LE MILLE LUCI DEL CENTRO COMMERCIALE

Ecco, è giunto il momento. Di fronte a noi si staglia l’immenso parcheggio del centro commerciale, diviso in parcheggio Ikea, parcheggio Le Gru e parcheggio multipiano Euromercato/Carrefour. Niente al mondo può eguagliare la vista delle mille luci del centro commerciale, delle macchine che arrivano e partono, delle persone intente a spostare incessantemente borse e carrelli. Parcheggiamo davanti all’Ikea, consci che il mobilificio globale chiude alle 20.00, e che quindi c’è poco tempo. Appena saliti siamo già riusciti a cacciare in borsa una cospicua serie di cazzate che mai adopereremo. Ma l’Ikea è così. La gioia consiste nello spendere i propri soldi nel superfluo, per convincersi che è proprio quello lo sfogo adatto per compensare un paio di giorni di merda sul lavoro. C’è chi si droga, per sfuggire alla realtà. Noi andiamo all’Ikea. Un giro veloce e caliamo come rapaci sull’obiettivo principale: lo scaffale Benno in impiallacciatura di faggio, fila 19 scaffale 14. Ci dirigiamo alle casse con il nostro pacco lungo due metri e largo quindici centimetri riuscendo a non gambizzare gli altri clienti. Poi io veleggio verso la Bottega Svedese lasciando a Stefi l’incombenza del pagamento alle casse. Come è giusto e naturale, la vecchina rincoglionita in coda prima di Stefi pretende di pagare con un assegno anche se non sarebbe possibile. Dopo un quarto d’ora, siamo pronti per riconfigurare l’assetto dell’interno della Clio (leggi praticamente smontare i sedili) e recarci con gaiezza dentro il centro commerciale. La nostra meta è Mediaworld, rutilante esposizione di tutto quanto fa elettronica di consumo. A dimostrazione dell’esattezza della teoria secondo la quale qualsiasi elettrodomestico (piccolo o grande) è destinato a rompersi dopo cinque anni dall’acquisto, ci troviamo nel 2005 a dover sostituire un buon numero di oggetti ormai abbandonati nello sgabuzzino da un annetto (comprati nel 1999, autodistrutti nel 2004). L’idea è un po’ inquietante dato che, secondo i nostri calcoli, l’anno prossimo toccherà al televisore (acquistato nel 2000, probabile data di autodistruzione 13/11/2005). Da Mediaworld occorre resistere al richiamo magnetico degli scaffali DVD. Mi produco nella mia tipica imitazione del moonwalk di Michael Jackson (tento di dirigermi nella direzione opposta ai DVD, ma la loro attrazione fa sì che io strusci inevitabilmente sul posto). Poi, peraltro, riusciamo a riempire il carrello di tutto ciò che ci serve (tra cui un regolabarba fighissimo, molto metrosexual). Non ci resta che tornare a casa, dopo un rapido pasto consumato all’interno del centro commerciale. La giornata è finita, e anche le cameriere del Brek hanno esaurito il carburante per il sorriso standard: le loro labbra sono pericolosamente piegate all’ingiù. Ci sentiamo parte di un grande meccanismo universale, mentre torniamo verso casa: Stefi alla guida, io rincagnato nel sedile posteriore e lo scaffale Benno di 2 metri x 15 centimetri che occupa il resto dello spazio disponibile. Purtroppo è tardi, e non c’è nemmeno il tempo di montarlo. Troppe emozioni, e poi domani si lavora. Che vita intensa, al centro commerciale!

ODE ALLE FAMIGLIE D’ORIGINE

Ogni due weekend, nei momenti più intensi, capita di dover fare la maratona Torino-Asti-Torino-Ivrea-Torino. A volte anche nell’arco della stessa giornata. Più spesso, come ad esempio questo fine settimana, nell’arco di due giornate. In modo da riempirsi ben bene il weekend. Del resto lo scorso weekend abbiamo vagato in pigiama per la casa senza quasi uscire nemmeno una volta, quindi per la legge del contrappasso stavolta toccava andare in visita alle rispettive famiglie di origine. A pranzo. Che è una cosa terribile, specie se i tuoi abitano lontanuccio e ti devi svegliare presto anche il sabato e la domenica per spararti da 40 a 90 km di viaggio nella nebbia per rimpinzarti di cibo e ruttare tutto il pomeriggio. Comunque, si fa. Poi la sera cerchi di sfogarti e vedere gli amici, e restare a chiacchierare piacevolmente, magari fino alle tre. Però ti stronchi. Il sabato dai suoceri: salumi vari, pasta col salmone e pollo brasato al vino con purea (o "pureia" se detto alla piemontese). Stefi mostra le sue creazioni in ceramica alla mamma. La mamma (che è sempre la mamma) nota alcune imperfezioni nel pezzo.
"E’ normale che non sia perfettamente liscio?"
"Ma certo mamma, è fatto a mano!"
"Ah… ecco…"
"…"
"…No, perché vedo che ci sono anche delle pennellate un po’ imprecise qui…"
La mamma di Stefi sarebbe la gioia di tutti gli artigiani che lavorano a mano le materie prime, orgogliosi delle loro imperfezioni assolutamente anti-industriali…! Il suo motto, sempre positivo, è "Se ti metti a lavorare la ceramica, stai pur sicura che nessuno compra più vasi"…
La domenica è la volta del ragù alla napoletana, gentilmente offerto da mia nonna, che è in piedi dalle 5 del mattino per prepararlo. Ovviamente il ragù è sempre buonissimo, ma è il modo con cui viene presentato a rendere il commensale perplesso.
"Pietro… vuoi altro sugo?"
"No, nonna, sono a posto così."
"Ecco, tieni, un’altra mestolata!"
"Ah… va bene."
[ellissi temporale di 42 secondi]
"Pietro… mi pare che ne hai poco di sugo, ne vuoi ancora? Prendi altro sugo, tie’…"
[ellissi temporale di 11 secondi]
"Gliene abbiamo dato di sugo a Pietro? Ah… mi pareva di no…" – e così via.
Quando mio padre, mia nonna e mia mamma sono in tre in cucina hanno lo stesso effetto devastante dei fratelli Marx. Chiunque assista alle loro performance ha il mal di testa e la confusione mentale garantita.
"Prendi il piatto."
"Quale piatto?"
"Quel piatto… no, quell’altro!"
"Aspetta, gira di qua… no, apri la lavastoviglie!"
"Ma no, ma’… quello lo facciamo dopo, aspetta!"
"Dai del sugo a Pietro…"
"Ma se ne ha già avuto tre volte!"
"Allora danne a Stefi!"
"Aspetta, tie’…"
"No, ma che fai, grattugia qua…"
"Vuoi o’ pecorino? O vuoi la ricotta? Tieni il pecorino, tie’!"
Un uomo ha bisogno di decompressione. Alla fine mi sono rifugiato nella redazione di un articolo per sfuggire al deliquio. E la settimana non è ancora cominciata.

NON HO SENTITO LA SVEGLIA

Quattro gennaio. Qualcosa mi sveglia dal torpore. Qualcosa di fastidioso. Gli ultimi brandelli di sogno si volatilizzano mentre alzo la faccia ormai fusa con il cuscino e apro una fessura cisposa di occhio… Chi cazzo è che stressa alle sette del mattino?!?
– Prohh…
– Pietro?
– Grhhmmmbh?…
– Sono Pia… Volevamo sapere se venivi in ufficio… Sai, sono le dieci…
– …
– Pietro?…
L’occhio si apre del tutto. Il braccio si avvicina all’occhio. Le lancette sono sfocate e si sovrappongono. Poi sono a fuoco. Sono effettivamente le dieci.
‘Nnoshentitashvegliah
– Come?
– Non ho sentito la sveglia…
Alla fine è capitato anche qui. Almeno è passato un anno. Dove lavoravo prima era abbastanza all’ordine del giorno che le gentili colleghe mi cercassero a casa quando rimanevo addormentato. Il fatto è che non mi svegliano nemmeno le cannonate. E’ per questo che di solito chiedo a Stefi di telefonarmi verso le otto per svegliarmi. Ma non tutte le mattine ci riesce. Quanto è dolce, però, lo scambio di battute che abbiamo la mattina, quando lei è al lavoro da più di un’ora e io sono ancora a letto… Di solito va così.
Rrrrrrr?…
– Ciao cucciolo… sono le otto e un quarto!
– Rrr…
– Sì, amore… lo so…!
– Hhhhhmmm.
Non ti riaddormentare, eh?
– R-rrraahhhh…
– Allora ciao, eh? Ci sentiamo più tardi!
– ‘Ao…
– Ti amo!
– Hannn…
A volte riesco persino a trovare il tempo di legarmi le scarpe, o di bere un sorso di latte. Perché il mattino ha l’oro in bocca…!