LA GENTE E’ STRANA

Ci pensavo l’altro giorno.

Ci sono situazioni collettive in cui sei costretto, volente o nolente, ad interagire con un gran numero di persone. All’interno di questi contesti, io familiarizzo sempre con quelli strani.
A scuola, all’università, a lavoro.
Gli strani sono attirati da me. Forse perché sono strano anche io.

I nuovi strumenti di comunicazione ti aiutano a vedere meglio la cosa. Prendi i social network, o anche solo la rubrica del cellulare. Sui social network puoi avere circa 500 “amici”. Quando cominci a sentirti a disagio, limiti a una trentina di persone quelle che effettivamente “segui”, quelle con cui interagisci. E ti rendi conto che sono quelli strani. Sul cellulare ci sono 250 numeri, ma i 10 numeri che chiami di più sono quelli delle persone strane. Compresa tua madre.

Quindi, dicevo, fin da piccolo io attiro le persone strane. Quelle che hanno un talento particolare, ma non un talento qualsiasi. Troppo facile. Parlo di quelli che manifestano personalità multiple, che si esaltano per i film Troma, che riescono a trovarsi a proprio agio in situazioni lontanissime tra loro, che credono nel paradosso come filosofia di vita, che conoscono la portata rivoluzionaria dei piccoli gesti quotidiani o che sfuggono alle etichette fluttuando da un ruolo all’altro con leggerezza.

Quelli che commentano questo blog, in genere, sono strani. E se anche non li conosco di persona, da quello che scrivono son quasi sicuro che comunque sono strani, ma strani forte.
Quelli che mi pokano su Facebook o mi laikano su Friendfeed sono stranissimi, veramente! Anche solo per il fatto di compiere azioni identificate da verbi così repellenti.

Mettiamola così: è più facile farvi un elenco di quelli che non sono strani. Quelli che mi chiamano dai call center delle compagnie telefoniche per farmi cambiare operatore, il mio amministratore di condominio, la mia dottoressa della mutua e i commessi dei negozi di abbigliamento. Quella è gente tendenzialmente opaca, ma son sicuro che, gratta gratta, anche loro avranno la loro bella dose di stranezze. Hai visto mai che l’amministratore compra vestiti da donna dai suddetti commessi o la dottoressa controlla un racket di precari che inoculano virus tramite le chiamate telefoniche…

A me la gente se non è strana non mi piace.
Anche per strada, guardo le ragazze, e quelle stile supermodel senza macchia non le calcolo. Quelle anche bruttine ma strane mi attraggono di più.
A volte mi sento sopraffare da tutta questa stranezza.

Poi però mi consolo nell’anonimato.
Quando sei strano, nessuno si ricorda il tuo nome

BUON PRINCIPIO

Qui è sempre buio. Vivo in un perenne crepuscolo aromatizzato al Bacardi e al fumo dei Beedies. Ogni tanto c’è luce, ma prevalentemente piove. Esco di rado, quando necessario. Sono le mie vacanze. Le ho guadagnate, direi. Peccato che adesso sono quasi finite. Ci siamo imposti di non andare in fregola per viaggi-lampo o velleità attiviste di qualsiasi tipo. Ci siamo detti “al massimo un museo, un hammam, niente di faticoso”. E poi alla fine non abbiamo fatto neanche quello.

Eppure è incredibile quante cose si fanno quando si decide di non fare nulla. Per dire, in questi primi, dolcissimi e fumosi giorni del 2010 ho svolto le seguenti attività:

  • ho trovato una mezza dozzina di posizioni nuove da adottare svaccandomi sul divano
  • ho percorso diverse volte il tratto di strada casa-Blockbuster, sfruttando la convenzione “10 noleggi di Blu-Ray gratis
  • ho letto moltissime pagine di libri, uno dei quali pesa circa 4 kg e mi ha fatto venire un crampo alla mano
  • ho scaricato una cinquantina di film usciti tra il 1980 e il 1987 e ne ho guardati parecchi
  • sempre grazie al mulo, mi sono fatto una discreta discografia post-punk / industrial
  • ho cucinato e mangiato meglio del solito, con incursione al ristorante indiano (da cui i Beedies)
  • ho visto amici cari che mancavano all’appello già da un tot di settimane
  • ho fatto il consulente on line per piccoli e grandi problemi di cuore
  • ho fatto la spesa senza stress
  • ho perso un premolare in modo tragico e doloroso
  • mi si è rotta una stanghetta degli occhiali (gravissimo)
  • ho trovato due fave in due fette diverse di focacce della befana. Nessun piccione, però.
  • ho scoperto che mia madre ha ancora qualche abilità sociale
  • sono stato in farmacia più volte
  • ho fatto un bel giro in moto dopo un mese di inattività
  • ho perfezionato il mio look “Berkshire 1971
  • ho mantenuto la casa pulita e in ordine (beh… ho contribuito)
  • ho mantenuto la mente libera

Da domani, i soliti problemi mi risalteranno sulle spalle, ma devo dire che – a parte le martellate sul premolare – è stato un buon principio.
Esultate con me!

OBIETTIVI 2010

Non so voi, ma qui al lavoro noi si usa un metodo particolare per la valutazione delle prestazioni. Per farla breve, ogni fine anno (proprio tra il 30 e il 31 dicembre) si pensano degli obiettivi per l’anno successivo. Obiettivi di lavoro, ovviamente. Secondo la formula questi obiettivi devono essere sfidanti (un termine che mi procura la stessa sensazione di un unghia spezzata mentre striscia su una lavagna), concreti, misurabili e realizzabili (quest’ultima caratteristica non viene mai tenuta adeguatamente in conto, ma tant’è). Ad ogni obiettivo devono corrispondere tre o quattro azioni, che sarebbero un po’ come degli step che tu fai per raggiungere l’obiettivo. E poi ci sono i comportamenti, ossia “come lo fai“, perché – credetemi – conta anche quello.

Io questa cosa degli obiettivi, posso dirlo? Mi sta sul cazzo.

Perché già nella vita uno prova a darseli e non ci arriva mai. E allora arrivi ai 39 e pensi che forse non è più il caso, che magari va anche bene così. Senza obiettivi. Tanto ormai a navigare a vista ci sei abituato, e allora perché non lasciarsi sorprendere? La proattività è sopravvalutata, il vero uomo si riconosce dalla capacità di reagire. Per esempio, prendiamo i miei “obiettivi” del 2009. Non che ne avessi formulati, intendiamoci. Stanno lì, nel retro della testa, più o meno dove c’è la nuca. In quel posto che ti fa male tutte le sere e tutte le mattine. Fa male perché ci sono loro, gli obiettivi, che reclamano attenzione. Ma tu non gliela puoi dare. E infatti, come da copione, tutto quello che volevo fare nel 2009 l’ho fatto in fretta e malamente (se poi l’ho fatto).

Io, per me, lo so che la fine dell’anno è una convenzione. Però mi porta sempre tanta amarezza. Non sempre-sempre, a pensarci bene. Ad esempio, non è andata così nel 1987, nel 1990, nel 1993, nel 1998 e nel 2002.
Per il resto c’è sempre quel retrogusto di petrolio misto a pile scariche.

Allora non voglio star qui a metter giù i miei obiettivi del 2010. Ne ho alcuni, è chiaro. Sono abbastanza ambiziosi, perché anche se sembro un simpatico e spensierato Wookiee in realtà sono autolesionista, interiormente lacerato e ascolto sempre gli Smiths. Auguro a me e a voi di riuscire almeno a sfiorare uno di questi obiettivi. Di protendere il ditino e toccarlo almeno per un attimo prima che svanisca (perché poi – obiettivi bastardi – svaniscono invariabilmente, per ripresentarsi quasi subito un po’ più in là).

E di riuscire a farlo con serenità.