena inizi a pedalare ti travolge costringendoti a mantenere la pedalata e trascinando le tue gambe senza speranza.
La pedalata deve andare a tempo di musica, da cui il mixer e le casse. La musica va dall’elettronica al drum’n’bass al chill out, a seconda dei momenti. Perché il concetto di fondo (non ridete) è che siccome non vedi una strada davanti a te, “la musica è la tua strada“. Quindi pezzi soft per le “strade pianeggianti”, pezzi a 150 bpm per le “salite in montagna”… Tutto qua. Basta pedalare a tempo. Che di per sé non è nemmeno male.
Però c’è un fatto. Qualcuno deve pur dirti quando aumentare la resistenza del volano e mixare i pezzi. Entra in gioco l’istruttore, una figura mista tra il DJ, il predicatore cristiano evangelico, il master da RPG e il diplomato ISEF che – dotato di microfono stile “Non è la RAI” – incita i partecipanti a “pompare”, a fare “running”, a mettere le mani nei diversi appigli del manubrio (a seconda della posizione sposti il baricentro e massacri fasce muscolari diverse).
La lezione dura un’ora. Venti minuti di pedalata tranquilla, poi si parte con venti minuti di devastazione (da cui il titolo del post) e infine si chiude con un recupero dolce e un po’ di stretching. Durante l’ora è imperativo tenere a portata di mano un asciugamano (per fare come Pavarotti e detergersi il copioso sudore) e una bottiglietta d’acqua. L’importante è tenere gli occhi chiusi e concentrasi sul ritmo, non guardare Stefi che stramazza e strabuzza gli occhi, ignorare il dolore ai polpacci, ai piedi, alla milza, alle spalle e soprattutto al culo, procedere con respiri dal naso lenti e profondi, ripetere qualche mantra dentro di sé (lo yoga aiuta sempre) e ignorare il più possibile i deliri dell’istruttore per non ridere.
Il migliore, durante un pezzo musicale ambient, è stato: “Adesso siamo in un tunnel. Non vediamo nulla, la strada la percepiamo soltanto. Ma ecco, forse c’è una luce alla fine del tunnel! Arriva… La vediamo… Eccola… E uno-due, vai col running!“. Riparte il tunz-tunz a 105 bpm. Fermo immagine finale: la faccia violacea del sottoscritto, denti stretti, occhi chiusi e una copertura uniforme di gocce di sudore.