UN FILM DI MINECRAFT

Mah bah boh. Va detto che sono stato tirato un po’ per i capelli a vedere A Minecraft Movie, ma ci sono andato volentieri per vedere Jack Black e Jason Momoa fare gli scemi per un paio d’ore. Se l’obiettivo è quello, cioè vedere le faccette buffe e sentire le voci assurde (ci torno) si tratta di un film godibilissimo. Se si va con l’intento di vedere un film almeno sensato… beh, no. Ma era una missione impossibile fin dall’inizio, come fai a fare un film su Minecraft, il gioco-sandbox per eccellenza? Non puoi. Infatti questo è “un film” Minecraft (sottinteso: potrebbero essercene molti altri e potrebbero essere anche peggio).

Jared Hess (uno che io amo dai tempi di Napoleon Dynamite) dirige lasciando campo libero ai suoi attori e agli effetti speciali. La cosa è tanto più evidente se provate a (ahem) scaricare una copia pirata del film per ascoltare gli attori in originale. Capite, nel doppiaggio italiano troviamo Mara Maionchi e Lazza, mentre un film così urge vederlo in lingua. 

On line si trova solo una versione di lavorazione con la CGI non terminata e lì l’effetto di straniamento è assurdo. Vedere Jack Black scalmanato sull’evidenza di un green screen dà conto di tutta la pochezza dell’operazione commerciale.

Comunque, tra un meme e l’altro il film scorre via, ci sono altri tre personaggi principali (due ragazzi orfani e la loro agente immobiliare) che non riescono in nessun modo a rubare la scena a Steve (Black) e The Garbage Man (Momoa) ma soprattutto c’è una storyline parallela assolutamente inutile e – temo – inserita solo per avere un po’ di minutaggio in più che però prevede la presenza di Jennifer Coolidge, e qui siamo ai livelli di Jack Black, non si discute.

Per il resto, boh, vedetelo se un ragazzino vi ci trascina, non morite di noia quantomeno.

COMPANION: LA ROMCOM CON UN TWIST

Companion di Drew Hancock è un film onesto. Fondamentalmente un episodio lunghetto di Black Mirror, ma onesto. C’è un po’ di sangue, un po’ di mistero, un po’ di LOL (molto LOL a mio avviso) un po’ di distopia, un po’ di critica sociale ma senza esagerare che non siamo pesantoni, ed è in fondo un buon film di intrattenimento. 

Per i primi 15-20 minuti Companion fa finta di venderti la classica commedia romantica (primo LOL: nella locandina la brava Sophie Thatcher, già vista in Heretic, ha gli occhi della morte quindi è chiaro che non ci troviamo di fronte a una romcom). Anzi, è tutto spoilerato già nel trailer.

Dopo, quando viene rivelato che Iris, la protagonista femminile, è in realtà un sofisticatissimo robot da compagnia – loro lo chiamano proprio fuck-robot – comandato da un’app sul cellulare di Josh (Jack Quaid, figlio di e già visto in The Boys) tutto comincia a prendere velocità. Il film si trasforma in un “thriller” tecnologico in cui Josh fa perfettamente la parte dello stronzo manipolatore e maschilista (interessante la parte in cui si scopre il “livello di intelligenza” che assegna ad Iris). 

Companion è abbastanza prevedibile da poterlo guardare mentre stiri le camicie ma anche abbastanza divertente da poggiare un po’ il ferro e dargli una chance. C’è poco da spoilerare ma eviterò, dicendo soltanto che Iris è al centro di un piano diabolico ordito da Josh per accaparrarsi tanti dollaroni, ma ovviamente tutto andrà in vacca.

Alle volte Companion si compiace di essere un film più furbo di quello che in realtà non è, e ci sono diversi punti in cui si sente la voglia di fare il commento sociale però a livello terra terra: alla fine diventa Barbie meets Terminator e la sospensione dell’incredulità va un po’ a farsi friggere. Però è divertente.

THE LAST SHOWGIRL E IL SOGNO AMERICANO

Gia Coppola è la nipote di Sofia e di Roman, nel senso che è la figlia di un altro figlio di Francis Ford, morto prima che lei fosse nata. Ma va beh, era solo per dare un contesto di “famiglia” a chi si chiedesse da dove esce questo nuovo talento che ha sfornato un film così particolare come The Last Showgirl, tutto girato con lenti anamorfiche e con un amore sfrenato per le sfocature, i controluce e le aberrazioni ottiche di vario genere

In The Last Showgirl protagonista assoluta è Pamela Anderson in uno di quei ruoli che di solito si definisce “della vita” in cui capiamo finalmente quanto il suo talento avrebbe potuto essere sfruttato anche in passato. Shelly (Anderson) è una ballerina di fila nello spettacolo di Las Vegas “Le Dazzle Razzle”, uno di quegli show di varietà tutto piume e lustrini che fanno tanto anni ’70-’80 e che infatti è sulla via della chiusura.

Intorno a lei si muovono le colleghe più giovani (come Kiernan Shipka) e quelle ormai in pensione (c’è una monumentale Jamie Lee Curtis in pieno stile white trash che non avrebbe sfigurato in un vecchio film di John Waters). C’è anche un dolente direttore di scena interpretato da Dave Bautista, uno che a me sorprende sempre per quanto è bravo.

Ovviamente la chiusura dello spettacolo mette in crisi le già precarie finanze di Shelly che è anche alle prese con una figlia che non vede più e con la quale non c’è l’intimità che lei vorrebbe. Il sogno americano, qui declinato nell’ambiente “bello fuori e squallido dentro” dello show business, viene sviscerato nelle sue luci e nelle sue ombre. A 57 anni Shelly deve fare altri provini e viene umiliata da un regista pragmatico interpretato da Jason Schwartzman (hey, è il cugino di Gia!).

Finale onirico e dolceamaro con canzone inedita di Miley Cyrus e Lykke Li, ma la cosa migliore è l’utilizzo di Total Eclipse of the Heart in una scena di montaggio alternato tra Curtis e Anderson che vale come epitaffio sui sogni di gloria di chi è cresciuto nell’edonismo reaganiano e nel 2025 si guarda intorno e vede solo macerie.