LE MAMME VENGONO DA URANO

Anche stavolta si è conclusa senza vittime la maratona sanitaria programmata in cui CasaIzzo tutta si è mobilitata per accompagnare la genitrice tra un medico e un’analisi, tra uno specialista e un ospedale – con le consuete e immancabili pause in negozi di scarpe e su ogni superficie mediamente morbida su cui ci si possa abbandonare e sonnecchiare.

Io ho una madre ingombrante. Certo, forse ce l’abbiamo tutti. La mia però è ingombrante e imbarazzante. Del tipo che quando mi appassionavo a Friends, la sit-com, io mi identificavo in Chandler Bing e nella sua assurda madre-padre interpretata da Kathleen Turner. Non che mia madre sia un trans, intendiamoci. Però è una di quelle persone che, quando è fuori dal letto, riesce con poco sforzo ad essere al centro dell’attenzione di chiunque si trovi in un raggio di almeno dieci metri, con il risultato che chi è accanto a lei vorrebbe veder materializzata una pala per scavarsi una fossa mentre è momentaneamente inosservato.

Lei ha tutti i suoi disturbi, le sue ansie e i suoi malanni, d’accordo. Non si dovrebbe star lì a sottilizzare. Anche quando i malanni si concentrano “lì sotto” e lei, ancora dopo quasi 39 anni, cerca di farti sentire in colpa per essere uscito con poca delicatezza dall’utero e aver causato danni un po’ in tutta la zona.

Il fatto è che, conducendo una vita peraltro abbastanza solitaria e routinaria, quando viene in città per qualche esame clinico la mamma si trasforma nella protagonista di un suo personale show in cui lei è la Lucille Ball o (peggio) la Mae West della situazione. Tipo che deve raccontare a tutti (e quando dico tutti intendo anche i portantini dell’ospedale o la commessa del negozio di scarpe) che nel suo ultimo esame le hanno infilato una peretta là dietro e che quando le hanno detto “spinga” lei ha capito “stringa” mandando in palla il manometro.

Io spero sempre che la gente non mi guardi, quando lei parla (scandendo bene i termini) di ano, retto o perineo. Ho perfezionato un mimetismo che mi permette di scomparire e confondermi tra i colori del contesto. In ogni caso, per me è la conferma che se gli uomini vengono da Marte e le donne da Venere, le mamme vengono da Urano.

FOTOSINTESI (BULLARSI ON LINE)

C’è da dire questo. L’altra sera riflettevo con Louga su quanto difficile diventa, anche per gli appassionati come noi, persistere nel portarsi in giro la reflex digitale e fare gli artisti puri e duri che vagano per la città con il naso all’insù (o all’ingiù, in molti casi) fotografando dettagli invisibili ai più e svelando l’assurdo caos dietro il paravento del reale. Bello eh, “il paravento del reale“? Mi stupisco da solo quando oso questo tipo di costrutti. Ma comunque. Non è facile, sappiatelo.

Ormai la gente va in giro con l’iPhone, scatta quello che vuole e fà ch’ it n’ abie, come si dice qui da noi in Piemonte. Tu pensi di essere un figo con la tua Canon, la tua Nikon, la tua Sony dai mille obiettivi. Pensi “è tempo che mi compro la reflex, perché son così bravo e così appassionato che – semplicemente – mi serve“. Poi la reflex ce l’hai e la usi una volta ogni morte di papa (a meno che non ti chiami Istriano, Teo, Palmasco… insomma le eccezioni ci sono sempre). Se va bene ci fai le foto delle vacanze, o i ritratti ai Barcamp. E questa è una cosa che mi fa incazzare abbestia.

Poi però succedono cose come questa. Il New York Times Style Magazine (vi prego, lasciate che mi bulli adeguatamente IL! NEW! YORK! TIMES! STYLE! MAGAZINE!) mi contatta perché gli piace una mia foto e la vogliono usare sul loro blog. Il post lo trovate già online, si intitola A weekend in Honfleur (e sottoscrivo in pieno ogni paragrafo del testo). A differenza delle decine di altre foto mie pubblicate su riviste più o meno oscure o realtà no-profit che ti chiedono il favore di usare le tue immagini gratis (favore che in genere concedo), il NYTSM mi ha subito buttato lì un prezzo. Magari anche poco, per carità, ma vuoi mettere la soddisfazione di entrare nella banca on line e vedere che c’è un bonifico dal (vi prego fatemelo ripetere) New York Times Style Magazine? Come diceva una vecchia pubblicità, non ha prezzo.

E io adesso mi sento tanto Ugly Betty con il pene.
Se mi metto la parrucca probabilmente ci somiglio anche.

IL PARRUCCHIERE VIRTUALE

Oggi vado a tagliarmi i capelli. C’è sempre un po’ di inquietudine nel dirlo. Per quelle due volte l’anno che lo faccio, l’occasione è comunque a suo modo grandiosa. E come tutte le volte mi scatta la voglia di qualcosa di diverso, di cambiare persona, di essere per qualche settimana quello che di norma non sono.

Sto cercando sul web un sito decente di virtual hairstyle, tanto per. Ma quelli che trovo fanno abbastanza pena, per cui mi (e vi) affiderò ad una sana immaginazione.

Potrei optare per il taglio emo, che è tanto di moda. Non tanto tipo il tizio dei Tokio Hotel, che mi pare fondamentalmente Alberto Camerini redivivo, ma piuttosto come quello dei Dari (che anche lui mi pare Alberto Camerini redivivo, ma con più onestà). Ecco, come il tipo dei Dari ma meno colorato. Anzi, nero e basta. Oppure mi attrae anche il taglio spike, un misto morbido tra il punk ’77 e il ciancicato ’99. O potrei, per cambiare, fare una tinta

Insomma, avevo pensato di lanciare un sondaggio “quale taglio potrei adottare” tra i miei venticinque lettori. Poi però si è fatto tardi, le riunioni si sono accavallate, il post è rimasto in bozza e sono anche già andato dalla parrucchiera. Che era giustamente innervosita per i miei 25 minuti di ritardo. Quindi il taglio l’ho già fatto e – tanto per rassicurarvi – è sempre il solito (una via di mezzo tra questo e questo).

Ma voi se volete proponete pure, eh? Meglio se con riferimenti fotografici.
Così la prossima volta ci provo.