Recuperate i primi due numeri di Monster Allergy di Barbucci, Canepa, Centomo e Artibani! Tra poco uscirà il terzo albo, e la serie promette veramente bene. Se già W.I.T.C.H. è diventata una serie di enorme successo per la Disney Italia, questa uscita Buena Vista Comics è – se possibile – ancora più accattivante. Certo, c’è dentro la Famiglia Addams e una bella spruzzata di Harry Potter. C’è un tratto un po’ alla Jamie Hewlett (il creatore di Tank Girl e dei Gorillaz animati) rispetto al disegno più in stile manga di W.I.T.C.H. C’è un senso del colore e della luce differente dalle altre serie targate Disney e che non ha caso ne ha decretato il successo in Francia e Germania, dove il fumetto è già considerato un classico da collezionare. L’assunto di base è che Zick vede il mondo invisibile. Mostri bonaccioni e fantasmi, tutti intenti a vivere la loro vita nella città sopraelevata agganciata ai grattacieli del centro. Elena Patata invece vede la realtà e le sue brutture (geniali le gemelline stronze e il cugino animalesco). Entrambi hanno (perso) un gatto. Sfruscio, il gatto di Elena, è il personaggio muto più riuscito della serie. Timothy, il gatto Rex Devon di Zick, è in realtà il suo tutore – ed ha un’intelligenza decisamente superiore a quella umana. Tra Zick ed Elena si sviluppa ovviamente un rapporto se non decisamente sentimentale, almeno analogo a quello che intercorre tra le coppie di detective più famose – mi vengono in mente, quanto ad ironia surreale, David e Maddie di Moonlightning. Correte in edicola, allora… e occhio alle allergie.
SONO UN FAN DI UN POSTO AL SOLE
Lo confesso, anche se molti non se lo aspettano. Io sono un fan di Un posto al sole. Che attualmente resta l’unico motivo per me di "guardare la televisione" con un attenzione superiore alla soglia "sottofondo radiofonico" che spesso MTV mi offre. UPAS è una delle famose fiction italiane (ma il format è australiano) che può vantare un successo costante da diversi anni. Assieme a La squadra, sempre ideato da Wayne Doyle, mi pare l’unico prodotto televisivo italiano di fiction seriale degno di essere visto. Voglio dire, "ottimo artigianato", come si diceva un tempo parlando dei prodotti popolari più riusciti. Quello che mi manda veramente fuori di UPAS è il lavoro degli sceneggiatori. Sempre sull’orlo del trash senza mai finirci del tutto (tranne forse che nella storia tra Marina e Roberto). Sempre attento all’attualità ma pronto a trasformare il politico in privato, in modo da universalizzare i temi e renderli godibili da tutti, casalinghe e studenti, impiegati e operai, intellettuali e non. UPAS ha i suoi stilemi. Ad esempio, quando si vuole far capire che "non tutto è come sembra", due personaggi si abbracciano, ma uno dei due fa un mezzo sguardo in camera. Allora è la fine. Sappiamo che succederà qualcosa. In tema di sguardi, UPAS detiene la palma dell’occhio più sbarellato della televisione italiana – quello di Mina, il personaggio negativo entrato nel cast da qualche mese, pronta a distruggere la felicità di Franco e Angela. UPAS è un parcheggio di lusso per alcuni attori di razza della zona partenopea. Grazie a loro la fiction si alza un minimo come livello di recitazione rispetto ad altri prodotti del genere. UPAS è un rito serale, come l’aperitivo, come la cena. La funzione catartica di UPAS è farti vedere che c’è sempre chi è più sfigato di te. Giornalmente. Però sai che è una finzione (per quanto aristotelicamente verosimile), e allora ne esci pulito. Il resto della produzione televisiva di Rai e Mediaset lascia sempre una certa patina di sporco addosso.
I RAGAZZI DEL LICEO GIOBERTI
Il mal di testa è feroce, le cose da ricordare sono troppe e le campane a morto suonano fuori dal Lingotto con rintocchi piovosi che mi annebbiano la vista. L’emicrania si sposta, come un’escrescenza bulbosa dalla fronte alla tempia destra fin dentro l’orecchio destro. Poi, in genere, staziona dietro gli occhi secchi e arrossati da computer fumo sonno aria condizionata sempre troppo calda o troppo fredda. L’altro ieri ho montato Billy, la libreria per tutte le tasche dell’Ikea. Quella che ha anche il nome più normale, tra tutte. Non avrei retto a montare Askedal o Bonde o Skruvsta o Tvilling. Montare i mobili dell’Ikea mi fa lo stesso effetto di un’ora di yoga. La soddisfazione interiore è uguale e contraria a quella di viaggiare in un posto che non ho ancora visto. Forza centrifuga e centripeta. Ieri invece abbiamo finito in gloria il cortometraggio per il Gruppo Abele, montando anche una serie di interventi nuovi da parte dei giovani filosofi del Liceo Gioberti. Siccome anche io andavo in quel liceo venti anni fa, la cosa mi ha discretamente inquietato: i ragazzi sono gli stessi, ed io potevo specchiarmi e specchiare la mia generazione in quella nuova. C’è il nerd, il bello ma imbranato, il fighetto dal look molto "New York City 1975" e il capellone occhialuto che non poteva non ricordarmi quando in quella classe ci stavo io. A parte questo, come al solito abbiamo fatto le 3 a montare – ma dovrebbe essere finita. La frenesia natalizia anima le formichine qui sotto di me – le vedo dalle vetrate del Lingotto. Che palle. Stefi forse inizia una sorta di kickboxing. Io sono indeciso tra quello e lo yoga. Dipende da quanto dovrò incazzarmi nel 2004…
