P – Sì?…
X – E’ il signor Pietro Izzo?
P – Sì… chi parla?
X – Lei non mi conosce, lavoro per il Servizio Bibliotecario Nazionale.
P – …
X – Stiamo inserendo i nomi degli autori del libro "Come si fa un video digitale" nel catalogo ufficiale SBN. Lei ha scritto "Come si fa un video digitale", giusto?
P – Sì, ma…
X – Ecco, c’è un piccolo problema. Esiste già un Pietro Izzo nel catalogo generale autori. Si tratta di un medico.
P – Hmmm.
X – Mi servirebbe un dato in più che possa fare la distinzione. Per esempio, il suo anno di nascita.
P – Capisco, però… mi scusi, ma come ha fatto ad avere il mio numero di cellulare?
X – Ah, beh… l’ho trovato sul suo sito!
P – Ah, ecco. Certo. [Devo ricordarmi di renderlo più criptico]
X – Sì, mi trovavo in difficoltà e ho pensato di rivolgermi direttamente alla fonte. Spero non le dispiaccia… Dunque, il suo anno di nascità è?…
P – 1970.
X – E lei mi assicura che in nessun modo si è interessato, si interessa o si interesserà di medicina e chirurgia?
P – Direi proprio di no.
X – Grazie mille allora, signor Izzo. E mi scusi per l’invadenza.
P – Si immagini.
LA CASA DEGLI SGABUZZINI
Ho la schiena a pezzi, ma sono felice. Ieri abbiamo affrontato un tour de force di 12 ore negli sgabuzzini di casa. "E quanti sgabuzzini hai?" mi par di sentire dal coro dei miei giovani lettori. Ebbene, esiste uno sgabuzzino sul balcone (se così possiamo chiamarlo), poi esiste un angolo cieco dietro la porta della cucina attrezzato a sgabuzzino con una scaffalatura di fortuna (che poi è il posto deputato per la cura degli artigli di Maya) ed infine esiste una rientranza nel muro dell’ingresso, coperta da una tenda che – se scostata – rivela l’Orrore. O meglio, rivelava l’Orrore, perché adesso il caos è stato finalmente dominato. Anche se a caro prezzo. Alcuni geniali imprenditori hanno lanciato una nuova professionalità: il consulente per l’ordine casalingo, quello che ti viene in casa e decide di camparti dalla finestra tutte le cianfrusaglie che tu non butteresti perché ci sei affezionato. Noi che vogliamo risparmiare sul prezzo, una volta ogni 4 o 5 anni lo facciamo da soli. La strategia è questa: si parte dal ripostiglio sul balcone, buttando via tutto quello che è possibile. Una volta svuotato quello si passa agli scaffali di cucina ed infine allo sgabuzzino dell’ingresso, buttando anche lì l’inverosimile e spostando quanto c’è di troppo ingombrante nel ripostiglio sul balcone, che intanto è rimasto semivuoto. Geniale, no? Peccato che come attività di contorno, si prevede che il sottoscritto porti giù nei cassonetti della spazzatura tutto ciò che si butta. E cioè: cinque sacconi neri – quelli da 50 litri – dal balcone (più una Cyclette degli anni ’70 che stava lì a prender ruggine). Un saccone nero dalla cucina. Tre sacconi neri dallo sgabuzzino delle scarpe (quale stupore nel trovarvi tutta questa abbondanza di scarpe rotte, bucate o sformate: il paio più vecchio risaliva al 1989)! Più un bel saccone di decorazioni natalizie da portare in cantina. Ah, senza dimenticare mezzo saccone nero di medicinali scaduti! Stefi si vergogna a portarli in farmacia… Dice che il contenitore che mettono a disposizione dei clienti può contenere al massimo un terzo dei nostri medicinali! Questo ci dà la misura di quante malattie abbiamo collezionato negli anni! Nessuno dei due ricorda a cosa mai fossero serviti alcuni medicinali dal nome esotico. Comunque son lavori che danno soddisfazione, specialmente quando poi ti affacci alla finestra e vedi che, a causa della scarsa capacità dei cassonetti della spazzatura, hai reso l’angolo della via simile ad una discarica a cielo aperto! Il camion dei rifiuti avrà il suo da fare… Ma la Cyclette, intanto, qualcuno se l’è già portata via durante la notte!
LE MILLE LUCI DEL CENTRO COMMERCIALE
Ecco, è giunto il momento. Di fronte a noi si staglia l’immenso parcheggio del centro commerciale, diviso in parcheggio Ikea, parcheggio Le Gru e parcheggio multipiano Euromercato/Carrefour. Niente al mondo può eguagliare la vista delle mille luci del centro commerciale, delle macchine che arrivano e partono, delle persone intente a spostare incessantemente borse e carrelli. Parcheggiamo davanti all’Ikea, consci che il mobilificio globale chiude alle 20.00, e che quindi c’è poco tempo. Appena saliti siamo già riusciti a cacciare in borsa una cospicua serie di cazzate che mai adopereremo. Ma l’Ikea è così. La gioia consiste nello spendere i propri soldi nel superfluo, per convincersi che è proprio quello lo sfogo adatto per compensare un paio di giorni di merda sul lavoro. C’è chi si droga, per sfuggire alla realtà. Noi andiamo all’Ikea. Un giro veloce e caliamo come rapaci sull’obiettivo principale: lo scaffale Benno in impiallacciatura di faggio, fila 19 scaffale 14. Ci dirigiamo alle casse con il nostro pacco lungo due metri e largo quindici centimetri riuscendo a non gambizzare gli altri clienti. Poi io veleggio verso la Bottega Svedese lasciando a Stefi l’incombenza del pagamento alle casse. Come è giusto e naturale, la vecchina rincoglionita in coda prima di Stefi pretende di pagare con un assegno anche se non sarebbe possibile. Dopo un quarto d’ora, siamo pronti per riconfigurare l’assetto dell’interno della Clio (leggi praticamente smontare i sedili) e recarci con gaiezza dentro il centro commerciale. La nostra meta è Mediaworld, rutilante esposizione di tutto quanto fa elettronica di consumo. A dimostrazione dell’esattezza della teoria secondo la quale qualsiasi elettrodomestico (piccolo o grande) è destinato a rompersi dopo cinque anni dall’acquisto, ci troviamo nel 2005 a dover sostituire un buon numero di oggetti ormai abbandonati nello sgabuzzino da un annetto (comprati nel 1999, autodistrutti nel 2004). L’idea è un po’ inquietante dato che, secondo i nostri calcoli, l’anno prossimo toccherà al televisore (acquistato nel 2000, probabile data di autodistruzione 13/11/2005). Da Mediaworld occorre resistere al richiamo magnetico degli scaffali DVD. Mi produco nella mia tipica imitazione del moonwalk di Michael Jackson (tento di dirigermi nella direzione opposta ai DVD, ma la loro attrazione fa sì che io strusci inevitabilmente sul posto). Poi, peraltro, riusciamo a riempire il carrello di tutto ciò che ci serve (tra cui un regolabarba fighissimo, molto metrosexual). Non ci resta che tornare a casa, dopo un rapido pasto consumato all’interno del centro commerciale. La giornata è finita, e anche le cameriere del Brek hanno esaurito il carburante per il sorriso standard: le loro labbra sono pericolosamente piegate all’ingiù. Ci sentiamo parte di un grande meccanismo universale, mentre torniamo verso casa: Stefi alla guida, io rincagnato nel sedile posteriore e lo scaffale Benno di 2 metri x 15 centimetri che occupa il resto dello spazio disponibile. Purtroppo è tardi, e non c’è nemmeno il tempo di montarlo. Troppe emozioni, e poi domani si lavora. Che vita intensa, al centro commerciale!
